(Pubblicato in « II Popolo di Roma », 16 dicembre 1928)
di Benito Mussolini
Signor Direttore,
L'epistolario provocato dall'articolo "Religione o Nazione?" che tanta ripercussione ha avuto e non solo in Italia, si può oramai chiudere, mentre io mi valgo del mie diritto di replica, diritto di cui farò uso molto discreto. Le lettere pubblicate dal vostro giornale sono firmate quasi tutte da uomini eminenti e si possono raggruppare in tre distinte categorie: quelle dei veramente sinceri, cioè degli ebrei italiani che, come giustamente essi dicono, sono degli italiani di discendenza o di religione mosaica (un gruppo analogo esiste anche in Germania, creato dal Neumann) ma che, posti a scegliere fra Italia e Mosaismo, sceglierebbero l'Italia. Un secondo gruppo « suona » meno sinceramente: si tratta di uomini che sceglierebbero l'Italia non per convinzione o vero amore di Patria, ma per semplice opportunità e per non perdere le posizioni occupate nel mondo italiano. Finalmente l'ultimo gruppo dei firmatari delle lettere mandate al vostro giornale, oscilla fra la Nazione e la Religione, con inclinazioni maggiori verso la prima, cioè la Nazione, il popolo ebreo. Ciò precisato, bisogna subito constatare che il numero di coloro che hanno interloquito è ben modesto, di fronte alla massa degli ebrei residenti in Italia. Quanti sono gli ebrei residenti in Italia?
Le statistiche dell'anteguerra che fissavano il loro numero in 50.000 o giù di lì, non sono più accoglibili. Cogli apporti notevolissimi delle Terre redente (Merano, Trieste, Gorizia, Fiume, hanno fortissime comunità israelitiche), coll'aggiunta delle comunità libiche, coll'incremento naturale della popolazione ebraica, bisogna portare il numero degli ebrei residenti in Italia a non meno di 80.000, su 42 milioni di abitanti. Roma sola—la più vecchia comunità ebraica d'Europa—conta da 18 a 20 mila israeliti.
Si spera che il prossimo censimento,
fatto in modo da non permettere scappatoie libero-pensatrici, ci
illuminerà definitivamente in materia. Ora, basta leggere attentamente,
come fa chi scrive, le pubblicazioni ebraiche per convincersi che il
sionismo in Italia ha un grande seguito fra le masse degli israeliti
italiani. Intanto è curioso di constatare la sorpresa di taluni ebrei i
quali hanno l'aria di far credere che soltanto oggi per la prima volta sentono parlare di sionismo o di sionisti e se ne proclamano scandalizzati. Ora il sionismo universale è nato nel 1897 e quello italiano poco tempo dopo. Il recente Congresso dei sionisti residenti in Italia, ha coinciso colla celebrazione del venticinquennio di vita del Circolo Sionista Milanese presieduto dal commediografo Sabatino Lopez. I gruppi locali rappresentati a quel Congresso erano 25. Il tono dei discorsi è noto. Così pure il contenuto del manifesto lanciato agli ebrei italiani. Nessuno dei quali si sarebbe mosso, senza l'intervento di cotesto giornale. Ma tutti invece avrebbero continuato ad alimentare con sottoscrizioni, adesioni od altro il movimento. Taluni autori delle lettere da voi pubblicate, parlano di fanatismo religioso o di letteratura.
Affatto. Il
sionismo italiano è un movimento vasto e pratico che mira al sodo: cioè
al denaro e conduce una intensa propaganda per la sede nazionale
ebraica in Palestina o, per uscire dagli equivoci, per uno Stato
Palestinico che sarà ebraico, cosi come lo Stato Inglese è inglese ecc. Il sionismo italiano fa parte del sionismo universale: i sionisti italiani non mancano mai ai Congressi internazionali sionisti: e i capi sionisti—Weissman, Sokoloff e minori—non trascurano nelle loro visite e nei loro messaggi il sionismo Italiano.
Ora si può considerare soddisfacente dal punto di vista degli italiani. . . . italiani, la dichiarazione del sig. Dante Lattes, presidente della Federazione Sionistica italiana, pubblicata nel numero del 6 dicembre di codesto giornale? No. Vi si parla dello scopo dell'azione sionistica in termini che non ammettono dubbio: lo scopo è lo stabilirsi di una « sede nazionale ebraica in Palestina ». Ora una nazione che si fissa in un determinato territorio, diventa uno Stato. E a questo tendono i sionisti. Il mandato inglese è il mezzo o la foglia di fico, lo Stato ebraico è la meta. I preparativi sono evidenti: dalla moneta alla bandiera: dalla lingua resuscitata alle città riservate esclusivamente agli ebrei, sottratti così agli spettri dell'assimilazione occidentale.
Finché il sionismo palestinico è nello stadio che chiamerò di preparazione nazionale, si può con molta buona volontà ammettere che ciò non turbi i rapporti giuridici e sentimentali fra gli ebrei e i loro concittadini di altri paesi, ma il giorno in cui il sionismo passerà alla sua fase di realizzazione dello Stato Nazionale, tali rapporti saranno radicalmente riveduti dai Governi, poiché non si può simultaneamente appartenere a due Patrie, essere contemporaneamente cittadini di due Stati. Quanto al merito rivendicato dal signor Lattes e per lui dai sionisti italiani per l'espansione culturale ed economica dell'Italia nella Palestina e nel Mediterraneo, ci vorrebbe una documentazione che manca, prima di riconoscerlo.
Per completare il quadro con alcune ombreggiature prendiamo l'ultimo numero del giornale dei sionisti italiani. Vi troviamo in prima pagina a caratteri cubitali annunciato che la Baia di Haiffa è diventata proprietà inalienabile del « popolo ebraico »: ma la quarta pagina è più interessante a leggersi per via della polemica insorta fra il vice-presidente della Università Israelitica Fiorentina Passigli e la direzione del giornale, a proposito delle due epigrafi dedicate agli ebrei fiorentini caduti nell'ultima guerra.
Quella scolpita nel 1920 dice che gli ebrei fiorentini versarono il loro sangue per « l'avvento di un'Italia più grande, di un Israele libero e unito e risorgente ». Come vedesi si parla d'Italia, non di Patria. Ora gli ebrei fiorentini dell'anno 1928, hanno voluto essere più precisi e hanno in una nuova epigrafe, non più parlato vagamente di Italia, ma di Patria, incidendo le parole che "gli ebrei fiorentini sono caduti per la grandezza della Patria che per noi è l'Italia ».
Fra le due edizioni è evidente che quella del 1928 non si presta ad equivoci. Ma allora perché tante furibonde ire da parte del giornale dei sionisti italiani? Insomma l'Italia è o non è la Patria degli ebrei italiani? E se lo è perché ci si irrita se ciò viene inciso in una lapide dedicata ai Caduti? Signor Direttore, commentando il Congresso dei sionisti italiani, io intendevo di provocare una chiarificazione fra gli ebrei italiani e di aprire gli occhi agli italiani cristiani. Le lettere di ebrei che avete pubblicato e la ripercussione avuta nei giornali italiani, mi dicono che tale scopo è stato raggiunto. Il problema esiste e non è più in quella « zona d'ombra » dov'era stato confinato astutamente dagli uni, ingenuamente dagli altri.