Saturday 10 March 2012

Consuntivo di ieri, compiti di domani

(Pubblicato in « Corrispondenze Repubblicane », 28 febbraio 1944)

di Anonimo

Soltanto dopo dodici mesi l'Ammiragliato inglese si è deciso a comunicare che il grande transatlantico Empress of Canada, stazzante ben ventiseimila tonnellate, fu, nel marzo del 1943, colato a picco da un sommergibile italiano. Nel bollettino di guerra italiano dell'epoca fu annunziato l'affondamento con quello scrupolo della veridicità che, spinto fino al parossismo, costituiva la caratteristica dei nostri bollettini, ma probabilmente gli ascoltatori di radio Londra avranno dubitato della notizia, visto che gli inglesi non la confermavano. Oggi, finalmente, si decidono a farlo. Meglio tardi che mai. Ma questa brillante azione di guerra (la grande nave colò a picco in dodici minuti), quest'azione di guerra, dicevamo, che non andò disgiunta da gesti di cavalleria verso i naufraghi, ci dà motivo per sviluppare un ordine di ragionamenti che sono di una qualche attualità.

Vogliamo dire che suprema ingiustizia nonché grave offesa alla verità storica sarebbe quella di dimenticare i sacrifici compiuti dall'Italia durante i primi quaranta mesi di guerra.

Che al 3 settembre del 1943 sia stato consumato un obbrobrioso inganno, un criminale tradimento a danno degli alleati del Tripartito e, m modo speciale, ai danni della Germania, i cui soldati combattevano valorosamente da anni a fianco dei nostri, questo è un innegabile fatto che rimarrà nella storia per tutti i secoli avvenire. Ma non meno storico è il fatto che tale tradimento fu consumato anche e potrebbe dirsi soprattutto ai danni del popolo italiano o della parte migliore del popolo, ·che è quello che conta nella vita di ogni nazione.

Con la firma della resa a discrezione, marchio di eterna infamia e di imperitura vergogna per i responsabili, non solo si perdevano di colpo tutti i territori di oltremare, non solo si aprivano al nemico le porte dell'invasione nel continente, non solo veniva distrutta sino alla radice tutta la nostra organizzazione militare, ma venivano annullati e irrisi i sacrifici che il popolo aveva sostenuto durante la guerra.

Ora, per la memoria dei caduti che deve essere tramandata alle future generazioni, nel nome di centinaia di migliaia di famiglie che hanno dato alla Patria il loro sangue migliore, intendiamo ricordare questi sacrifici, per evitare che sia deposta su di essi la coltre intenzionale dell'oblio.

La verità indistruttibile è questa: che, dopo la Germania, la nazione che ha sopportato i più gravi sacrifici, è l'Italia.

Le cifre che verremo esponendo peccano in difetto, non in eccesso. Poiché dopo il caos badogliesco ogni rilevamento statistico fu sospeso, preferiamo tenerci al disotto della realtà. Le cifre definitive verranno alla fine della guerra, ma i dati già accertati sono estremamente significativi per stabilire l'esattezza di quanto affermiamo.

Cominciamo dalle perdite umane. A tutto il luglio 1943, l'Esercito aveva pubblicato, nel supplemento mensile del giornale Le Forze Armate, il nome e il cognome di 50.641 caduti sui diversi fronti di guerra. Tale cifra può sembrare modesta, ma bisogna aggiungervi i 203.405 dispersi, dei quali non fu constatata ufficialmente la morte e che non si trovano fra i prigionieri.

Dal canto suo la Marina da guerra ha avuto, a tutto il giugno 1943, 3771 caduti e ben 20.189 dispersi. Gli uomini della Marina mercantile caduti sono 2512.

Le perdite dell'Aeronautica sono di circa seimila equipaggi fra caduti e dispersi. l feriti e i mutilati delle Forze Armate sono in proporzione col numero dei caduti. I prigionieri sono circa cinquecentomila.

