La riforma elettorale
di Benito Mussolini
Onorevoli signori!
Avrei preferito intrattenere questa Assemblea sulla questione di politica estera che in questo momento interessa l'Italia ed appassiona il mondo: parlo della Ruhr.
Avrei, io credo, dimostrato che l'azione dell'Italia è autonoma ed è ispirata dalla tutela dei nostri interessi ed anche dal bisogno generalmente sentito di uscire da una crisi che impoverisce ed umilia il nostro Continente.
Mi riprometto di far ciò in un prossimo giorno, se la Camera non vorrà oggi avere il capriccio di morire anzi tempo.
Il mio discorso sarà assai calmo e misurato, se pure a fondo resistente. Si comporrà di due parti: una che vorrei chiamare negativa, ed una che chiamerò positiva.
In fondo non mi dispiace che la discussione abbia poco o molto superato i confini nei quali forse poteva essere contenuta. La discussione sulla riforma elettorale ha offerto il motivo all'opposizione di manifestarsi, di muoversi da tutti i fronti, da tutti i settori ad un attacco contro, la politica ed i sistemi politici del mio Governo.
Non vi sorprenderà, dunque, se io, pur non scendendo ai dettagli di tutti i discorsi, toglierò dai discorsi degli oratori principali quelle tesi e quelle proposizioni che io debbo assolutamente contrastare e ribattere.
Dato che il discorso dell'onorevole Petrillo è stato favorevole al Governo, non occorre occuparsene.
Mi occuperò invece del discorso pronunziato dall'onorevole Gronchi, un discorso fine nella forma e forse anche più nel contenuto. L'onorevole Gronchi ha offerto ancora una volta al Governo una collaborazione di convenienza, uguale a quei matrimoni di convenienza che non durano, o finiscono nello sbadiglio di una noia senza fine. La vostra collaborazione, o signori popolari, è piena di sottintesi. Il vostro stesso partito ha molti sottintesi. Voi dovreste applicarvi a chiarirli. Non so per quanto tempo ancora potranno restare uniti nella vostra compagine elementi che vogliono collaborare lealmente col Governo nazionale ed elementi che vorrebbero collaborare, ma non possono, perché il loro intimo sentimento non consente loro questo passo e questa collaborazione.
Voi certamente mi conoscete abbastanza per capire che in sede di discussione politica io sono intransigente. I piccoli mercati dei due quinti e dei tre quarti o di qualche altra frazione di questa abbastanza complicata aritmetica elettorale non può essere un commercio a dettaglio. O si è, o non si è. Sono così poco elettoralista che potrei darvi i trenta o i quaranta deputati che vi interessano, ma non ve li do, perché ciò sarebbe immorale, perché sarebbe una transazione che deve ripugnare alla vostra coscienza, come ripugna alla mia.
Insomma non si può fornirmi una collaborazione maltusiana.
Certamente forte è stato il discorso pronunciato dall'onorevole Labriola. Egli ha detto: « Le crisi ministeriali rappresentano il surrogato - bisognerebbe dire ersatz, perché surrogato, dalla guerra in qua, è di, natura tedesca - della rivoluzione ». È un giudizio troppo semplicista per essere accettato! Può essere che il difetto di crisi ministeriali conduca alla rivoluzione; ma voi avete qui un esempio che vi dimostra come l'eccesso di crisi ministeriali conduca esso pure a una rivoluzione.
Ma soprattutto mi ha stupito di sentire l'onorevole Labriola manovrare ancora la vecchia nomenclatura della letteratura socialista di secondo ordine: borghesia e proletariato, come due entità nettamente definite e perpetuamente in istato di antagonismo.
È certamente vero che non c'è una borghesia, bensì ci sono forse ventiquattro o quarantotto borghesie e sottoborghesie; ma è lo stesso del proletariato.
Che rapporto volete che ci sia fra un operaio della «Fiat » specializzato, raffinato, a gusti e tendenze già borghesi, che guadagna dalle 30 alle 50 lire al giorno, o le guadagnava: che rapporto volete che ci sia tra questo uomo, questo sedicente proletario, e il povero cafone dell'Italia Meridionale che gratta disperatamente la sua terra bruciata dal sole?
