Sunday 4 March 2012

Discorso al Senato, 30 marzo 1938

Sulle Forze Armate della Nazione

di Benito Mussolini

Camerati! Senatori! Signori!

Sono esattamente passati tredici anni dal giorno in cui - 2 aprile del 1925 - io ebbi l'onore di parlare dinanzi a voi su problemi di carattere militare.

In quell'ormai lontano ma forse non del tutto dimenticato discorso io inquadrai nei suoi aspetti essenziali il problema della nostra difesa e quello dei nostri ordinamenti; oso dire che da quel giorno ci fu una bussola cine guidò il nostro cammino, una mèta verso la quale indirizzammo quotidianamente le nostre energie, mèta che si sintetizza in questo enunciato: rendere sempre più efficienti e sempre più temibili le Forze Armate della Nazione.

Dopo tredici anni io desidero ragguagliarvi nella maniera più riassuntiva ed esauriente possibile e con indispensabile riservatezza per taluni dati su quanto si è fatto per l'Esercito, per la Marina e per l'Aviazione.

Comincerò dall'Esercito, al quale spetta il cómpito della difesa delle frontiere terrestri. Aggiungo subito che la difesa non deve essere interpretata in senso limitativo: spesso la miglior difesa è l'offesa.

Ora in fatto di frontiere la natura ha provveduto a garantire all'Italia considerevoli coefficienti di sicurezza. Quando siano resi ermetici alcuni passi - il che si sta facendo - per tutto il rimanente della grande cerchia, le Alpi sono invalicabili e non soltanto nei mesi invernali. Al riparo di questa gigantesca fortificazione segnata da Dio per i millenni vive e si sviluppa un popolo la cui massa numerica lo pone già, esclusa la Russia, al terzo posto in Europa, mentre è uno fra i più omogenei della terra. Entro l'anno solare corrente l'Italia supererà i 44 milioni di abitanti: fra dieci anni attingerà nel solo territorio della Madre patria i cinquanta.

Di questo dato fondamentale bisogna tenere conto quando si parla di armi e di armati. Senza gli uomini non si fanno i battaglioni e ci vogliono molti uomini per formare i grossi battaglioni. Chiamando gli uomini dai 21 ai 55 anni, l'Italia può arrivare a 8 milioni di mobilitati; aggiungendovi i giovani di 18, 19 e 20 anni si oltrepassano i 9 milioni. Calcolando che il 50 per cento di questa massa sia destinato ai servizi delle retrovie - importanti, specie per il carattere che va assumendo la guerra moderna -- restano sempre da 4 a 5 milioni di combattenti di prima linea. Non potete non convenire, onorevoli camerati, che è una massa imponente. Alla data del 1° marzo dell'anno corrente noi possiamo mobilitare al completo e in un breve termine di tempo un numero di unità superiore a quello che fu impegnato nella battaglia di Vittorio Veneto. Questo dimostra quanto sia ridicola la polemica di taluni ambienti d'oltre Alpe secondo la quale la guerra africana ci avrebbe indebolito: così come l'istituzione di due Corpi d'Armata in Libia o la partecipazione dei volontari alla guerra di Spagna.

Tutto ciò ci ha invece formidabilmente rafforzati e, non soltanto dal punto di vista morale, come sempre avviene quando si vince, ma nei mezzi, che abbiamo a mano a mano sostituito e, quindi, aggiornato e perfezionato nei quadri e negli uomini, che hanno potuto, unico esercito dalla guerra mondiale in poi, fare la grande esperienza di una guerra vissuta e vinta.

Accanto ai grandi Capi che si chiamano Badoglio, De Bono, Graziani vi sono decine di generali che hanno fatto o rifatto la guerra: si sono cioè ancora una volta cimentati in questo evento supremo nella vita dei popoli. Vi sono migliaia di ufficiali di ogni grado che hanno guidato gli uomini al combattimento contro un nemico guerriero e crudele come l'abissino, o in una guerra a carattere ormai classicamente europea come la spagnola. Vi sono infine centinaia di migliaia di soldati che hanno marciato, combattuto, sofferto facendo una guerra, che anche nel caso dell'Etiopia, presentò difficoltà eccezionali e assunse carattere continentale.

È mio intendimento che tutti questi uomini, i quali hanno la esperienza di una, due, talora tre guerre, costituiscano al momento opportuno una o più armate e di manovra e di assalto.

