Friday 9 March 2012

Sardegna ariana

(Pubblicato in « La Difesa della razza » , 5 settembre 1938)

di Lino Businco

Un tempo la sardegna costituiva la pedana di lancio per tutti i giovincelli imberbi che avevano ricevuto il crisma dell'insegnamento universitario della varie tribù ebraica-massoniche.

Giungevano all'Isola dopo una notte insenne trascorsa trepidando ad ogni maschia ondata del nostro Tirreno. Se oggi l'Impero ha aperto mari molto più vasti agli studiosi dell'Italia Fascista, in quei tempi oscuri ai professorelli implumi partiti per la prima volta dalle aule amiche le dieci ore notturne sopra un piroscafo leggero e piccoletto costituivano impresa ardita e poco grata.

E come poter amare questa terra che deludeva sin dal primo approdo chi, fidando nel nome di Golfo degli Aranci, non si aspettava la scogliera opaca ed il lido deserto con le quattro casupole bianche dagli usci silenziosi?

Vagavano per la cime lontane le ombre rosate del mattino, qua e la più vive di luce nuiva, i colli ed i monti sorgevano all'orizzente fatti solo di azzurro; nel cielo non una vece.

Terra di poesia: ma per chi giungeva dalla citta, per chi aveval'orecchio abituato all'urto delle chicchere del caffe, tutto questo era deserto, desolazione, problema da impostare e risolvere, al lume ed al metro della propria, infallibile dottrine.

I problemi c'erano, davvero, ma sorti e sviluppatisi nei secoli senza che mai una meno di ferro li troncasse alla radice, costituivano un viluppo così instricata da non lasciarsi facilmente discernere. Specialmente da chi va giungeva nutrito appena da un'affrettata preparazione libresca, senza l'esercizio di una esperienza umana e senza l'aiuto di uno studio locale lungo e meditato.

Eppure per questi giovinetti precoci non vi erano ostacoli di sorta. Un sopraluogo affrettato, magari attraverso i vetri del treno che portava a Cagliari, poi subito i risultati, i giudizi definitivi, il rimedio infallibile consegnati alla stampa accogliente della Peninsola o all'editore di famiglia...

Malaria, delinquenza, miseria erano il ritornello obbligato, l'oggettivo "sociale" trionfava ora tronfio e pettoruto, ora agile, tagliente, facile come una moneta da cinque centesimi.

Fu in quei tempi che vennero affibbiati alla gente di Sardegna, sotto una etichetta psuedo-scientifica, i più cocenti insukti che mai potessero venire in fantasia.

Vi fu chi incontrandosi per la prima volta in questi uomini del piano e della montagnana li trovò al suo metro, troppo piccoli, minuti di membra e fragili d'ossa, gente malle in carne, fornita di scarse risorse fisiche e psichiche.

Perchè? Quale poteva essere la causa di queste condizioni?

Ecco in soccorso dalla fervida immaginazione e da una più fervida temerariet di giudizi nascere la teoria, il magico giuoco di parole destinato a spiegare tutto: la popolazione di Sardegna andata incontro nei secoli ad un progressivo processo di immiserimento fisico che ha portato agli attuali esemplari decaduti.

Impostata la cosa su questo piano, vengon facili le altre illazioni, Nel volgere degli anni diminuita la statura, si sono fatti più meschini i corpi, non soltanto, ma per la stessa influenza debilitatrice, l'attività psichica è rimasta minorata: si spiega perciò il delitto, l'analfabetismo, ecc. ecc.

Rachitici e cretini, questo era il giudizio definitivo, tradotto in termini più semplice e più concisi, dalle risuonanti e guardinghe circonlocuzioni.

Faciloneria, per non usare altre parole. Estrema labilità psichica di giovanotti ben nutriti innanzi alle immagini di uomini macerati da una dura fatica quotidiana al sole ed al vento, ingialliti dalla malaria cronica buttate nel sangue sino dai primi anni di vita.

Uomini patiti, mal ridotti fin che si vuole, ma non ancora ombre, uomini durissimi nei muscoli e nei nervi che avrebbero ripreso il loro giusto aspetto quando fossero state migliorate le loro condizioni di vita e di lavoro. Erano semplicemente questi i termini del problema. E fu Mussolini che li comprese.

Ma in quei tempi per molti settori della borghesia intellettualoide, allevati e cresciuti entro la ristretta cerchia di circonvallazione, la Sardegna rappresentava la terra sensazionale, pepata d'ignoto, di curioso, la terra interessante, imprevista su cui era lecito dire tutto, purchè fosse diverso e fuor del comune.

Questa storia della razza degenerata, ebbe quindi facile successo, fu accolta gioiosamente alle stampe come un « pezzo » fortunato, non incontrò difficoltà a girare per le piazze, e insinuarsi nei salotti, nei circoli autorevoli e fini ben presto per divenire uno dei più accreditati luoghi comuni della Sardegna.

E tanta è stata la forza di questo luogo comune che ancora oggi vegeta, con altre muffe del genere, tra le circonvoluzioni cerebrali di qualche vecchia cariatide irriducibile alla forza dei tempi nuovi.

Degenerazione della razza: non fu soltanto questa la constatazione dei neo-professori. Vi furono altri che con criterio meno sbrigliato riconobbero nella popolazione di Sardegna una varietà della razza pigmea!

Proprio così: i Sardi vennero accomunati ai Boscimani del Kalahari, ai Ba-Binga delle rive del Sangha, ai Ba-Tua del Congo e — perchè no? — ai tapiro della Nuova Guinea.

Questa fu la sostanza delle cose anche se attenuata dalle consuete circonlocuzioni (spostamenti in epoche preistoriche, variazioni intervenute, ecc. ecc.).

Era facilmente intuibile che si trattava di enormità.

Non potevano appartenere a opachi aggruppamenti razziali africani quegli uomini i cui antenati avevano dato origine alla luminosa civiltà dei Nuraghi, così fervida di opere artistiche e di manifestazioni civili e che pur in un isolamento secolare avevano sviluppate forme originali di arte popolaresca.

Eppure fu necessario portare alla luce vari quintali di ossa dai sepolcreti nuragici per sfatare definitivamente sul più rigido terreno scientifico queste leggende infamanti.

Gli studi compiuti su questo materiale ricchissimo permisero di definire in primo luogo l'aspetto fisico dell'uomo sardo nuragico e la perfetta identità di questo con i primitivi mediterranei, secondariamente si constatò che tra i protosardi e la popolazione attuale vi era una singolare continuità di caratteri che attestava una mirabile conservazione del sangue attraverso i millenni.

Oggi quindi i Sardi vanno considerati come un gruppo purissimo di quegli ariani mediterranei che trovano la migliore espressione entro la razza italiana.