Ha detto l'onorevole Labriola che solo il proletariato può darsi il lusso di una dittatura. Errore! Errore documentato e documentabile. L'unico esempio di dittatura del proletariato, ci è offerto dalla Russia; ma l'onorevole Labriola ha scritto diecine di articoli per dimostrare come qualmente la dittatura non esiste in Russia, e la dittatura non è del proletariato. Tutti i dirigenti dello Stato russo sono professori, avvocati, economisti, letterati, gente di ingegno, cioè usciti dalle classi professionali della borghesia.
La colpa che ci fa l'onorevole Labriola, il quale ci accusa di trovare una analogia insussistente tra i metodi e lo svolgimento della rivoluzione russa e il metodo e lo svolgimento della rivoluzione italiana, è insussistente, in quanto che io faccio qui una semplice constatazione d'ordine storico. È un fatto che tanto l'una quanto l'altra rivoluzione tendono a superare tutte le ideologie e, in un certo senso, le istituzioni liberali e democratiche che sono uscite dalla rivoluzione francese. Mi dispiace molto che l'onorevole Alessio abbia portato qui i rancori meschini e torbidi delle logge giustinianee.
Alessio: Non ho mai appartenuto, come non appartengo, alla Massoneria!
Mussolini: In questi giorni si è con molta frequenza fatto ricorso ad un metodo polemico, abbastanza usato ed abusato: quello di risuscitare gli scritti e le opinioni del tempo passato per farsene un'arma nella polemica presente. È un pessimo sistema che io ritorco contro coloro che l'hanno impiegato.
In un discorso pronunziato dall'onorevole Alessio a Lendinara, nel quale discorso fu presentato dal candidato fascista Aldo Finzi, l'onorevole Alessio così fotografava la situazione: « Tra un gruppo numeroso, intemperante, ignorante e passivo di socialisti e un ibrido gruppo di costituzionali si ergeva ambizioso e arbitro delle sorti della Nazione il partito popolare che coi suoi capricci, alle volte d'accordo coi socialisti; provocava crisi ministeriali dannosissime per poter ottenere l'inclusione nel Gabinetto dei propri rappresentanti. Ogni discussione parlamentare si protraeva inutilmente tra l'indifferenza degli uni e l'ostruzionismo degli altri. La Camera non poteva più adempiere alla sua funzione legislativa ed essa poi, in seguito al grande risveglio della borghesia italiana di quest'anno, non poteva più rappresentare legittimamente il popolo italiano ».
Questo potrebbe in un certo senso riguardare i popolari. Ma l'onorevole Alessio è un uomo che ha molte frecce, se non nel suo fianco, nella sua faretra, e si occupava quindi anche dei socialisti e delle loro leghe. « Il sistema delle leghe - disse in un altro discorso elettorale - aveva distrutto le iniziative, l'impulso, l'attività individuale, dimenticando che solo per esso può svilupparsi e progredire il processo produttivo. Guai a cogliere dalla vita economica lo stimolo e l'incentivo all'opera rappresentati dal miraggio della conquista di un determinato stato di agiatezza! Guai a togliere all'uomo la possibilità di tramandare ai figli i frutti del suo lavoro intellettuale e intelligente! La prosperità del paese ne avrebbe un colpo mortale, ecc. ».
Nel suo discorso l'onorevole Alessio ha affermato che la disfatta degli Imperi Centrali si deve alla deficienza dei loro organi rappresentativi. Mi permetto di dirgli che questa è una spiegazione unilaterale e semplicista. C'è stata una guerra, ci sono stati milioni di uomini che hanno combattuto contro gli Imperi Centrali, e alla vittoria e alla guerra si deve la disfatta degli Imperi Centrali.
Altro errore: che dopo Caporetto l'Italia si sia ripresa, perché è ritornata la sua libertà. Affatto! Le è stata imposta la necessaria disciplina della guerra.
