Sunday, 4 March 2012

Discorso al Senato, 13 gennaio 1934

Per lo Stato Corporativo

di Benito Mussolini

Onorevoli Senatori!

Se effettivamente la materia non fosse inesauribile, io avrei rinunziato volentieri alla parola, anche perché la legge che è sottoposta ai vostri suffragi ha avuto una elaborazione lenta e profonda: non nasce d'improvviso. I suoi precedenti possono essere ritrovati in quella che si potrebbe chiamare la protostoria del Regime: la prima adunata dei Fasci di Combattimento tenutasi a Milano 15 anni or sono. Dopo la Marcia su Roma i primi tentativi corporativi furono l'incontro di Palazzo Chigi ed il patto di Palazzo Vidoni.

Viene poi la Legge 3 aprile 1926 seguita dal Regolamento del 1o luglio 1926, la Carta del Lavoro del 21 aprile 1927. La prima Legge sulle Corporazioni è del marzo 1930.

Questa Legge primieramente è stata esaminata dal Comitato Corporativo Centrale, poi è stata discussa nel Consiglio Nazionale delle Corporazioni, ha avuto il suo crisma in lunghe e dettagliate discussioni del Gran Consiglio; è stata riveduta dal Consiglio dei Ministri, è stata presentata a voi con una relazione del Ministero delle Corporazioni. Vi si è aggiunta una relazione quadrata nella sostanza e fervida di fede del vostro relatore camerata e Quadrunviro De Vecchi.

I discorsi che sono stati pronunziati qui hanno gettato altri fasci di luce sul progetto che voi avete esaminato.

Il discorso del senatore Bevione è stato un giro d'orizzonte che ha nettamente individuato taluni aspetti caratteristici della crisi che stiamo ancora attraversando. Di estremo rigore dialettico è stato il discorso del senatore Schanzer. Il senatore Cavazzoni ha posto in risalto il paradosso di questa veramente paradossale opera della civiltà contemporanea che ci fa assistere a fenomeni come questi. Cioè al grano che diventa il combustibile per le locomotive, ai sacchi di caffè che vengono gettati nell'Oceano, alla distruzione della ricchezza, mentre esistono milioni di uomini che l'utilizzerebbero per i loro bisogni insoddisfatti.

Interessante il discorso del senatore Cogliolo, che nel suo brillante debutto ha sottolineato l'importanza dell'adesione al Regime e dell'inquadramento delle masse dei cosiddetti intellettuali: fenomeno tipicamente italiano e unico nella storia se è vero che Platone, come voi certamente mi insegnate - al quale non mancava la saggezza tanto che appena nato le api gli deposero il miele sulle labbra - escluse dalla sua Repubblica i poeti ed affini, ritenendoli perniciosi al pacifico sviluppo della città.

Noi creiamo un Regime dove tutti quelli che una volta si chiamavano i lavoratori del pensiero, tutti quelli che traggono i mezzi di vita dalla loro professione, dalla loro arte, vivono nel Regime e apportano al Regime un contributo insostituibile: il contributo dell'intelligenza. Il senatore Marozzi ha prospettato taluni aspetti della Corporazione applicata all'agricoltura. Finalmente il senatore Corbino, fisico di fama universale, come ognuno di voi ben sa, ha avanzato degli interrogativi di molta importanza e che ci conducono a considerare ottima via quella della circospezione, quando si cammina nel campo dell'economia.

Questa Legge non è solo il risultato della dottrina: non bisogna troppo disprezzare la dottrina, perché la dottrina illumina l'esperienza, e l'esperienza collauda la dottrina. Non solo la dottrina, ma dodici anni di esperienza, viva, vissuta, pratica, quotidiana, durante i quali tutti i problemi della vita nazionale dal punto di vista dell'economia, problemi sempre prismatici e complessi, mi sono stati prospettati; ho dovuto affrontarli, spesso risolverli.