Non insisterò sul morale di queste truppe né di quelle di leva. Esso è semplicemente superbo ed è destinato a migliorare ancora, mano mano che la G.I.L., da me voluta, preparerà moralmente e fisicamente e politicamente le nuove generazioni per i nuovi sempre più alti cómpiti. Cosi, mentre declinano i gloriosi veterani della guerra mondiale, che si misurarono vittoriosamente con razze tradizionalmente guerriere, quali l'austriaca e la magiara, sorgono i figli e i nipoti, capaci di raccogliere l'esempio dei maggiori con l'ansia palese di superarli.

Gli ufficiali dell'Esercito italiano di tutte le armi e corpi, per il loro alto senso del dovere, per il loro coraggio fisico e morale, per la loro dirittura e cavalleria, per il cameratismo e lo spirito di sacrificio, costituiscono veramente una gerarchia di valori nazionali, degna del più incondizionato rispetto.

I problemi che li riguardano si tende risolverli in modo che le esigenze dei singoli si concilino con le superiori esigenze collettive dell'Esercito e della Nazione. Non meno degni di elogio sono i sottufficiali delle cui condizioni il Ministero si sta particolarmente occupando. Per mobilitare un milione di uomini occorrono mezzi materiali ingenti, il cui ordine di grandezza va dal milione al miliardo, come per le cartucce per armi portatili. Il C.G.F.G., o, più intelligibilmente, Comitato generale per le fabbricazioni di guerra, istituito nel 1935 e diretto con superiore competenza dal senatore Dall'Olio, è l'organo che coordina, controlla, sospinge tutti gli stabilimenti che lavorano ininterrottamente per le Forze Armate. Tali stabilimenti, che si chiamano appunto ausiliari, sono 876, con una massa di operai di 580.033, sottoposti alla disciplina militare. Aggiungo subito che la disciplina degli operai negli stabilimenti ausiliari è perfetta.

Non è questa la sede più adatta per esporvi la nostra dottrina di guerra, così come l'abbiamo elaborata e aggiornata alla luce delle esperienze antiche e recenti, nostre e altrui. Vi dirò solo che noi tendiamo a preparare uomini e mezzi per una guerra di rapido corso. Per questo non sarà mai abbastanza curato l'addestramento individuale del soldato e collettivo dei reparti, nell'ordine chiuso e nell'ordine sparso.

Non sarà mai abbastanza appoggiata dai cannoni e dotata di cannoni la Fanteria che fu e sarà sempre la Regina delle battaglie. Non sarà mai abbastanza iperalimentato l'attacco con riserve innumeri, onde il successo tattico si tramuti in quello che è lo scopo della battaglia: il successo strategico. La motorizzazione non deve essere spinta oltre un certo limite, sotto pena di comprometterne i vantaggi. La divisione, se divisione deve chiamarsi, non può avere meno di 9 battaglioni. I quadri superiori e inferiori devono possedere in sommo grado il senso di responsabilità e lo spirito d'iniziativa e di decisione.

Non sarà mai abbastanza coordinato il lavoro delle diverse armi e l'apprestamento dei mezzi logistici nonché - sulla scala globale - l'armonizzazione dell'azione unitaria dell'Esercito, della Marina e dell'Aria per attuare quella che io chiamo la condotta unitaria della guerra integrale, cioè rapida e implacabile.

Nell'Italia fascista il problema del comando unico, che tormenta altri Paesi, è risolto. Le direttive politicostrategiche della guerra vengono stabilite dal Capo del Governo. La loro applicazione è affidata al Capo di Stato Maggiore Generale e agli organi dipendenti. La storia - anche la nostra - ci dimostra che fu sempre fatale il dissidio tra la condotta politica e quella militare della guerra.

Nell'Italia del Littorio questo pericolo non esiste.

In Italia, la guerra come lo fu in Africa, sarà guidata, agli ordini del Re, da uno solo: da chi vi parla, se, ancora una volta, questo grave cómpito gli sarà riservato dal destino.

La guerra terrestre è facilitata o meno dal dominio maggiore o minore del mare. Che cosa rappresenti il dominio del mare nello sviluppo della potenza dei popoli vi è manifesto attraverso i lumi della storia e le nostre stesse esperienze nazionali. L'Italia, soprattutto l'Italia, ha il dovere più che il diritto di possedere una Marina da guerra degna di questo nome. La stiamo facendo. Anche qui il problema ha dei termini semplici: costruzioni, quadri, navi.

Le discussioni del dopoguerra fra i sostenitori delle navi da battaglia e gli altri favorevoli ad un innumerevole naviglio minore si sono esaurite come tutte le discussioni a carattere piuttosto teoretico. È positivo che non bastano le navi da battaglia a formare una marina, ma è più positivo ancora che con il famoso « pulviscolo » navale non si fa una Marina. Anche senza la facoltà che ci era stata concessa dalla Conferenza di Washington, noi avremmo finito per costruire delle corazzate. Decidemmo nei primo tempo di rinnovare le vecchie: ciò accadde durante la gestione Sirianni.