Io non sono di quel parere secondo il quale Caporetto sarebbe dovuta tutta alla disintegrazione del fronte interno.
È stato un rovescio di ordine militare nelle sue cause e nel suo svolgimento. Ma non vi è dubbio che l'atmosfera di indulgenza, di eccessiva tolleranza, ha prodotto fenomeni morali di turbamento che dovevano influire su quel nostro rovescio.
E perché, onorevole Alessio, disturbate Felice Cavallotti? Quello che accade in questi giorni è veramente singolare. Da anni ed anni nessuno più si ricordava di Felice Cavallotti.
Scomparso dalla scena milanese Carlo Romussi, che portava questo suo bagaglio come una specie di eredità gloriosa, la data del 6 marzo passava, e nessuno se ne accorgeva. Perché? Per una ragione molto semplice. Perché Cavallotti non dice più niente al popolo italiano, né con la sua letteratura, e meno ancora con la sua politica. Superficiale è l'altra affermazione dell'onorevole Alessio, che il Risorgimento italiano sia stato lo sforzo del popolo italiano. Non è così, purtroppo. Il popolo italiano, nelle sue masse profonde, è stato assente e spesso ostile. I primi albori del Risorgimento italiano vengono da Napoli, da quella borghesia di professionisti prodi ed intelligenti che nell'Italia Meridionale rappresenta una classe definita storicamente, politicamente e moralmente. Quelli che a Nola, nel 1821 levarono lo stendardo della rivolta contro i Borboni, erano due ufficiali di cavalleria. Tutto il martirologio nobilissimo del Risorgimento italiano, è martirologio di borghesi. Niente di più triste del sacrificio inutile dei fratelli Bandiera! E quando voi pensate alla tragedia di Carlo Pisacane, un brivido di commozione vi prende lo spirito. Io vorrei escludere che lo stesso Giuseppe Mazzini possa essere inquadrato nella democrazia. I suoi metodi non erano certamente democratici. Era un coerentissimo nel fine; ma quante volte è stato incoerente e mutevole nei mezzi!
E Cavour? Io penso che l'avvenimento che ha preparato realmente l'unità della Patria sia stato la spedizione di Crimea, uno dei fatti più singolari della storia. E lo ricordo, perché dimostra come e qualmente nelle ore solenni la decisione è affidata al singolo, che deve consultare soltanto la propria coscienza!
Quando il generale Dabòrmida rifiutò di segnare il trattato di alleanza con la Francia e l'Inghilterra, Cavour, la sera stessa del 10 gennaio 1855, lo firmò senza consultare il Parlamento, senza consultare il Consiglio dei Ministri, e, soprattutto, a discrezione, senza porre condizioni di sorta.
Fu un gesto di una temerità che si potrebbe chiamare sublime. E lo stesso Cavour lo riconosceva quando, scrivendo al conte Oldofredi, diceva: « Ho assunto sul mio capo una responsabilità tremenda. Non importa. Nasca quello che deve nascere. La mia coscienza mi dice di avere adempiuto ad un sacro dovere ».
Avviene la discussione al Parlamento subalpino quando già i soldati del piccolo e grande Piemonte partivano o stavano per partire, e Angelo Brofferio, una specie di Cavallotti dell'epoca, accusò Cavour di non avere un preciso indirizzo politico. Vale veramente la pena che io rilegga parte di questo discorso, perché ricorda assai da vicino i discorsi che in questa settimana sono stati pronunciati in quest'aula.
« I nostri ministri - diceva Angelo Brofferio - si fanno centro di tutto. Essi rappresentano tutte le idee e tutte le convinzioni. Una volta si fanno conservatori e tolgono i giurati alla stampa, un'altra volta pigliano sembianze di democratici e sorgono contro le usurpazioni di Roma; un'altra volta gettano la maschera e si fanno retrogradi per unirsi all'Austria ».
Angelo Brofferio concludeva con queste veramente singolari parole: « Dove è, con questo sistema, il rispetto delle convinzioni e della moralità costituzionale? ». E riferendosi al trattato, soggiungeva: « Dio disperda il funesto augurio, ma se voi consentite a questo trattato, la prostituzione del Piemonte e la rovina dell'Italia saranno un fatto compiuto ».
