Saturday 3 March 2012

Discorso alla Camera, 10 febbraio 1923

La nuova politica estera e la questione della Ruhr

di Benito Mussolini

 Con l'approvazione degli accordi di Santa Margherita si chiude quella che si potrebbe chiamare la settimana di politica estera del Parlamento italiano: settimana che si potrebbe chiamare anche pacifica, perché si è cominciato con la ratifica delle convenzioni di Washington, che rappresentano una sosta nei grandi armamenti navali e si finisce con l'approvazione degli accordi di Santa Margherita, conseguenza del già ratificato ed in massima parte eseguito Trattato di Rapallo.

Chiudendo questa settimana di lavoro, mi permetto di constatare che la Camera ha fatto del buon lavoro e che in questa Sessione ha rialzato indubbiamente di qualche punto il suo prestigio di fronte al Paese.

Sono grandi le questioni sulle quali si è intrattenuta la Camera, non già trattatelli o leggine inconcludenti, come taluno ha detto.

Mi sono rifiutato d'imbarcarmi, come si tentava di fare dalla Sinistra, in una delle solite discussioni di indole generale che non concludono nulla. Fin che starò io a questo banco, la Camera non si tramuterà in un comizio. Non c'è niente da discutere in materia di politica interna: quello che accade, accade per mia precisa e diretta volontà e dietro miei ordini tassativi, dei quali assumo naturalmente piena e personale.

È inutile quindi battere sui funzionari delle singole Amministrazioni: gli ordini sono miei. Non mi importa di sapere se esista un complotto nel senso che si dava a questa parola: ciò sarà stabilito dagli organi competenti. Esistono viceversa dei signori, i quali si illudevano di poter fare impunemente la guerra allo Stato ed al Fascismo. A quest'ora devono essere disillusi e più si disilluderanno in seguito.

La differenza fra lo Stato liberale e lo Stato fascista consiste precisamente in ciò: che lo Stato fascista non solo si difende, ma attacca. E coloro che intendono di diffamarlo all'estero o di minarlo all'interno devono sapere che il loro mestiere comporta incerti durissimi.

I nemici dello Stato fascista non si meraviglieranno se io li tratterò severamente come tali.

E a proposito del discorso di Filippo Turati, il mio fiuto di vecchio combattitore non mi ha ingannato quando ho respinto alcuni giorni fa le avances che venivano da quella parte, anche in suo nome, a mezzo di Gregorio Nofri, che, essendo stato in Russia, ha sentito immediatamente il prepotente bisogno di scrivere contro la Russia e di diventare antibolscevico. Le pecore rognose non entreranno nel mio ovile.

Sono ancora fedele alla mia tattica. Non cerco nessuno. Non respingo nessuno. Ma fido soltanto sulle mie forze.

Ecco perché in questi ultimi tempi ho voluto che si stringessero contatti, dopo la riunione del Gran Consiglio Fascista, con quei partiti che, lottando sul terreno nazionale, possono stabilire con noi buoni rapporti per un lavoro in comune.

Ma tutto ciò sia detto subito, non è stato fatto ai fini parlamentari, bensì ai fini della coesione, dell'unità e della pacificazione del paese.

Concordo pienamente con quanto ieri sera ha detto l'onorevole Cavazzoni a proposito delle otto ore.

Ho dichiarato, davanti ad un'assemblea di ottocento tipografi, che le otto ore rappresentavano una conquista intangibile delle classi operaie.

Non c'è bisogno di intavolare una lunga discussione, perché si attribuiscano, all'una o all'altra parte della Camera, meriti insigni, perché il Governo, in uno dei suoi prossimi Consigli dei ministri, deciderà, una buona volta per sempre, la questione delle otto ore.

Ciò detto, e spero che tutti intendano anche il senso delle parole che non ho pronunciato, passo alla politica estera.

Intanto dichiaro che non posso accettare la tesi dell'onorevole Lucci, il quale pretende che io sia originale.

Prima di tutto, l'onorevole Lucci deve darmene il tempo. In secondo luogo non c'è nessuna originalità in materia di politica estera; ed io mi rifiuterei energicamente di fare l'originale, se questa originalità dovesse procurare qualche linea soltanto di danno al mio Paese.