A quanto ammontano le perdite della popolazione civile ? A una cifra molto alta. Come si ricorda, i bombardamenti « scientificamente» terroristici contro le città italiane cominciarono con quello di Milano, il 24 ottobre del 1942, e continuano tuttora con ritmo non attenuato, ma piuttosto crescente. Dati esatti mancano, ma non si è lontani dal vero se si afferma che non meno di centomila italiani, in massima parte donne e bambini, sono stati uccisi dai « liberatori » anglosassoni.

Secondo una comunicazione ufficiale inglese, nel solo mese di agosto del 1943, il mese del tradimento che vide i più terribili bombardamenti di tutta la guerra, nella città di Napoli le vittime dei bombardamenti salirono a ventimila.

La popolazione ha sostenuto queste prove durissime con una disciplina e una calma veramente esemplari . . In questo tragico totale vanno aggiunti anche seicento lavoratori italiani occupati in Germania e massacrati dai bombardamenti nemici.

Dopo le perdite umane, quelle non meno imponenti dei materiali. Ricordiamo soltanto quelle della Marina.

Nei combattimenti e nelle interminabili estenuanti crociere di protezione, abbiamo perduto trecentoquarantadue unità da guerra, fra cui ben ottantaquattro sommergibili, finiti in fondo al Mediterraneo o nell'Atlantico. Le perdite della Marina mercantile sono compendiate in queste cifre. All'inizio della guerra il nostro tonnellaggio mercantile saliva a tre milioni e mezzo di tonnellate. Nel luglio del 1943 era in gran parte perduto. Nel solo mese di aprile del 1943, quando fu tentato il massimo sforzo per rifornire le truppe operanti in Tunisia, andarono a picco navi per centoventimila tonnellate, mentre altre cinquantamila tonnellate furono gravemente immobilizzate per un tempo indeterminato.

Se dal campo strettamente militare passiamo al campo civile, i sacrifici sostenuti dall'Italia sono di quasi impossibile valutazione.

L'azione bellica del nemico ha distrutto, diciamo letteralmente distrutto, decine delle nostre città. Napoli ha sostenuto centoquattro attacchi aerei. Ma come non ricordare altre città rase al suolo, come Cagliari, Trapani, Marsala, Messina, Reggio Calabria, Foggia, Benevento, Avellino, Pescara, Civitavecchia, Livorno, Arezzo, Pistoia, Ancona, Rimini, e l'elenco potrebbe continuare con Milano, che, nell'agosto infausto, ebbe il sessanta per cento delle sue case distrutto o reso inabitabile? Dopo le grandi città, è venuto il turno delle città minori; poi dei borghi, quindi dei villaggi. Adesso i bombardieri nemici, indisturbati o quasi, passeggiano sui casolari isolati e fanno « caccia grossa » dei contadini intenti nella sacra fatica dei campi. Le ricchezze materiali, case, stabilimenti, che le bombe dirompenti o incendiarie hanno distrutto sono incalcolabili: superano-indubbiamente i cento miliardi di lire. Ma accanto alle rovi,ne materiali, c'è stata una distruzione di valori morali, storici, artistici, che è definitiva e non ha prezzo. Chiese, palazzi, biblioteche, quadri, statue: creazioni immortali del nostro genio, testimonianze della nostra storia e della nostra gloria, pegni della nostra grandezza futura, tutto ciò è irreparabilmente perduto.

Quando uno di questi monumenti viene ridotto in macerie, sentiamo una ferita al nostro spirito, più acuta che se ci fosse lacerata, da una brutale lama, la carne. Si fa il deserto là dove lo spirito dell'Italia eterna aveva fatto il miracolo della primavera!

Ma che cosa può importare, ad esempio, la distruzione della casa del Petrarca ad Arezzo o la rovina del tempio malatestiano a Rimini ai piloti negri della novantanovesima squadriglia di stanza a Napoli?

A questo aspetto che potrebbe chiamarsi « negativo » della guerra, bisogna aggiungere quello positivo: cioè i colpi inflitti al nemico dalle Forze Armate italiane. Non ci è possibile precisare quanti siano stati i caduti e i feriti angloamericani colpiti dal piombo italiano. Né le perdite di materiali subite dagli eserciti nemict.