Curioso ancora che un altro ideologo potentissimo, e certamente sacro al cuore di tutti gli italiani, Giuseppe Mazzini, era anche lui contrarissimo a questo trattato, e giunse sino al punto di chiamare deportati i soldati pieinontesi che andavano in Crimea, sino al punto di incitarli alla diserzione!
Ma Garibaldi, spirito molto più pratico di condottiero, spirito realistico, aveva intuito l'importanza fondamentale del Trattato di Alleanza tra il Piemonte e le Potenze occidentali.
L'Italia - diceva Garibaldi - non dovrebbe perdere nessuna occasione di spiegare la propria bandiera sui campi di battaglia, che potesse ricordare alle Nazioni europee il fatto della sua esistenza politica ».
Oggi, voi siete certamente tutti d'accordo nel riconoscere che la storia ha dato torto al signor Angelo Brofferio; e ragione, grandemente ragione, a Camillo Benso di Cavour.
Il discorso dell'onorevole Amendola, è, dopo quello dell'onorevole Labriola, il discorso più quadrato, più degno di meditazione.
Egli ha detto: « Il popolo italiano soffre di una crisi morale di spiriti che certamente è in relazione con l'intervento, con la guerra, col dopoguerra ». Ha concluso dicendo che bisogna dare a questo popolo italiano la sua unità morale.
Bisogna intendersi! Che cosa vuol dire unità morale del popolo italiano?
Un minimo comune denominatore, un terreno comune di azione in cui tutti i partiti nazionali si incontrano o si intendono, un livellamento generale di tutte le opinioni, di tutti i convincimenti, di tutti i partiti? A me basta che l'unità morale ci sia in certe ore decisive della vita dei popoli. Non vi può essere tutti i giorni e per tutte le questioni.
D'altra parte io credo fermissimamente che a questa unità morale, fondamentale, del popolo italiano si va; questa unità morale è già in atto. La vedremo realizzata noi stessi; non tanto per l'opera nostra politica, quanto come risultato della guerra che ha fatto conoscere gli italiani gli uni agli altri, li ha mescolati, ha fatto di questa nostra piccola penisola una specie di casa ove ci conosciamo ormai tutti quanti.
Molti diaframmi, che dividevano regioni e provincie, sono caduti: si tratta ora di completare l'opera! L'onorevole Bentini, parlando della libertà di stampa, sulla quale ritornerò fra poco, ha citato l'episodio di Garibaldi e di Dumas. Io approvo pienamente la risposta di Garibaldi. Ma vi domando: « Se il giornale Indipendente avesse, puta caso, pubblicato notizie disfattiste, o avesse dato notizie di movimenti delle truppe garibaldine, credete voi che Garibaldi non avrebbe soppresso il giornale? ».
Ma soprattutto singolare è nel discorso dell'onorevole Bentini la confusione fra tattica e strategia politica. Si possono vincere molte battaglie e si può perdere la guerra: e viceversa! Che cosa vi è successo? Avete avuto brillanti risultati tattici, ma poi non avete avuto il coraggio di intraprendere l'azione per raggiungere l'obiettivo finale!
Avete conquistato una quantità di comuni, di provincie, di istituzioni alla periferia e non avete capito che tutto ciò era perfettamente inutile se, a un dato momento, non vi impadronivate del cervello e del cuore della Nazione, se cioè non avevate il coraggio di fare della strategia politica. Oggi il vostro turno è passato, e non fatevi delle illusioni: certe occasioni la storia le presenta una volta sola.
Ma, per comprendere questa legge bisogna, onorevoli signori, tener conto di due fatti molto semplici, e sono questi: c'è stata una guerra, che ha spostato interessi, che ha modificato idee, che ha esasperato sentimenti, e c'è stata, se non vi dispiace e se non dispiace al mio amico Maffeo Pantaleoni, anche una rivoluzione. Non è necessario; per fare una rivoluzione, di inscenare tutta la coreografia delle rivoluzioni, di fare il grande dramma da arena.