E non posso nemmeno accettare la sua tesi troppo idealistica. Vedo ilmondo come realmente esso è: cioè un mondo di scatenati egoismi. Se il mondo fosse una bianca Arcadia, sarebbe forse bello trastullarsi tra le ninfe e i pastori; ma io non vedo nulla di tutto ciò, e anche quando si alzano le grandi bandiere dei grandi principi, io vedo dietro questi drappi, più o meno venerabili, degli interessi che cercano di affermarsi nel mondo.

Se tutta la politica estera fosse portata su un terreno di squisito e di puro idealismo, non sarebbe certamente l'Italia che si rifiuterebbe di entrare su questo terreno.

In realtà questo non è. Quindi tutto il discorso dell'onorevole Lucci appartiene alla musica del più lontano avvenire.

Quando sono arrivato a questo banco c'è stato un momento di trepidazione in certi ambienti della politica internazionale; si credeva, cioè, che l'avvento del Fascismo al potere avrebbe significato per lo meno la guerra alla Jugoslavia.

Dopo quattro mesi l'opinione pubblica internazionale è pienamente rassicurata.

La politica estera del Fascismo non può essere, specie in questo momento storico, che una politica estera estremamente circospetta e nello stesso tempo fortemente attiva.

La Nazione, uscita dal travaglio mirabile e sanguinoso della guerra, è ora tutta intenta all'opera di rifacimento dei suoi tessuti politici, economici, finanziari e morali: infliggere uno sforzo che non fosse imposto da un caso di estremissima necessità significherebbe fare una politica antinazionale e quindi suicida.

A Londra, come a Losanna, la politica estera dell'Italia si è tenuta su queste direttive. A Losanna soprattutto l'opera della Delegazione Italiana è stata altamente apprezzata. Se la pace non è stata firmata a Losanna, nessuna responsabilità spetta all'Italia.

D'altra parte non conviene parlare con eccessivo pessimismo dello svolgersi degli avvenimenti nel Mediterraneo orientale.

Non bisogna credere che certo innocuo digrignar di denti, effetto talvolta di reciproci nervosismi, possa significare inizio di guerra.

Ho l'impressione che se la Grecia sarà prudente, e che se l'Intesa sarà unita, come è accaduto per le sue navi nel porto di Smirne, anche la Turchia, che ha realizzato gran parte del suo programma nazionale lanciato dalla grande assemblea di Angora, diventerà ragionevole.

Non vi è ragione quindi di temere complicazioni militari in Europa.

D'altra parte l'Italia ha impedito e impedirà che il turbamento prodotto dagli avvenimenti nella Ruhr possa avere delle ripercussioni, catastrofiche nei paesi del bacino danubiano.

La situazione nella Ruhr è stazionaria. Dichiaro ancora una volta che l'Italia non poteva fare una politica diversa. Il tempo dei gesti belli e inutili è passato.

L'atteggiamento che taluni elementi di sinistra in Italia reclamano sarebbe stato inutile. Non avremmo impedito alla Francia di marciare nella Ruhr, mentre avremmo forse aumentata la resistenza tedesca.

Anche l'altro gesto che consisteva nella mediazione non poteva essere compiuto, perché non si fanno mediazioni di nessun genere, se non sono richieste e gradite.

Del resto l'Inghilterra si è limitata alla non partecipazione tecnica nelle operazioni nel bacino della Ruhr, ma non ha spinto il dissenso con la Francia fino a ritirare le sue truppe dalla Renania.

Giova ancora aggiungere del resto che la Francia non ci ha richiesto fino a questo momento una forma di solidarietà più recisa. Se questo avvenisse, è chiaro che l'Italia si riserverebbe di porre sul tappeto tutto il complesso sistema delle relazioni tra i due paesi.

Quanto alle Convenzioni di Santa Margherita, che la Camera è invitata ad approvare, esse rappresentano l'ultima fase del nostro triste e lamentevole dramma adriatico.