Quali sono le premesse di questa Legge? Le premesse fondamentali sono le seguenti:

- non esiste il fatto economico di interesse esclusivamente privato e individuale;

- dal giorno in cui l'uomo si rassegnò o si adattò a vivere nella comunità dei suoi simili, da quel giorno nessun atto che egli compia, comincia, si sviluppa o si conclude in lui, ma ha delle ripercussioni che vanno oltre la sua persona.

Bisogna anche situare nella storia il fenomeno che si chiama capitalismo, quella forma determinante nell'economia che si chiama l'economia capitalistica. L'economia capitalistica è un fatto del secolo scorso e dell'attuale.

L'antichità non l'ha conosciuto. Il libro del Salvioli è esauriente, definitivo in materia. Nemmeno nel Medio Evo! Siamo sempre in una fase di artigianato più o meno vasta. Chi dice capitalismo dice macchina, chi dice macchina dice fabbrica.

Il capitalismo è quindi legato al sorgere della macchina; si sviluppa soprattutto quando è possibile trasportare l'energia a distanza e quando, in condizioni tutt'affatto diverse da quelle nelle quali viviamo, è possibile una divisione del lavoro razionale ed universale.

È questa stessa divisione del lavoro che nella seconda metà del secolo scorso faceva dire ad un economista inglese, Stanley Jevens che « le pianure dell'America del Nord e della Russia sono i nostri campi di grano; Chicago ed Odessa i nostri granai; il Canadà ed i Paesi baltici sono le nostre foreste; l'Australia alleva per noi i suoi armenti; l'America i suoi buoi; il Perù ci manda il suo argento; la California e l'Australia il loro oro; i cinesi coltivano il tè per noi e gli indiani il caffè; zucchero e spezie arrivano ai nostri porti; la Francia e la Spagna sono i nostri vini; il Mediterraneo il nostro orto. »

Tutto questo naturalmente aveva la contropartita del carbone, delle cotonate, delle macchine, ecc. Si può pensare che in questa prima fase del capitalismo (io altrove la ho definita dinamica ed anche eroica) il fatto economico fosse di natura prevalentemente individuale e privata. I teorici in quel momento escludevano nella maniera più assoluta l'intervento dello Stato nelle faccende dell'economia e chiedevano allo Stato soltanto di essere assente e di dare alla Nazione la sicurezza e l'ordine generale.

È anche in questo periodo che il fenomeno capitalista industriale ha nei suoi dirigenti un aspetto familiare che là dove si è conservato è stato di utilità somma; ci sono le dinastie dei grandi industriali che si trasmettono da padre in figlio non soltanto la fabbrica, ma anche un senso di orgoglio, anche un punto di onore.

Ma già il Fried, nel suo libro La fine del Capitalismo, pur limitando le sue osservazioni al campo tedesco, è condotto a constatare che fra il '70 e il '90 queste grandi dinastie di industriali decadono, si frantumano, si disperdono, diventano insufficienti. È in questo periodo che appare la società anonima.

Non bisogna credere che la società anonima sia una invenzione diabolica o un prodotto della malvagità umana. (Si ride). Non bisogna introdurre troppo di frequente gli iddii ed i diavoli nelle nostre vicende. La società anonima nasce quando il capitalismo, per le sue proporzioni aumentate, non può più contare sulla ricchezza familiare o di piccoli gruppi, ma deve fare appello attraverso emissioni di azioni e di obbligazioni al capitale anonimo, indifferenziato, colloidale.

t questo il momento in cui invece del nome appare la sigla.

Soltanto coloro che sono praticamente iniziati a questa specie di misteriosofia finanziaria sanno leggere sotto il « velame de li versi strani ».

Il senatore Bevione vi ha parlato e vi ha citato la « Sofindit », ma io credo che molti di voi non sanno precisamente che cosa si nasconda sotto questa parola dal sapore vagamente ostrogoto. (Si ride).

