Wednesday, 7 March 2012

Stato e chiesa

(Pubblicato in « Il Popolo d'Italia », 2 dicembre 1934)

di Benito Mussolini

Tutta la storia della civiltà occidentale, dall'impero romano ai tempi moderni, da Diocleziano a Bismarck, insegna che quando lo Stato impegna una lotta contro una religione, è lo Stato che ne uscirà, alla fine, sconfitto. La lotta contro la religione è la lotta contro l'inafferrabile e l'irraggiungibile, è la lotta contro lo spirito in ciò che ha di più intimo e di più profondo ed è oramai provato che in questa lotta le armi dello Stato, anche le più aguzze, non riescono a inferire colpi mortali alla Chiesa, la quale, specialmente la cattolica, esce trionfante dalle più dure prove.

Uno Stato può essere vittorioso solo nella lotta contro un altro Stato. Può concretare allora la sua vittoria imprimendo, ad esempio, un cambiamento del regime, una cessione territoriale, il pagamento di una indennità, il disarmo dell'esercito, un determinato sistema di alleanze politiche od economiche. Quando si lotta contro uno Stato, si è di fronte a una realtà materiale, che può essere afferrata, colpita, mutilata, trasformata; ma quando si lotta contro una religione, non si riesce ad individuare un particolare bersaglio: basta la semplice resistenza passiva dei sacerdoti o dei credenti per rendere inefficente l'attacco allo Stato. Bismarck, negli otto anni della sua Kulturkampf, determinata dal dogma dell'infallibilità papale in materia religiosa, fece arrestare decine di vescovi, chiudere centinaia di chiese, sciogliere moltissime organizzazioni cattoliche, sequestrandone i fondi; scatenò una campagna di idee antiromane col famoso motto « los von Rom » ed il risultato di questa persecuzione fu di portare a cento il numero dei deputati cattolici al Reichstag, di rendere popolare in tutto il mondo la figura di Windthorst, di collaudare la resistenza morale del mondo cattolico tedesco. Alla fine Bismarck, dico Bismarck, il fondatore dell'impero tedesco, capitolava dinnanzi a Leone XIII, chiamandolo arbitro di una controversia internazionale e scrivendogli una lettera che cominciava colla parola « sire ». Altrettanto sfortunata fu la politica di Napoleone I di fronte alla Chiesa. Uno degli errori più gravi del grande còrso, fu quello di aver voluto « brutalizzare » due papi e il Vaticano.

Nel concetto fascista di Stato totalitario, la religione è assolutamente libera e, nel suo ambito, indipendente. Non ci è mai nemmeno passata per l'anticamera del cervello la bislacca idea di fondare una nuova religione di Stato o di asservire allo Stato la religione professata dalla totalità degli italiani. Il compito dello Stato non consiste nel tentare di creare nuovi vangeli o altri dogmi, di rovesciare le vecchie divinità per sostituirle con altre, che si chiamano sangue, razza, nordismo e simili. Lo Stato fascista non trova che sia suo dovere intervenire nella materia religiosa, o se ciò accade è solo nel caso in cui il fatto religioso tocchi l'ordine politico e morale dello Stato. Nei tempi moderni e nei continenti della civiltà bianca, lo Stato non può assumere che due atteggiamenti logici di fronte alle Chiese costituite: o ignorarle, pur tollerandole tutte, come avviene negli Stati Uniti; o regolare i suoi rapporti colle Chiese, con un sistema di convenzioni o concordati, così come si è fatto, molto proficuamente, in Italia. Particolarmente indicatoria è la storia dei rapporti fra Chiesa e Stato in Italia dal 1870 al 1929. Lo Stato italiano, votata la cosiddetta legge delle Guarentigie, che non fu mai accettata dal papa, adottò la politica di ignorare la Chiesa cattolica. La formula già insufficente di Cavour (libera Chiesa in libero Stato), insufficente in un paese cattolico come l'Italia, che ha inoltre il privilegio di essere la sede di una religione che raccoglie quattrocento milioni di adepti in tutte le parti del mondo, fu seguita dalla formula geometrica di Giolitti, il quale definiva Chiesa e Stato due parallele che si prolungano all'infinito e non s'incontrano mai. All'infuori delle formule succitate, i partiti cosiddetti di sinistra si specializzarono in una attività di anticlericalismo di carattere demagogico e volgare, che toccava e abbrutiva talune zone urbane, ma non penetrava nelle grandi masse dei cattolici intoccabili da tale propaganda. Era una situazione intenibile e malgrado le separazioni non mancavano i contatti ufficiosi fra Quirinale e Vaticano, imposti dalle necessità della vita in comune in determinate circostanze, come, ad esempio, la riunione dei cardinali per la successione del Soglio.

Nel 1929, tutto ciò ebbe fine col Trattato, che risolveva in maniera soddisfacente e definitiva la questione romana, e col Concordato, che sistemava, attraverso una serie di poche decine di articoli, le relazioni fra lo Stato e la Santa Sede. Dall'11 febbraio 1929 sono passati sei anni. All'indomani degli accordi non mancarono le voci scettiche o le catastrofiche. Tali voci salirono al cielo quando nell'estate del 1931 i patti furono sottoposti all'usura di un conflitto in cui era in gioco la questione dell'educazione giovanile. Il conflitto ebbe diverse fasi, talune delle quali molto acute e durò alcuni mesi. Ma ai primi di settembre fu regolato con reciproca soddisfazione. Quella controversia può essere considerata come la prova del fuoco per i patti lateranensi. Da allora niente è venuto a turbare la pace religiosa e civile di cui gode il popolo italiano e si può aggiungere che una collaborazione cordiale si è sviluppata fra i due poteri, i quali si riferiscono allo stesso oggetto: l'uomo. La dottrina fascista sulla materia è chiara: lo Stato è sovrano e niente può essere fuori o contro lo Stato, nemmeno la religione nelle sue pratiche estrinsecazioni, e ciò spiega come i vescovi italiani prestano giuramento di fedeltà allo Stato; d'altra parte la Chiesa è sovrana in quello che è il suo specifico campo di attività: la cura e la salvezza delle anime. Vi sono dei momenti e delle attività dove le due forze si incontrano, e in tal caso la collaborazione è desiderabile, è possibile ed è feconda. Come sarebbe grottesco un concilio di cardinali che si occupasse del calibro dei cannoni o del tonnellaggio delle corazzate, così sarebbe ridicolo un Consiglio dei ministri che volesse legiferare in materia di teologia o di dogmatica religiosa. Uno Stato che non voglia seminare il turbamento spirituale e creare la divisione fra i suoi cittadini, deve guardarsi da ogni intervento in materia strettamente religiosa. Ciò che è accaduto in questi ultimi tempi in Germania è la riprova della bontà della dottrina e della prassi fascista. Nessuno Stato è più totalitario e autoritario dello Stato fascista, nessuno Stato è più geloso della sua sovranità e del suo prestigio, ma appunto perciò lo Stato fascista non sente il bisogno di intervenire in materie che esulano dalla sua competenza e sono estranee alla sua natura. Tutti coloro che si sono incamminati per questa strada hanno dovuto, presto o tardi, riconoscere il loro errore. Nel mio discorso alla seconda assemblea quinquennale del regime, con intenzione, ho dichiarato che chiunque incrina o turba l'unità religiosa di un popolo, commette un delitto di lesa-nazione.