Noi abbiamo lasciato molti morti sulla strada di Roma, e naturalmente, ognuno che si faccia delle illusioni è uno stolto. Il potere lo abbiamo e lo teniamo. Lo difenderemo contro chiunque. Qui è la rivoluzione, in questa ferma volontà di mantenere il potere!
E vengo adesso al lato positivo della discussione.
Si parla di libertà. Bisogna avere il coraggio di dire che, quando si grida: « viva la libertà » si sottintende: “abbasso il Fascismo”. Ma che cosa è questa libertà? Esiste la libertà? In fondo, è una categoria filosoficomorale. Ci sono le libertà: la libertà non è mai esistita! I socialisti l'hanno sempre rinnegata. La libertà. di lavoro non l'avete mai ammessa. Avete legnato il crumiro, quando si presentava alle fabbriche e gli altri scioperavano. Ma poi è realmente vero e provato che il popolo italiano sia dominato da un Governo liberticida e gema avvinto nei ceppi della schiavitù? È un Governo liberticida il mio? Nel campo sociale no. Ha avuto il coraggio di tramutare in legge dello Stato le otto ore di lavoro. Non disprezzate questa conquista, non svalutatela. Ha approvato tutte le convenzioni sociali e pacifiste di Washington. Nel campo politico che cosa ha fatto questo Governo? Si dice che la democrazia è là dove il suffragio è allargato. Questo Governo ha mantenuto il suffragio universale! E quantunque le donne italiane, che sono abbastanza intelligenti per pretenderlo, non lo avessero fatto, ha immesso, sia pure sul solo terreno delle elezioni amministrative, da sei ad otto milioni di donne! Leggi eccezionali nessuna. Non è una legge eccezionale il regolamento sulla stampa.
Buffoni: E’ la soppressione dell'editto sulla stampa.
Mussolini: Dimenticate una cosa molto semplice: che la rivoluzione ha diritto di difendersi.
In Russia c'è la libertà di associazione per i non bolscevichi? No! C'è la libertà di stampa per i non bolscevichi? No! C'è libertà di riunione, c'è libertà di voto? No! Voi che siete gli assertori del regime russo non avete diritto di protestare contro un regime come il mio, che non può essere nemmeno lontanamente paragonato al regime bolscevico.
Io non sono, signori, il despota che sta chiuso in un castello munito di un triplice muro. Io giro fra il popolo senza preoccupazione di sorta e lo ascolto. Ebbene, il popolo italiano, sino a questo momento, non mi chiede libertà.
A Messina, la popolazione che circondava la mia vettura diceva: « Toglieteci dalle baracche ». L'altro giorno i comuni di Basilicata mi chiedevano l'acqua, perché, o signori, ci sono milioni di italiani che non hanno l'acqua, non dico per il bagno, ma nemmeno per levarsi la sete. In Sardegna (vedete che vi parlo di una regione dove il Fascismo non ha le diecine di migliaia di iscritti della Lombardia) ad Arbatax, scesero a me degli uomini dalla faccia patita, vorrei quasi dire accartocciata, mi circondarono e mi mostrarono una distesa dove un fiume imputridiva fra le canne palustri, e mi dissero: « La malaria ci uccide ». Non mi parlarono di libertà, di Statuto e di Costituzione!
Sono gli emigrati della rivoluzione fascista che sollevano questo fantasma che il popolo italiano e ormai anche l'opinione pubblica estera hanno largamente smontato.
E tutti i giorni ricevo decine di Commissioni, e si abbattono sul mio tavolo centinaia di memoriali, nei quali si può dire che le piaghe di ognuno degli ottomila comuni d'Italia sono illustrate: sono veramente dei cahiers de doléances. Ebbene, perché costoro non verrebbero a me a dirmi: « Noi soffriamo perché voi ci opprimete? ».
Ma vi è una ragione, un fatto su cui richiam o la vostra attenzione. Voi dite che i combattenti si sono battuti per la libertà. E come avviene allora che questi combattenti sono per il Governo liberticida?