Io qui potrei rispondere nei dettagli: potrei, per esempio, dimostrare all'onorevole Chiesa che proprio ieri, in data 8 febbraio, ho ricevuto da Belgrado questo telegramma:

« Questo ministro jugoslavo comunica che sono stati impartiti ordini alle autorità di Spalato perché i locali di codesta scuola siano evacuati e messi a disposizione della scuola stessa, nonché sia liberato e restituito l'alloggio annesso a codesta chiesa di San Spirito ».

Potrei correggere altre inesattezze, ma non è mio compito; non vale la pena di discendere a discussioni di dettaglio. Sono sempre d'avviso che bisogna applicare queste Convenzioni per provarle.

Non mi sento di difendere con troppe parole un trattato che non ho approvato quando fu concluso, e che ritengo anche oggi in molte delle sue parti assurdo e lesivo agli interessi italiani. Ma le cose stanno oggi in questi termini: o applicare definitivamente il trattato o denunziarlo.Poiché denunziarlo non si può nelle attuali condizioni e poiché la denunzia significherebbe riaprire tutta la questione, non resta che l'applicazione leale e scrupolosa da parte nostra come leale e scrupolosa dovrà essere dalla parte di Belgrado.

L'attesa indefinita, in vista di avvenimenti che potrebbero verificarsi, è il peggiore dei sistemi in questo momento.

Bisogna avere il coraggio di troncare una situazione che era diventata insostenibile, e che ci dava tutti gli svantaggi senza assicurarci quelli che possono essere gli utili consentiti da relazioni nettamente definite.

Del resto non si capisce perché proprio il Trattato di Rapallo dovrebbe essere, tra tutte le centinaia di Trattati che sono stati stipulati da quando il mondo fa la sua storia, proprio l'unico Trattato irreparabile, tombale, perpetuo. Nessun Trattato ha mai resistito a nuove condizioni di fatto maturatesi nel corso del tempo; l'essenziale è, a mio avviso, di mettersi in condizioni tali che una eventuale revisione ci trovi in grado di poter riven dicare con dignità e con forza il nostro diritto imprescrittibile.

Con l'applicazione degli accordi di Santa Margherita il Governo fascista dà una prova solenne della sua probità, del suo spirito di-decisione e del suo spirito di lealtà assoluta. Bisogna che Belgrado faccia altrettanto. Bisogna che la Jugoslavia si renda conto del alore intrinseco di quest'atto; faccia nei confronti degli italiani che restano in Dalmazia una politica di libertà e di saggezza. Una politica che tendesse a sopprimere violentemente l'italianità della Dalmazia, non potrebbe essere tollerata dal Governo fascista.

Con la ratifica di questi accordi il Governo fascista offre alla Jugoslavia la possibilità di intensificare i rapporti economici tra i due paesi.

Il regio Governo, che ha già fatto molto nei limiti della. sua possibilità per Fiume e per Zara, continuerà ad interessarsi con la massima energia e sollecitudine del destino di queste due città.

Effettuato lo sgombero di Sussak, e soltanto di Sussak, poiché Delta e Porto Baros rimarranno ancora occupate dalle nostre truppe fino a quando Fiume non sia diventata Stato giuridicamente perfetto, l'Italia continuerà ad interessarsi della sorte di Fiume in modo da poterla restituire in breve tempo al suo vecchio splendore.

Quanto a Zara, il suo destino è grande e difficile, ed io per il primo comprendo la tragedia di quella città e il travaglio tormentoso di tutti gli italiani diffusi in Dalmazia fino a Cattaro. Ma Zara, sentinella perduta, inflessibile e invincibile dell'italianità della Dalmazia, è disposta a sopportare con spirito di assoluta disciplina nazionale che l'ultimo atto del dramma adriatico si compia.

Il Governo andrà incontro ai suoi bisogni immediatamente, poiché Zara deve vivere, poiché Zara, oltre Adriatico, appresenta un lembo della carne più viva del popolo italiano.

Zaratini e dalmati sappiano che il Governo vigilerà sulle loro sorti con affettuosa premura.

Queste non sono parole dettate per superare questo momento di tristezza. Alle parole seguiranno i fatti.

Quanto all'opinione pubblica nazionale, essa sente e sa unicamente che bisognava applicare questi accordi, perché l'Italia forse più libera nel giuoco, sempre più serrato, delle competizioni internazionali, libera per fare una politica di difesa dei suoi interessi, libera per potere influire sempre più attivamente sul corso degli avvenimenti.

