Thursday 8 March 2012

Ancora Gioberti

(Pubblicato in « Il Popolo d'Italia », 11 febbraio 1934)

di Scrittore fascista

La prosa giobectiana è ricca di parole asprigne, saporose e di neologismi indovinati. Si incontrano parole come queste: schifiltà, infemminire nell'ozio, forestierume, perennare, sfasciume, smanceroso, attillature, disviticchiare, mollizie, delicature, uomini faticanti, laicocrazia, fogliettisti, ecc. Ma più importanti sono sempre i pensieri del filosofo torinese. In tutte le questioni egli ha un punto di vista, che rappresentando le verità fondamentali, vale, oggi, come nel 1850. Ecco con quali termini il Gioberti stabilisce i compiti e i doveri di un'aristocrazia degna di questo nome. Si tratta dell'educazione da impartire ai figli degli aristocratici.
« Imprimano in essi la semplicità dei modi, la grandezza dell'animo, l'austerità del costume, la tolleranza nelle fatiche, la fermezza nelle risoluzioni, J'intrepidità nei pericoli, la generosità nei travagli; li assuefacciano a contentarsi del poco, a fuggire gli agi e le pompe, a tenersi per depositari anziché padroni della loro ampia fortuna, come di un tesoro da dispensarsi in opere di beneficenza e in imprese di utilità pubblica ».
Nel Gioberti si trova l'incentivo e la giustificazione delle opere di ripristino archeologico, alle quali il regime si è particolarmente consacrato, non soltanto a Roma, ma in ogni parte d'Italia. Se Vincenzo Gioberti potesse vedere lo spettacolo meraviglioso della Roma di oggi, dovrebbe fare constatazioni diverse da quelle del suo tempo. Gli scavi, la esumazione e la restaurazione degli antichi monumenti, non giovano soltanto a documentare al mondo la nostra gloriosa storia trimillenaria, ma sono anche fonti di ricchezza, per il richiamo che essi esercitano su tutte le ·genti del mondo civile. Le poche decine di milioni spese per creare quei capolavori che sono la via dell'Impero, la via dei Trionfi, la via del Mare, sono già stati recuperati almeno cento volte, attraverso l'affluire ìnces.sante degli stranieri. Ma Gioberti insisteva sul lato educativo e morale delle ricerche archeologiche così esprimendosi:
« Egli è doloroso a pensare che così pochi siano al dl d'oggi gli italiani solleciti di conoscere e studiare le patrie rovine e che tale inchiesta si abbandoni, come inutile, all'ozio erudito di qualche antiquario. L'archeologia non meno della filologia, ben !ungi dall'essere una scienza sterile e morta, è viva e fecondissima, perché oltre a rinnovare il passato, giova a preparare l'avvenire delle nazioni. Imperocché la risurre2ione erudita dei monumenti nazionali porta seco il ristauro delle idee patrie, congiunge le età trascorse colle future, serve di tessera esterna e di taglia ricordatrice ai popoli risorgituri, destandone ed alimentandone le speranze colla voglia e con l'esca delle memorie ».
Tutta la storia d'Italia passa in rapide sintesi potenti nelle meditazioni di Gioberti. I periodi di grandezza e di miseria, gli alti e bassi del nostro popolo, trovano nel Gioberti un indagatore e un illustratore vigoroso e penetrante. Egli « sente » la storia e come s'inorgoglisce parlando dei periodi di splendore, è amaro e violento quando trae a descrivere le epoche di decadenza. Nella citazione che segue sono condensati tre secoli della nostra storia, i quali dal punto di vista politico sono stati oscuri, perché furono secoli di divisione e di servitù.
« Le ultime faville di virtù e di carità patria perirono in Italia colla repubblica di Firenze; spenta la quale dalla truce e schifosa progenie dei secondi Medici, l'ingegno secolaresco, costretto a menar vita privata ed umbratile, non ebbe più altro campo dove esercitarsi che quello degli studi: in cui rifulsero ancora tre sommi laici, il Tasso, il Galilei, il Vico, che nel culto della sapienza poetica, naturale, filosofica, andarono innanzi a tutti, e risposero in un certo modo alla triade clericale e monachile del Bruno, del Campanella e del Sarpi. Ma il rinnovamento del ceto civile nella penisola e la creazione dell'Italia laicale è dovuta a Vittorio Alfieri, che, nuovo Dante, fu il vero secolarizzatore del genio italico nell'età più vicina e diede agli spiriti quel forte impulso che ancora dura e porterà quando che sia i suoi frutti ».
Questa profezia del Primato si è avverata. L'impulso dato da Alfieri diede i suoi frutti col Risorgimento. Dopo una eclissi, tale impulso è lo stesso che scatenò il maggio radioso del '15 e la marcia di ottobre del '22. È l'impulso che fece vincere la guerra e trionfare la rivoluzione. Non ancora un secolo è passato e già queste parole del Primato giobertiano fiammeggiano nei cuori delle generazioni littorie.
« Italiani - diceva Gioberti - qualunque siano le vostre miserie, ricordatevi che siete nati principi e destinati a regnare moralmente sul mondo! ».