La cosa fu attentamente esaminata, anche perché, bisogna riconoscerlo, i precedenti del genere nella nostra Marina non erano stati felici. In realtà il nostro Genio navale ha risolto il problema nel più brillante dei modi: le vecchie unità sono state più che ringiovanite, rifatte. Due di esse, la « Cavour » e la « Cesare » sono già entrate in Squadra. Le altre due, la « Duilio » e la « Doria » sono in cantiere. Per le altre quattro navi di linea abbiamo utilizzato il tonnellaggio massimo di Washington: 35.000 tonnellate; la « Vittorio Veneto » e la « Littorio » sono state varate; le altre due, la « Roma » e l' « Impero » si lavora a impostarle. Tra il 1940 e il 1941 e, anche prima, se possibile, il nerbo della nostra Flotta sarà costituito da 8 navi di linea di complessive 240.000 tonnellate circa.

Dopo le navi di linea segue il minor naviglio di superficie, il cui tonnellaggio va dalle 10.000 tonnellate della « Trento » alle 600 delle torpediniere. È una massa notevole di unità bene armate, veloci, manovrabili, tutte, o quasi, costruite durante la nostra Era.

Viene, quindi, il naviglio subacqueo. Confermo al Senato che l'Italia ha oggi la flotta sottomarina più potente del mondo. Abbiamo distanziato tutti e in modo tale che sarà molto difficile, se non impossibile, raggiungerci e toglierci questo primato.

I quadri della Marina sono all’altezza del loro cómpito. La preparazione morale e professionale nell'Accademia di Livorno si fa sempre più accurata.

In questi ultimi anni, così ricchi di avvenimenti, la Marina ha potuto dare la prova della sua solidità e della sua forza. Il suo contributo alla campagna per la conquista dell'Impero è stato essenziale. Gli ufficiali dello Stato Maggiore, dagli ammiragli ai guardiamarina, hanno tutti la coscienza della loro missione e sono pronti a qualsiasi cimento.

A coloro i quali, dissertando di strategia navale, avanzano la ipotesi che anche nelle guerre future le navi da battaglia rimarranno vigilate nei porti - come durante la Grande Guerra - io rispondo che per l'Italia ciò non avverrà: non è questione del posto delle navi, è questione della tempra degli uomini e degli ordini che riceveranno.

Come gli ufficiali di vascello, altrettanto degni di menzione sono gli ufficiali del Genio navale e quelli delle Armi navali e degli altri Corpi.

Nella vita d'una moderna unità di guerra il cómpito dei sottufficiali e degli specialisti è sempre più importante. Le scuole per preparare tali specialisti funzionano ottimamente. La G.I.L. vi ha la sua parte.

La disciplina degli equipaggi è ammirevole. Non mai come salendo a bordo di una delle nostre navi da guerra si ha l'impressione della profonda trasformazione, fisica e morale, che il Regime ha operato nel nostro popolo. Tutte le volte che nei porti stranieri si mancò di rispetto all'Italia o al Fascismo, i nostri marinai non lo tollerarono.

Fondamentale per l'efficienza della Marina è l'esistenza di numerose e munite « basi ». Tutte le nostre basi del Mediterraneo centrale ed orientale sono particolarmente rafforzate. Insieme con le basi sono stati compiuti grandi lavori per i depositi di combustibile liquido, depositi costruiti secondo le più aggiornate indicazioni dell'ingegneria in materia.

Comunico che abbiamo in casa nafta per il consumo previsto di un abbastanza lungo periodo d'operazioni. Altrettanto dicasi per il munizionamento di superficie e per i siluri.

Sotto un altro dato della situazione desidero richiamare l'attenzione del Senato e, cioè, sull'effettuata riduzione dei servizi a terra, che, una volta, erano disimpegnati da forze della Marina e, oggi, sono disimpegnati da formazioni della Milizia. La difesa costiera, salvo in taluni settori d'importanza capitale, è affidata alle Camicie Nere, che assolvono il loro cómpito nel modo più commendevole.

Così quella che una volta poteva definirsi deplorevole tendenza all'insabbiamento nei posti a terra, è ormai scomparsa, anche perché ripugna al costume delle nuove generazioni.

