Friday, 1 March 2013

Intervista del giornalista francese Jules Sauerwein a Benito Mussolini, 7 ottobre 1935

(Pubblicato in « Il Popolo d'Italia », 8 ottobre 1935)

La necessità di espansione dell'Italia in Africa

Dopo un preambolo, il Duce ha così parlato:

Mussolini: Ho fatto rimettere a Sir Samuel Hoare, in risposta alla lettera che egli mi aveva fatto portare la settimana scorsa, una lettera indirizzata al nostro ambasciatore a Londra, il tono della quale è apparso particolarmente amichevole. Questo dissidio che l'Inghilterra ha con noi non ha veramente alcun senso e un conflitto fra le due nazioni è davvero inconcepibile. Né da vicino, né da lontano, né direttamente, né indirettamente noi vogliamo nuocere ad alcun interesse britannico.

La nostra azione colonizzatrice nell'Africa Orientale non potrebbe compromettere né la prosperità, né le comunicazioni, né la sicurezza di uno qualsiasi dei territori imperiali. Sono pronto in qualsiasi momento a dare prova e garanzie delle nostre disposizioni non solo pacifiche, ma addirittura cordiali.

La prima cosa da fare è allentare la tensione che fa pesare sul Mediterraneo la presenza di una grande parte della flotta britannica. Questo stato di allarme, questa mobilitazione di tante unità in tutti i punti strategici rischia di provocare qualche incidente, malgrado gli ordini severi che sono stati dati, e la nostra preoccupazione costante è quella di evitare qualsiasi urto.

La Società delle nazioni, e più ancora il buon senso dei Governi, possono fornirci molteplici soluzioni per regolare i rapporti fra una potenza occidentale di alta civiltà e uno Stato africano del quale sono stati ufficialmente riconosciuti il bisogno di assistenza e la necessità di una ricostruzione totale della struttura politica, economica e sociale. Problemi di questo genere sono già stati posti nel passato e non sono mai stati insolubili.

Nel frattempo la Società delle nazioni è al lavoro, ma come la più bella ragazza del mondo non può dare se non ciò che ha.

Sarebbe strano che questa istituzione, che ha per scopo di evitare la guerra, avesse per risultato una amplificazione della guerra, al modo di un altoparlante. Sarebbe addirittura paradossale che di una guerra coloniale nettamente circoscritta, essa arrivasse a fare una guerra di dieci o dodici potenze.

Ma come ha potuto scatenarsi in Inghilterra contro l'Italia fascista questa ondata che è di una violenza senza precedenti?

Mussolini: Forse si deve vedere in questo fenomeno una ignoranza fondamentale totale del cambiamento che si è operato nel popolo italiano.

L'Inghilterra non si è resa conto che noi non siamo più la nazione di una volta. Essa comincia tuttavia a sospettarlo. Il giorno in cui lo avrà pienamente compreso, ogni malinteso sarà dissipato. Fino ad oggi, l'inglese ha visto negli italiani della gente allegra, pittoresca, simpatica, tale da animare e da ornare i nostri villaggi e le nostre città. Si è divertito a venire da noi. L'Italia ha rappresentato per lungo tempo una parte importante dei piaceri della sua esistenza.

Ora il nostro popolo è profondamente cambiato. Anzitutto quaranta mesi, di una guerra durissima gli hanno insegnato a sopportare stoicamente le privazioni e hanno creato sul nostro suolo uomini gravi, austeri, consapevoli del loro dovere nazionale, uomini che hanno giurato a se stessi che i sacrifici immensi della guerra non sarebbero stati compiuti invano.

Noi abbiamo sviluppato dal 1919 in poi la nostra azione fascista su questo terreno nuovo, dapprima nell'opposizione, dopo con tutte le forze dello Stato, quando la rivoluzione ha trionfato. A partire da quel momento, a queste anime temprate dalle avversità, abbiamo dato una disciplina e una dottrina e la marcia su Roma è stata per loro l'inizio di una nuova esistenza. Ma nello stesso tempo, e questo è il vero segreto della metamorfosi italiana, abbiamo diretto il nostro sforzo di ogni giorno sull'istruzione e l'educazione dell'infanzia fino all'età matura.

Abbiamo preso il piccolo italiano sin dai suoi anni più giovanili per forgiare il suo pensiero e il suo animo in armonia col grande ideale della patria, formandone contemporaneamente il corpo cogli esercizi militari. Le nostre organizzazioni abbracciano tutte le età e la più nobile è quella che nori conoscete abbastanza in Francia, il Dopolavoro, questo complesso di circoli, di campi di ricreazione, di sale di istruzione in cui milioni di operai vengono dopo il quotidiano lavoro a distrarsi, a imparare, a riposarsi.

I risultati di questa triplice disciplina della prova del fuoco, della rivoluzione e dell'educazione sono questi magnifici soldati che avete visto alle manovre o sui pontili di imbarco. Sono questi combattenti che hanno iniziato la campagna in modo così brillante. Si deve sapere che il nostro popolo, che è il più laborioso dell'universo, e la nostra giovinezza arruolata nell'Esercito, nell'Aviazione e nella Marina costituiscono un insieme fortissimo. Questi uomini sono nostri. Il fascismo li può rivendicare come creature proprie. E questo popolo forte non domanda che il riconoscimento del suo preciso diritto: quello di vivere.

Dovete pensare che in questo paese, nonostante il nostro grande sforzo di bonifica, devono vivere, su centomila chilometri quadrati di terra coltivata, un sesto cioè della superficie francese, ben quarantaquattro milioni di abitanti. Al mio primo segnale i nostri soldati dell'Africa Orientale scambieranno di buon grado il fucile con la zappa. Essi non chiedono che di lavorare per poter sostenere le loro famiglie, alle quali inviano già, con un meraviglioso spirito di risparmio, le loro modeste economie.

È esatto che sono giunti dalla Francia numerosi messaggi?

Mussolini: Sì e molteplici e confortevoli manifestazioni di simpatia, provenienti principalmente dagli ex-combattenti. Voi avete visto con quale bella, spontanea manifestazione i nostri combattenti hanno risposto l'altro giorno, cantando la « Marsigliese » ed acclamando la Francia davanti a palazzo Farnese. L'anima dei due popoli si ribellerebbe se per una ragione qualsiasi dovesse nascere un conflitto tra i nostri due paesi. È una ipotesi mostruosa, che non si può nemmeno prospettare.

Il colloquio vero e proprio è finito. Secondo la sua abitudine, il Duce mi accompagna, attraverso l'ìmmema sala, fino alla porticina che dà su uno dei grandi saloni dove sono comervati i preziosi tesori artistici di palazzo Venezia. Sulla soglia, egli mi ripete:

Mussolini: Sono lieto di parlare all'opinione francese attraverso « Paris-Soir », del quale conosco il sensazionale successo e la immensa diffusione.

Ed aggiunge parole di simpatia e di amicizia per la Francia e per il signor Laval. Appena varcata la soglia, vedo venire avanti un gruppo di uomini in camicia nera. Sono uomini maturi, che hanno il petto coperto di decorazioni ed il volto pensoso. Sono i presidenti delle Federazioni industriali locali. La guerra con l'Etiopia impone loro dei gravi sacrifici. Nessuno di loro può sperare di approfittarne per arricchirsi, perché una ntlova legge ha limitato i dividrmdi al sei per cento. Regolamenti molto severi pesano sulla loro attività quotidiana: eppure non vengono qui per lagnarsi. Anzi essi vengono, sotto la guida del conte Volpi, ad assimrare al Duce la loro intera collaborazione e la loro obbedienza assoluta.