Thursday 8 March 2012

Alcune realtà sul problema demografico

(Pubblicato in « Critica Fascista », febbraio 1930)

di G. B. Pellizzi

La vera e principale peste demografica è nella « famigliuola », divenuta oggi un vero e proprio istituto della società moderna: dappertutto. Oggi non si può più parlare di vere famiglie, ma semplicemente di famiglinole; delle quali ognuno si gloria, e che oramai quasi tutti son disposti a considerare con qualche tendenza ammirativa.

In essa è la vera e propria criminalità demografica.

Rappresenta la sterilità dolosamente voluta, mentre vi sono tutte le prove di ogni possibilità biologica. Con tutto ciò essa è ancora tenuta come titolo per tante assurde concessioni di favore e preferenze di fronte ai celibi. Basta avere moglie, per godere di qualche preferenza, ed il figlio unico, misero rampollo di queste unioni, fornito ad usura di tutte le meno demografiche caratteristiche di questa nostra vita moderna, gode ancora oggi di preferenze contro il figlio di numerosa famiglia, ricco delle sane energie che i forti nuclei veramente famigliari destano e continuamente stimolano.

Chiamare famiglie queste unioni di due individui, che abusano del Sacramento del matrimonio e delle leggi civili a scopo famigliare, per usufruire di tutti i comodi e di tutti i vantaggi respingendo ogni dovere penoso, è una profanazione!

E ciò è un fatto abituale, accettato, preso ad esempio, protetto ed oggetto di preferenze! Giustissimo incoraggiare il matrimonio, ma purché non ci si fermi ai primi passi.

Bisogna trovar modo di esaltare la famiglia numerosa, assicurandone l'esistenza agiata a spese di chi non l'ha; dando adeguate pensioni alle donne che compirono i loro doveri materni e circondando simili famiglie di alta considerazione morale.

Bisogna che le leggi siano rivolte in favore di quell'elemento umano che ha dato prova di caratteri biologici fisio-psichici atti a garantire la continuità dello Stato. Pur non eccedendo nemmeno in tali direttive.

Nemmeno lo Stato può pretendere l'eccesso delle possibilità biologiche, come non lo può chiedere nessuna legge morale.

Sarebbe assurdo non riconoscere alle possibilità biologiche della riproduzione il sacro diritto di un giusto limite; e ciò sia per interesse di salute fisica, che per elevazione morale; sia della specie che degli individui.

Soltanto la famiglia giustamente numerosa potrà portare la salvezza demografica. Le utopie degli allevamenti falansterici, le fantasie avveniristiche, od anche la vaga idea di favorire la formazione di prole illegittima, ossia di figli nati per caso, contro la volontà e il desiderio di entrambi i genitori, e di esaltare le madri che, a loro malgrado, si portano il frutto non desiderato, potranno valere un giorno se si arriverà a fabbricare i figlioli con qualche processo fisico-chimico in vitro; ma finché dovranno farli le donne, sarà lecito non meravigliarsi se esse si manterranno, e procederanno anzi, sulla via nella quale già si mostrano benissimo incamminate; quella cioè di non sacrificare troppo il loro fisico pel comodo dell'altro sesso.

La famiglia è, in realtà, il talamo perenne che l'uomo si è venuto creando e perfezionando a differenza d'ogni altro animale; e se lo è venuto creando ad altissimi fini che costituiscono la unica, nettissima, spirituale differenza fra la specie uomo ed ogni altra specie animale.

Il sesso è anche nell'uomo crescite et multiplicamini; ma è ancor più l'aspirazione al miglioramento, alla perfezione nell'avvenire attraverso i figli; è la necessità interiore, intima, di questa perfezione, di questo avvenire, che noi già viviamo con la nostra opera; è il futuro che è in noi, e che purtroppo oggi ben pochi sentono. Tutto ciò è appunto religione.

È questo il punto che manca interamente in ogni altra specie animale e che differenzia l'uomo, nel modo più netto e sicuro, elevandolo al divino, al futuro.

Bisogna quindi applicare mezzi morali; come la persuasione; bisogna stimolare il sentimento religioso; chieder l'aiuto della scuola; ma senza provvidenze coercitive sarà vano sperare in risultati.

L'uomo, in questo campo, non deve essere libero di scelta, ma seguire ed ubbidire, sotto la guida di alti sentimenti morali e della ragione, all'istinto che la natura gli ha dato e che gli procura insieme gioie e sacrifici. Tutti debbono contribuire a ciò che non è soltanto interesse personale, ma una fondamentale necessità dello Stato.