Credo che in queste direttive di politica interna e di politica estera sia oggi consenziente la parte migliore del popolo italiano. (Vivi e prolungati applausi).

Mentre mi riservo di parlare in seguito, quando la Camera discuterà sull'approvazione dell'accordo di Santa Margherita, ho accettato di buon grado di rispondere a questa interrogazione.

Si sa come, a seguito degli avvenimenti che si stanno svolgendo nella Ruhr, si sia verificata una larga disorganizzazione, oltre che nei lavori per lo sfruttamento delle miniere di carbone, anche nei servizi ferroviari e in quelli fluviali del Reno, che servono al trasporto del carbone, da cui dipende quindi il rifornimento dei carboni all'Italia in conto riparazioni.

Si sa pure come, fin dall'inizio degli avvenimenti, il Regio Governo abbia inviato ad Essen alcuni ingegneri minerari coll'incarico di partecipare ai lavori della Commissione di controllo sulla produzione del carbone. Le forniture del carbone tedesco all'Italia, dal territorio occupato dalla Francia, hanno potuto essere continuate senza interruzioni, ma non potevano non subire diminuzioni. Gli arrivi dal 15 gennaio all'8 di febbraio ammontanoesattamente a 134.336 tonnellate.

La disposizione, che proibiva ogni invio di carbone della Ruhr nella Germania non occupata, poteva arrecare come conseguenza un aggravamento della situazione nei riguardi delle forniture all'Italia.

Di questa possibilità si preoccupò subito il Regio Governo: e si proponeva di svolgere azione appropriata per assicurarsi che le autorità franco-belghe avrebbero consentito egualmente l'ingresso nella Germania non occupata dei treni di carbone diretti in Italia.

Ma esplicite assicurazioni in questo senso furono spontaneamente fornite dal Governo francese, come pure dalle autorità militari della Ruhr ai nostri ingegneri.

Ogni voce secondo la quale la Francia avrebbe sospeso le spedizioni di carbone dirette in Italia, deve quindi essere smentita recisamente.

L'ultimo dei rapporti quotidiani telegrafici dei nostri ingegneri da Essen, in data di ieri, dice testualmente:

« Le notizie pubblicate da vari giornali che soltanto i treni di carbone destinati all'Olanda possono transitare, e che sono invece arrestate le spedizioni destinate alla Svizzera e all'Italia, sono infondate. I carri carichi per l'Italia sono lasciati partire dalle stazioni di blocco, e anche i trasporti fluviali procedono senza impedimento ».

Il Governo tedesco da parte sua ha provveduto alla formazione di treni giornalieri ad est di Dortmund, fuori della zona occupata, avviandoli in Italia per Innsbruck e per la Svizzera.

È stata del pari intensificata la spedizione di carbone per la via di Rotterdam.

Questo per il carbone.

Per il coke, le consegne della Bassa Slesia, dall'inizio della crisi nella Ruhr, si sono mantenute pressoché uguali a quelle del periodo precedente, salvo in questi ultimi giorni; quelle della Westfalia hanno subito.una notevole diminuzione.

Fin dall'inizio degli avvenimenti il Regio Governo ha seguito colla massima cura l'andamento della situazione e delle forniture di carbone, mantenendosi costantemente in rapporto cogli ingegneri che si trovano ad Essen. Esso è pienamente convinto dell'importanza che la fornitura dei combustibili riveste per l'economia nazionale e può dirsi che questa convinzione sia stata uno dei criteri direttividella linea da esso seguita e dei provvedimenti adottati.

Il Regio Governo può fornire affidamenti espliciti alla Camera che le più ampie misure sono già state prese anche in altri bacini carboniferi, perché gli avvenimenti, nel caso deprecabile di un peggioramento della situazione, non ci colgano impreparati.

Non ritiene di entrare in maggiori dettagli di cifre, per ragioni di riserbo, facili a comprendersi nella presente delicata situazione, e in considerazione delle ripercussioni economiche-finanziarie che tali notizie non mancano mai di avere nelle borse e nei mercati. (Vive approvazioni).