Sono viceversa conosciute e stabilite le perdite della Marina mercantile e da guerra britanniche. Le navi mercantili affondate dalle unità della nostra Marina da guerra sono state duecento, per un tonnellaggio globale di 1.474.000 tonnellate. Le navi da guerra affondate sono centosessanta, per un tonnellaggio di 365.418 tonnellate. Le navi da guerra più o meno seriamente danneggiate dai nostri mezzi furono sessantanove, per un totale di 358.560 tonnellate.

La nostra Aviazione ha inflitto perdite particolarmente gravi e all'Aviazione nemica e alla Marina nemica mercantile e militare. In combattimenti nei diversi cieli d'Europa e d'Africa furono abbattuti 32.58 velivoli nemici. Al suolo ne furono distrutti trecentottantotto. Non mettiamo nel conto i « probabili », che furono parecchie centinaia.

Per quanto riguarda il naviglio mercantile nemico, i nostri aerosiluranti hanno affondato ottantasei navi, per 708.500 tonnellate; i bombardieri in quota hanno affondato trentaquattro navi, per 177.530 tonnellate; i bombardieri in picchiata diciotto unità, per 115.000 tonnellate. Naviglio mercantile danneggiato centoquarantacìnque unità, per tonnellate 992.600.

Nel naviglio da guerra nemico la nostra Aviazione ha affondato venti incrociatori, tre incrociatori ausiliari, venti cacciatorpediniere, sette sommergibili, un posa-reti, una cannoniera, sei motosiluranti, sei unità imprecisate. Navi da guerra colpite e danneggiate duecentodieci.

Dall'n giugno 1940 al 31 dicembre 1942, l'Aeronautica italiana ha effettuato sessantamila azioni di bombardamento, lanciato 366.000 bombe per tredicimila tonnellate di esplosivo, sganciato 583 siluri, sparato 2.926.000 colpi di mitragliatrice. Ore di volo 264.614.

Questi numeri sono abbastanza eloquenti e dimostrano che il contributo dato dall'Italia alla guerra del Tripartito è stato imponente e tutt'altro che trascurabile, come certi Paesi neutrali vorrebbero dare ad intendere. Quando il colpo di Stato abbatté non il fascismo, ma la nazione, era in fase di avviata realizzazione un programma di armamenti terrestri, navali, aerei che avrebbero dato all'Italia un'efficienza mai prima raggiunta. Stavano per uscire in serie i primi carri armati pesanti, il P. 40 con cannone da settantacinque e i semoventi con cannoni da novanta millimetri; erano in costruzione e in serie sommergibili tascabili e decine di motosiluranti; erano già stati ordinati migliiia dì apparecchi da caccia e precisamente dei tipi G. 55, RE 2005, MC 205, che significavano un primato su tutte le aviuioni europee.

Quando si farà la storia, si vedrà quale e quanta cura il regime aveva dedicato alle Forze Armate dello Stato, a cominciare da quella Marina creata tutta di sana pianta negli anni fascisti e che nel settembre infame non doveva essere ridotta ai minimi termini, se oggi Churchill ne ricorda le più che cento unità passate intatte al suo Ammiragliato. È mancato in molti generali e ammiragli, come quelli di Pantelleria e di Augusta, il coraggio, non le armi. La Corona e i suoi complici hanno creduto di salvare se stessi col tradimento e hanno tramutato l'Italia in un campo di battaglia. La verità è che nell'estate del 1943 si poteva resistere. Molti episodi di questa e di altre guerre dimostrano che la possibilità di resistere esiste anche quando il nemico sia preponderante in uomini e mezzi, purché non manchi la volontà di combattere. Allo stato d'animo di disperata rassegnazione sta ora sostituendosi una disperata volontà di combattimento, che è un vero atto di vita e di fede. Questa capacità di ripresa è in atto, come se all'orizzonte balenassero le prime luci dell'aurora. Fra poco, sarà giorno pieno. E i dadi saranno gettati. Si tratta veramente di essere o di non essere, di riscattarsi o di perire. O un'Italia forte, unita, indipendente, o una Italia ridotta a colonia in balia dello straniero. Questo il terribile dilemma, il supremo aut-aut che sta e deve stare sempre dinanzi alla coscienza degli italiani.