Wednesday 7 March 2012

Religione o nazione?

(Pubblicato in « II Popolo di Roma », 19 novembre 1928)

di Benito Mussolini

Un nostro collaboratore, assiduo osservatore di tutto quanto affiora nella vita politica e sociale italiana, ci manda l'articolo che segue. Pubblicandolo noi vogliamo subito dichiarare che non intendiamo iniziare dell'anti-semitismo, nonostante il fatto che semiti siano quasi tutti i pesi massimi dell'antifascismo mondiale... da Treves a Torrès. Formuliamo piuttosto l'augurio che l'anti-semitismo in Italia non venga provocato... dagli ebrei residenti in Italia.

Si è tenuto nei giorni scorsi a Milano il Congresso dei sionisti italiani. I sionisti italiani sono quegli ebrei che vogliono tornare in Palestina o aiutare altri ebrei di altri paesi ad andarvi. Il Congresso di Milano non ha richiamato l'attenzione del grosso pubblico, se non per una laconica "Stefani" nella quale si dava notizia di alcuni telegrammi mandati alle supreme autorità dello Stato. E per il resto, silenzio. Ma noi siamo troppo attenti e sensibili osservatori di quanto accade sotto il cielo d'Italia, per accontentarci di un comunicato così sommario. Ragione per cui abbiamo letto col più grande interesse l'ampio resoconto che di quel congresso è stato pubblicato dal giornale ufficiale dei sionisti italiani in tre numeri successivi. Vi abbiamo fatto delle constatazioni singolari.

Ma prima di esporle, non sarà inopportuno ricordare che l'Italia è una delle poche nazioni del mondo senza partiti o movimenti antisemiti. Gli italiani – bonari e faciloni nella loro massa, prima che il Fascismo insegnasse loro di fissare lo sguardo in fondo a tutte le realtà – gli italiani hanno sempre pensato che gli ebrei italiani fossero degli italiani i quali credono in Mosè e aspettano il Messia. Elemento differenziale, quindi, la religione. Per il resto tutto in comune: patria, diritti e doveri. Il popolo italiano non ha mai fatto distinzioni, non si è stupito nemmeno quando tre ministri ebrei lo hanno governato, né quando ha veduto gli ebrei al vertice di molte istituzioni spesso delicatissime. Sino ad ieri dunque, era lecito e giusto considerare gli ebrei come dei cittadini italiani di religione mosaica. Dopo il congresso di Milano, il panorama presenta alcune varianti degne di meditazione e tali da imporre una rettifica di opinioni. Abbiamo letto – per conto nostro senza eccessive sorprese – un appello della Federazione sionistica italiana in cui si parla di un popolo ebraico che ha ripreso nel nome di Sion la via tracciata dai padri ecc. ecc., in cui si invitano i sionisti a "riconquistare la loro coscienza ebraica", in cui si afferma che "il popolo ebraico saprà attuare presto il suo ideale", ecc. ecc.

Gli italiani cristiani saranno forse un poco stupiti e turbati di constatare che in Italia c'è un altro popolo, il quale si dichiara perfettamente estraneo non solo alla nostra fede religiosa ma alla nostra nazione, al nostro popolo, alla nostra storia, ai nostri ideali. Un popolo ospite, infine, che sta tra noi come l'olio sta con l'acqua, insieme ma senza confondersi, per usare l'espressione del defunto rabbino fiorentino Margulies. La constatazione è grave.

Certo non tutti gli ebrei italiani seguono il sionismo, ma contro i tiepidi o gli assenti ebrei, il sig. Giuseppe Pardo Roques di Pisa, ad esempio, scaglia i suoi fulmini e parla di "ebrei ancora placidamente immersi nel letargo quarantottino dell'assimilazione". Avete inteso? La fine legale dei "ghetti", la parità riconosciuta agli ebrei di fronte ai cristiani, evento che fu esaltato come una delle più grandi conquiste della civiltà, viene definito dallo sprezzante maccabeo ospite di Pisa come un "letargo quarantottino".

Un altro commentatore del venticinquennio del gruppo sionistico milanese presieduto dal commediografo nonché presidente del Congresso Sabatino Lopez, vuole agitare dinnanzi agli ebrei assopiti, ma suscettibili di un risveglio ebraico, gli spettri minacciosi dell'assimilazione e dell'assorbimento. Lo stesso parla di una "coscienza nazionale" da tramandare sempre più ardente ai figli, nipoti, pronipoti sino alte più lontane generazioni. Solo un ebreo triestino trova modo di ricordarsi anche dell'Italia, di quest'Italia così tollerante e indulgente, pur sotto il segno fermo del Littorio romano. Per il resto tutti i sionisti parlano di "un popolo ebraico", di "razza ebraica", di "ideali ebraici" senza la più lontana allusione al  religioso.

Domandiamo allora agli ebrei italiani: siete una religione, o siete una nazione? Questo interrogativo non ha lo scopo di suscitare un movimento antisemita, ma quello di togliere da una zona d'ombra un problema che esiste e che è perfettamente inutile ignorare più oltre. Dalla risposta trarremo le conclusioni necessarie.