Già in un mio libro, pubblicato l'estate scorsa dalla Libreria d'Italia, studiai un abbozzo di provvedimenti. Vi sono tracciate e discusse certe linee che potranno certamente subire critiche e mutamenti; credo che certi punti siano giusti; ma soprattutto son convinto che convenga discutere apertamente. Insisto « sulla redistribuzione della retribuzione di ogni lavoro », concedendo questa in rapporto alla qualità e quantità di lavoro compiuto e al grado di continuità che l'individuo fornisce allo Stato con la propria riproduzione. Al Lavoro, dovere sociale, sancito dalla Carta del Lavoro, bisogna aggiungere, come altro dovere sociale verso lo Stato, quello della propria riproduzione. Chi non adempie a questo dovere, o vi adempie in modo inadeguato, deve compensare chi vi adempie, perché egli è libero da un carico, che è necessità dello Stato, e di cui gode molti vantaggi senza subirne i pesi.

Provvedimenti legislativi in tal senso debbono essere applicati senza eccezioni, senza smarrirsi nei meandri delle fisime libertarie, democratiche, egualitarie; come già avviene oggi per la modesta legge della tassa sui celibi.

Le leggi non si preoccupano affatto se la mente di Tizio è così distante da quella di Cajo, che il suo lavoro gli rende appena appena da vivere, e malamente, mentre Cajo trae tanto profitto dall'opera sua da poter vivere nelle maggiori agiatezze; non deve quindi preoccuparsi nemmeno se Sempronio non vuole o non è nato in grado di formarsi la famiglia numerosa, mentre Pietro può e vuole formarsela. Ma quando le leggi distribuiscono le retribuzioni, come danno poco a Tizio pel modesto lavoro che può o vuole compiere, come lavoro dovere sociale, altrettanto poco deve dare a Sempronio per il poco o nulla che egli può o vuol concludere per la propria riproduzione, altro dovere sociale; se non di più, tanto importante, almeno, quanto il primo.

Non è il caso di esporre qui, in queste poche righe concesse ad un articolo, le considerazioni che abbastanza ampiamente ho fatto altrove. Certo è che con una retribuzione basata sui due principii che ho accennati - mantenimento dell'individuo attraverso il lavoro, continuità dello Stato continuità dello Stato attraverso la riproduzione - il controllo sui mezzi di esistenza dei singoli sarebbe più facile; e questo sarebbe già un gran vantaggio, anche demografico. Ma oltre che potente stimolo per spingere alla famiglia numerosa e per innalzarla nella considerazione di tutti, sarebbe un fierissimo colpo inferto al lavoro femminile.

Dopo il trionfante procedere dell'istituto della famigliola, è il lavoro femminile che costituisce il più grave pregiudizio nella questione demografica. Distoglie e disgusta dalle occupazioni famigliari, inasprisce la tendenza ai godimenti immediati, porta a considerare la gravidanza come il più grave dei danni, spinge il capo-famiglia alla riduzione del proprio lavoro, attenua nella famiglia i vincoli affettivi e morali, porta i figli e le figlie ad una precoce indipendenza ricca di pericoli e di danni, porta a mutamenti dell'istinto sessuale e favorisce e seconda pericolose tendenze psichiche degli intersessuali e di chi vi inclina, e forse anche di chi non vi inclinerebbe, aggravando così, oltre tutto il resto, anche la questione del celibato.

L'argomento, come si vede, è gravissimo e meriterebbe ampia trattazione in tanti campi. Ed i danni che ho enunciati sono appena una parte delle gravi colpe che ha il lavoro femminile nel problema demografico. Ma qui sono possibili appena degli accenni.

Così richiamo l'attenzione sulla grave questione, già accennata, della diversità di passo fra i bisogni che le applicazioni pratiche dei più importanti e più puri progressi scientifici vengono rapidamente creando, e il lento progredire dei mezzi economici per poter soddisfare ad essi. È anche questa circostanza una delle principali fonti che alimentano l'ossessione pel godimento immediato ed oscurano i sentimenti per l'avvenire e religiosi.

Questione estremamente ardua, ma nella quale lo Stato potrebbe, io penso, intervenire con qualche vantaggio.

Così si è parlato da Pende dello sport nei rapporti demografici. Egli si 'limita a notare il pericolo pel sesso femminile; io credo che il pericolo sia molto più vasto e per entrambi i sessi. Per le esigenze della educazione guerriera e della salute fisica basta molto meno sport di quel che si insceni oggi, prendendo pedissequamente l'esempio da nazioni che non brillano né per luce di intelletto, né per potenza demografica, né per valore guerresco. Io credo che sia demograficamente molto più conveniente lasciare tranquilli e riposati per quanto più tempo è possibile i giovani vicino alle giovani.

Credo anche che per tutti i gerarchi, dai più umili ai più alti, sarebbe prudente e conveniente che fossero giovani si, ma che avessero una loro esperienza famigliare propria. Il comando, comunque sia, distacca i più dalla vita ordinaria, e toglie un po' il senso dei più umili e comuni doveri. Ciò sarebbe sia di esempio, che di vantaggio demografico diretto.