La « Sofindit » non è una industria: è un convale= scenziario (si ride) dove vengono collocati in osservazione e in cura degli organismi più o meno deteriorati. Voi non sarete così indiscreti, io spero, da domandarmi chi paga le rette di queste più o meno lunghe degenze. (Applausi, si ride).

In questo periodo, quando l'industria non può collocare, giovandosi del suo prestigio o della sua forza, il suo capitale, ricorre alla banca.

Quando una impresa fa appello al capitale di tutti il suo carattere privato cessa, diventa un fatto pubblico o, se più vi piace, sociale.

E questo fenomeno, che era in atto prima della guerra con una profonda trasformazione di tutta la costituzione capitalistica, e voi potete documentarvi leggendo il libro di Francesco Vito I Sindacati industriali e i cartelli, questa trasformazione accelera il suo ritmo prima della guerra, durante la guerra e dopo.

L'intervento dello Stato non è più scongiurato, è sollecitato. Lo Stato deve intervenire? Non vi è dubbio. Ma come?

Ora le forme dell'intervento dello Stato in questi ultimi tempi sono state diverse, varie, contrastanti. C'è l'intervento disorganico, empirico, caso per caso. Questo è stato applicato in tutti i Paesi, anche in quelli che fino a questi ultimi tempi tenevano issata la bandiera del liberalismo economico. Vi è una forma di intervento, quello comunistico, verso la quale io non ho nessunissima simpatia, nemmeno in ordine allo spazio, senatore Corbino. Escludo per mio conto che il comunismo applicato in Germania avrebbe dato risultati diversi da quelli che ha dato in Russia. Comunque è evidente che il popolo germanico non ne ha voluto sapere.

Questo comunismo, così come ci appare in talune sue manifestazioni di esasperato americanismo (gli estremi si toccano) non è che una forma di socialismo di Stato, non è che la burocratizzazione dell'economia. Io credo che nessuno di voi vuole burocratizzare, cioè congelare, quella che è la realtà della vita economica della Nazione, realtà complicata, mutevole, legata a quello che succede nel mondo (approvazioni) e soprattutto tale che quando induca a commettere degli errori, tali errori hanno conseguenze imprevedibili. (Applausi).

L'esperienza americana va seguita con molta attenzione. Anche negli Stati Uniti l'intervento dello Stato nelle faccende dell'economia è diretto; qualche volta assume forme perentorie. Questi codici non sono che dei contratti collettivi che il Presidente costringe gli uni e gli altri a subire.

Prima di dare un giudizio su questo esperimento bisogna attendere. Vorrei soltanto anticipare la mia opinione, ed è questa, che le manovre monetarie non possono condurre ad un rialzo effettivo e duraturo dei prezzi. (Applausi).

Se noi vogliamo illudere il genere umano, si può ricorrere a quella che una volta si chiamava la tosatura della moneta. Ma la opinione di tutti quelli che non ubbidiscono ad un empirismo di ordine economico e sociale è nettissima. L'inflazione è la via che conduce alla catastrofe. (Vivissimi applausi).

Ma chi può pensare effettivamente che la moltiplicazione dei segni monetari aumenti la ricchezza di un popolo? Qualcuno ha già fatto il paragone: sarebbe lo stesso che riproducendo un milione di volte la stessa negativa dello stesso individuo si ritenesse che la popolazione è aumentata di un milione di uomini. (Approvazioni).

Ma non ci sono dunque le esperienze? Dagli « assegnati » di Francia al marco del dopoguerra germanico?

Quarta esperienza: la fascista. Se l'economia liberale è l'economia degli individui in stato di libertà più o meno assoluta, l'economia corporativa fascista è l'economia degli individui, ma anche dei gruppi associati ed anche dello Stato. E quali sono i suoi caratteri? Quali sono i caratteri dell'economia corporativa?

L'economia corporativa rispetta il principio della proprietà privata.

