di Niccolò Giani
Figlio, un giorno tu leggerai queste righe, che la mia destra, orgogliosamente ferma e decisa, ora verga al lume di una lanterna da campo, mentre sopra la testa, dal cielo le stelle ricamano fosforescenze piene di mistero, Iddio mi guarda, e, intorno a me, i 675 fratelli del battaglione vegliano in armi.
Allora saranno passati degli anni, molti, forse troppi e sulla cronaca di ferro di questo XIV anno del Fascismo, il tempo avrà smussato gli angoli e stesa la sua patina ammorbidente. Ma appunto per questo io scrivo e tu leggerai: per ricordare e non dimenticare.
Intorno alla tua culla oggi c'è fragor d'armi. 52 stati imperiali – e ricordare sempre i nomi – cercano di mettere in ginocchio la Patria di tuo padre, la tua Patria, questa divina Italia che anche tu imparerai ad adorare. Sono nomi di nemici, sono nomi di amici di ieri, sono nomi gloriosi e prestanti: è il mondo intero, che, coalizzato, tenta il grande delitto. Ma è vana rivolta di schiavi, è l'ultimo anelito dell'ieri, è l'estrema speranza del passato che cerca di fermare il domani; invano, invano, chè la Storia, nel Genio e pel Genio dell'Uomo vincerà e tu sarai cittadino dell'Impero. È quella Roma che i nostri nonni hanno fatto regale, che i nostri padri hanno incoronato della Vittoria; tu la conoscerai imperiale. Ma se sui colli fatali tu rivedrai il segno d'Augusto, ricordati, ricordale sempre, solo perché una grande Vittoria, una profonda Rivoluzione, un invincibile Capo hanno segnato nel tempo le tappe della trionfale rinascita.
Tu non conoscerai fazioni, non partiti. Non vedrai nemici entro i confini sacri della Patria. Solo conoscerai un nome: Italia, una sola cosa amerai: Italia, e per essa solo dovrai essere capace di tutto lasciare, tutto perdere, tutto dimenticare. Di essere odiato e vilipeso, umiliato e straziato: solo, solo per questa Italia dovrai saper morire col corpo e coll'anima. E mai, mai dovrai dimenticare che, per questo sacro nome, madri hanno salutato col sorriso i figli che andavano a morire, mariti hanno abbandonato in fiera letizia le giovani spose, padri hanno orgogliosi baciato per l'ultima volta i loro bimbi. Che per questa Italia si sono fatti di sangue i fiumi, le montagne hanno tremato, i morti sono usciti dalla terra. E che per essa io oggi non ti conosco e potrei non conoscerti mai: ma se così fosse tu amala anche per me, sacrificati anche per me, muori anche per me. E ricordati che, solo quando vedrai cadere il tuo amico più caro, quello che ti è spiritualmente fratello, e tu troverai soltanto il tempo di chinarti e baciarlo, e dalla tua bocca non uscirà una sola parola di rabbia e nel tuo cervello non affiorerà un solo pensiero di imprecazione, ma tu vorrai solo andare avanti per cogliere la vittoria e così facendo sarai certo di vendicare l'amico caduto, allora, appena sarai certo di averla imparata a conoscere, sarai certo di amarla, la tua Patria.
Figlio, la Patria ti sia sempre sopra la famiglia, ma nei loro ideali vivi e agisci: non vi troverai mai contrasto, come ha scritto una letteratura decadente e morta, ma, sempre, santa, necessaria integrazione. Solo così facendo sarai degno di questo italo popolo dalle mille vite che oggi, in cachi e in tuta, in Africa e in Europa, combatte per la causa della Giustizia e della Civiltà, per la causa dell'Impero della "pax romana".
Quando sarai adulto, alla mutilata corona che vedrai sul capo della tua Patria, ti sarà facile riconoscere le gemme di cui il volger del tempo e l'ignavia degli uomini l'han fatta priva.
Riconoscerai la culla dei tuoi avi, quella sacra terra di Dalmazia dove ogni sasso impreca al tradimento e dove ogni pina sale al cielo come una preghiera a Dio per il ritorno della Madre. Riconoscerai Corsica e Malta, Ticino e Grigioni. Ritroverai le gemme perdute di quest'Africa, dove ora s'è accesa la grande favilla della nostalgia, e di quell'Asia che già vide i miracoli dei grandi figli di Roma. Riconoscerai tutte, tutte le gemme che a lei devono ritornare, e tu vedrai restituirgliene chè ad una ad una ritorneranno e tu insegnerai a tuo figlio le mancanti perché non una sola, fra cento, fra mille anni, le manchi.
Mentre l'Impero di Roma ricondurrà il Sole nei cieli del mondo, tu vedrai decadere nazioni, disfarsi stati, distruggersi idoli e illusioni: mentre vedrai finire di morire un mondo, nella certezza del credere, dell'obbedire, del combattere, assisterai alla rinascita del mondo della Giustizia, dell'autorità, dell'ordine, perché nel meriggio delle albe già nate rifulga la civiltà dei fasci.
Un felice destino ti ha fatto nascere in questo XIV anno dei fasci che vede la vendetta di Adua e il trionfo del risorto genio di Roma: che tu, in vita, non conosca che la fuga obbrobriosa del nemico, così come oggi noi l'abbiamo vista: che il tuo cuore non apprenda che l'inesorabile giustizia di Roma per cui illividiscono al brivido della notte i quattro traditori che pendolano a 50 metri da qui; e che i tuoi occhi non vedano che grandezza e potenza, Gloria e Vittoria.
Figlio, nel nome che porti c'è l'auspicio del tuo tempo e della tua generazione: l'Africa dovrà essere il tuo segno e la tua via. Il tuo destino e il tuo dovere, dovrà essere la speranza e il tuo diritto.
Ora cresci: la Camicia Nera, e la divisa cachi che tua madre ti ha fatto trovare nella culla ti dovranno essere compagne di tutta la vita. Sappile portare con amore e con fierezza.
Niccolò Giani