Attraverso la dura lezione dei fatti e la progredita educazione politica, sta sorgendo in Italia una « coscienza » che chiamerò più che marinara « navalistica » nel senso imperiale della parola. Gli uomini del mare sono abituati al silenzio, alla pazienza, alla precisione, al rischio. L'Italia può contare sul loro coraggio, sulla loro capacità e sulla loro abnegazione.

Vi è noto, onorevoli Senatori, che negli anni dal 1919 al 1922 fu deliberatamente perpetrato il letterale massacro della nostra Aviazione. È solo dopo l'avvento del Fascismo al potere che l'Aviazione ricomincia a vivere. Le tappe di questa rinascita sono consacrate nelle leggi e nei provvedimenti che ridavano un'Ala alla Patria.

Nel decennio 1924-1934, l'Aviazione italiana si organizza e si afferma brillantemente con le memorabili crociere mediterranee ed oceaniche. Le basi sono gettate per il grande edificio, la cui costruzione comincia nel luglio 1934, con una prima assegnazione straordinaria di 1200 milioni. Sono passati quattro anni. Oggi l'Aviazione italiana è una delle prime del mondo. Accanto alle aliquote ausiliarie dell'Esercito e della Marina e a quelle coloniali, è sorta finalmente l'Armata dell'Aria. Alcune migliaia di apparecchi quasi tutti recentissimi formano il complesso delle nostre forze aeree.

Anche qui il trinomio, costruzioni, quadri, basi. Sono attualmente addetti alla costruzione di aeroplani e motori circa 58 mila operai in molti stabilimenti, non più concentrati tutti e soltanto nella valle del Po, dislocati anche nell'Italia Centrale e Meridionale.

Le tendenze della nostra ingegneria aeronautica sono per un apparecchio che possa fare ricognizione e bombardamento e difendersi; per un apparecchio da bombardamento che possa effettuare e il bombardamento diurno e quello notturno; per un apparecchio da caccia dotato di alta velocità, ma soprattutto di grande manovrabilità. I nostri « C.R. 32 », per quanto meno veloci, hanno nei cieli iberici fatto strage dei più veloci « Curtiss » e « Rata ».

Si va verso la costruzione totalmente o quasi metallica. È indicato il bimotore per la ricognizione e il bombardamento leggero; ma per il bombardamento a grande distanza e con forte carico di bombe occorre il trimotore. Ne abbiamo un tipo che ci è dovunque invidiato e richiesto. Il quadrimotore - allo stato degli atti - può essere impiegato nelle linee civili. Apparecchi con un maggior numero di motori non diedero, sin qui, buona prova. Il famoso « DO X » con 12 motori, dopo lunga attesa, è stato utilizzato come ferraglia.

In fatto di costruzioni aeronautiche contiamo di raggiungere l'autarchia completa. Si tende a realizzare il massimo coefficiente di sicurezza.

Un aeroplano si fa in un giorno, non così un pilota. L'aeroplano è una macchina che si fa a serie. Il pilota è una vita umana. Tutta questa materia è oggetto della più intensa ricerca scientifica e della esperimentazione pratica. La città di Guidonia fu creata e funziona a tale scopo. Il ruolo dei naviganti dell'aria - esclusi quelli venuti dalla riserva per le necessità della guerra - è quasi tutto uscito dall'Accademia di Caserta, la quale ha trovato il suo complemento nella scuola d'applicazione di Firenze.

Gli aviatori italiani, ufficiali e sottufficiali, sono ormai circondati dalla leggenda. Ciò che hanno fatto e fanno, in pace c'in guerra, ha suscitato la generale ammirazione. La loro perizia professionale, il loro sprezzo del pericolo non hanno pari nel mondo. Centinaia di essi hanno ormai la esperienza di due guerre.

Molti sono caduti combattendo o nell'adempimento del loro dovere.

Esiste in Italia la possibilità d'avere una massa di 20-30 mila piloti attraverso la Leva dell'aria, introdotta soltanto da noi; e attraverso l'entusiasmo esistente fra i giovani. A questo riguardo va ricordata l'attività della R.U.N.A.

Tutta la struttura terrestre dell'Aeronautica è ormai a punto. Sono pronti molti aeroporti, campi di fortuna e un numero non precisabile di campi « occulti », così come i depositi fatti a regola d'arte, i carburanti e gli esplosivi che sono della più distruggitrice potenzialità. In tema di bombe e di torpedini aeree non dico altro. Ma i progressi realizzati devono considerarsi molto soddisfacenti.