La proprietà privata completa la personalità umana: è un diritto e se è un diritto è anche un dovere. Tanto che noi pensiamo che la proprietà deve essere intesa in funzione sociale; non quindi la proprietà passiva, ma la proprietà attiva, che non si limita a godere i frutti della ricchezza, ma li sviluppa, li aumenta, li moltiplica.
L'economia corporativa rispetta l'iniziativa individuale.

Nella Carta del Lavoro è detto espressamente che soltanto quando l'economia individuale è deficiente, inesistente o insufficiente, allora interviene lo Stato. Ne è evidente esempio che solo lo Stato, coi suoi mezzi potenti, può bonificare l'Agro Pontino. L'economia corporativa introduce l'ordine anche nell'economia.

Se c'è un fenomeno che deve essere ordinato, che deve essere indirizzato a certi determinati fini, questo è precisamente il fenomeno economico, che interessa la totalità dei cittadini.

Non solo l'economia industriale deve essere disciplinata ma anche l'economia agricola (nei momenti facili anche taluni agricoltori hanno deragliato), l'economia commerciale, la bancaria e anche l'artigianato.

Come deve tradursi nei fatti questa disciplina? Attraverso l'autodisciplina delle categorie interessate. Solo in un secondo tempo, quando le categorie non abbiano trovato la via dell'accordo e dell'equilibrio, lo Stato potrà intervenire e ne avrà il sovrano diritto anche in questo campo, poiché lo Stato rappresenta l'altro termine del binomio: il consumatore. La massa anonima, la quale non essendo inquadrata nella sua qualità di consumatrice in apposite organizzazioni, deve essere tutelata dall'organo che rappresenta la collettività dei cittadini.

A questo punto qualcuno potrebbe essere indotto a domandarmi: « E se la crisi finisse? ». Rispondo: « Soprattutto allora! » Non bisogna nutrire delle illusioni sul rapido decorso di questa crisi. Le code saranno lunghe.

Comunque, anche se per avventura domani vi fosse una ripresa economica generale e si ritornasse a quelle condizioni di latitudine economica del 1914, che testé venivano ricordate, soprattutto allora sarà necessaria la disciplina perché gli uomini facili a dimenticare, sarebbero indotti a ricommettere le stesse sciocchezze, a ripetere la stessa follia. (Vivissimi e generali applausi).

Questa Legge, onorevoli Senatori, è entrata ormai nella coscienza del popolo italiano. Il popolo italiano lo ha dimostrato in questi giorni. Questo ammirevole popolo italiano, laborioso, infaticabile risparmiatore, ha dato a questa Legge otto miliardi di voti che valgono una lira l'uno (vivissimi generali applausi). Ha dimostrato simultaneamente con le vostre discussioni, che questa Legge no è una minaccia, ma una garanzia, non è un pericolo, ma una suprema salvezza.

Tempi della esecuzione. Approvata la Legge procederemo alla costituzione delle Corporazioni. Il Gran Consiglio ha esaminato il testo della Legge nelle discussioni già svolte e ha definito i caratteri e la composizione delle Corporazioni. Costituite le Corporazioni ne seguiremo il funzionamento che dovrà essere rapido, non appesantito dalla burocrazia.

Anche nel funzionamento di questo istituto bisogna tener conto del costo. Il giudizio su un istituto è anche in relazione al suo rendimento di fronte al suo costo. Non bisogna dunque temere un aumento di burocrazia. Bisogna anche rendersi conto che non si può pensare ad una organizzazione umana senza un minimo di burocrazia.

Quando avremo visto, seguito, controllato il funzionamento pratico ed effettivo delle Corporazioni giungeremo alla terza fase: cioè a quella che si chiama la riforma costituzionale. Soltanto in questa terza fase sarà deciso il destino della Camera dei Deputati.

Come vedete, da tutto quello che vi ho detto prima, da queste brevi dichiarazioni, noi procediamo con gran calma. Non precipitiamo affatto i tempi; siamo sicuri di noi stessi, perché come Rivoluzione fascista l'intero secolo sta innanzi a noi.