La nostra dottrina della guerra aerea è stata applicata prima ancora di essere insegnata dalla cattedra. Spogliata da ogni passionalità polemica, la visione di Douhet ci appare come quella di un precursore. La guerra dall'alto deve essere condotta in modo da scompaginare i dispositivi del nemico, dominare il cielo, fiaccare il morale delle sue popolazioni. Tutta la tecnica del bombardamento è migliorata ed è aumentata, quindi, la possibilità di colpire il bersaglio, anche se in movimento. La guerra dall'alto è destinata ad assumere una importanza sempre maggiore, nella guerra di domani.

Qui occorre portare il discorso sulle possibilità della difesa contraerea attiva e passiva. Per la difesa attiva si deve contare in primo luogo sulla rappresaglia moltiplicata, sulla caccia, sull'inierdízione, dove esiste, sul fuoco delle batterie e mitragliere.

Bisogna riconoscere che l'artiglieria contraerea ha compiuto un notevole cammino.

Quanto alla difesa passiva, la migliore consiste nello sfollamento dai grandi centri demografici di tutti coloro, e sono moltissimi, che non siano strettamente obbligati a vivervi. Sino da questo momento io dico che tutti coloro i quali possono organizzare la loro esistenza nelle città minori, nei villaggi, nelle campagne, faranno bene a non attendere le ore 12. Domani, al caso vero, potrebbe essere vietato tutto ciò che può arrecare intralcio alla mobilitazione. Tanto peggio allora per gli imprevidenti e i ritardatari.

Onorevoli Senatori!

Il mio esame della nostra situazione militare non sarebbe completo se non ricordassi l'attività delle Camicie Nere, sia di quelle inquadrate nelle legioni e nei battaglioni, sia di quelle appartenenti alle Milizie speciali. Tutte insieme formano quella che si potrebbe chiamare l'organizzazione militare in senso orizzontale della Nazione.

Le Camicie Nere hanno dato prova del loro valore, battendosi eroicamente in Africa e in Spagna. La loro presenza dà al popolo l'abitudine alla disciplina ed all'ordine. Con la post-militare, affidata alla Milizia, diecine e diecine di migliaia di ufficiali hanno la possibilità ambìta di servire nei ranghi.

L'opera del Capo di Stato Maggiore generale Russo merita d'esservi segnalata. Quello della Milizia è un volontarismo di tipo assolutamente nuovo, cioè fascista; è un volontarismo che può durare 10, 20 anni e anche tutta la vita.

Da quanto vi ho detto, una convinzione spero sorgerà nell'animo vostro: che i problemi militari sono i fondamentali e ad essi io dedico la massima parte della mia giornata.

Questo compito mi è facilitato grandemente dall'assidua preziosa collaborazione che mi viene data dai Sottosegretari Pariani, Cavagnari, Valle, coi quali ogni problema di cose e di uomini viene esaminato e discusso: noi lavoriamo cameratescamente insieme, con l'animo teso all'identico obiettivo.

Un'altra convinzione io credo sia sorta in voi e, cioè, che chiunque osasse attentare ai diritti e agli interessi della Patria, troverebbe in terra, in mare, in cielo, la immediata, risoluta, fierissima risposta di un intero popolo in armi.

Ciò stabilito, desidero che una terza convinzione non si faccia strada in voi e, cioè, che ormai tutto è a posto e che possiamo dormire sonni tranquilli. Appunto perché molto si è fatto, bisogna dire a noi stessi che il più resta da fare. E lo faremo a qualunque costo. Così noi intendiamo assicurare la pace in genere; ma soprattutto la « nostra » pace.

Noi respingiamo illusioni ed utopie. Per questo abbiamo lasciato lo spaccio che le vende a Ginevra. Quello che ha sempre contato e conta nei rapporti fra i popoli è il loro potenziale di guerra. Noi mettiamo in prima linea del nostro potenziale le forze dello spirito. Esse non furono mai in Italia così profonde, così diffuse, così ardenti e volitive come oggi.

Napoleone Buonaparte, l'italiano che trovò in Francia lo strumento per dispiegare il suo sovrumano genio militare, previde questo: Quando durante la guerra di Spagna il Maresciallo di Francia Suchet chiese all'imperatore di poter disporre della divisione italiana Palombini, Napoleone rispose: « Avete ragione, questi, Italiani saranno un giorno i primi soldati del mondo ».

Noi questo vogliamo: che il vaticinio napoleonico si tramuti nella realtà fascista e romana del nostro tempo.

(Subito dopo il discorso, i deputati, convocati a Montecitorio per una riunione straordinaria, superando la formalità di ogni regolamento, approvano una proposta di legge con la quale è creato il grado di Primo Maresciallo dell'Impero e conferiscono tale grado a S. M. il Re Imperatore e a Benito Mussolini, Duce del Fascismo.)