La forza e il consenso sono veramente termini antagonistici? Affatto. Nella forza c'è già un consenso, e il consenso è la forza in sé e per sé. Ma insomma, avete mai visto sulla faccia della terra un Governo qualsiasi che abbia preteso di rendere felici tutti i suoi governati? Ma questa è la quadratura del circolo! Qualunque Governo, fosse retto da uomini partecipanti alla sapienza divina, qualunque provvedimento prenda, farà dei malcontenti.
E come vorrete contenere questo malcontento? Con la forza. Lo Stato che cosa è? È il carabiniere. Tutti i vostri codici, tutte le vostre dottrine e leggi sono nulle, se a un dato momento il carabiniere con la sua forza fisica non fa sentire il peso indistruttibile delle leggi. Il Parlamento: si dice che vogliamo abolire il Parlamento. Nol Prima di tutto non sappiamo con che cosa lo sostituiremmo. I Consigli così detti tecnici sono ancora allo stato embrionale. Può darsi che rappresentino dei principi di vita. Non si può mai essere dogmatici, espliciti, in siffatte materie. Ma allo stato dei fatti sono dei tentativi.
Può darsi che in un secondo tempo accada di scaricare su questi Consigli tecnici una parte del lavoro legislativo. Ma, o signori, vi prego di considerare che il Fascismo è elezionista. Fa le elezioni per conquistare i comuni e le provincie, le ha fatte per mandare deputati al Parlamento: quindi non intende e non vuole abolire il Parlamento. Anzi, l'ho detto e lo ripeto, vuole fare del Parlamento una cosa un po' più seria, se non solenne, vuole, se fosse possibile, colmare quell'hiatus che esiste innegabilmente fra Parlamento e Paese.
Signori! Bisogna seguire il Fascismo, non dirò con intelletto d'amore, ma con intelletto di comprensione. Bisogna non farsi delle illusioni.
Quante volte da quei banchi si è detto che il Fascismo era un fenomeno transitorio! Voi lo vedeste: è un fenomeno imponente che raccoglie, si può dire, a milioni i suoi aderenti, è il Partito più grande di massa che sia mai stato in Italia. Ha in sé delle forze vitali potentissime, e siccome è diverso da tutti gli altri nella sua estensione, nel suo organamento, nei suoi quadri, nella sua disciplina, non sperate che la sua traiettoria sia rapida. Proprio in questi giorni il Fascismo è in un travaglio di profonda trasformazione. Voi dite: « Quando diventerà saggio il Fascismo? ».
Oh! io non desidero che lo diventi troppo presto!
Preferisco che continui per qualche tempo ancora come oggi, sino a quando tutti saranno rassegnati al fatto compiuto, ad avere la sua bella armatura e la sua bella anima guerriera.
Ma lo squadrismo diventa milizia. E vi è un altro fatto che sta trasformando radicalmente l'essenza del Fascismo. Il partito che da una parte diventa milizia, dall'altra diventa amministrazione e Governo. È incredibile come cambia il capo squadra che è diventato assessore, o sindaco. Ha un'altr'aria. Comprende che non si può andare all'assalto dei bilanci dei comuni, ma bisogna studiarli; bisogna applicarsi all'amministrazione che è una cosa dura, arida, difficile. E siccome i comuni conquistati dai fascisti sono ormai parecchie migliaia, voi vedete che a poco a poco questa trasformazione del Fascismo in un organo di amministrazione, quindi necessariamente calmo e delimitato, avviene, e sarà presto un fatto compiuto.
Voi dite: « Quando cesserà questa pressione morale del Fascismo? ». Comprendo che ne siate ansiosi, è umano; dipende da voi.
Voi sapete che io sarei felice domani di avere nel mio Governo i rappresentanti diretti delle masse operaie organizzate. Vorrei averli con me, vorrei dare a loro anche un dicastero delicato, perché si convincessero che l'amministrazione dello Stato è una cosa di straordinaria difficoltà e complessità, che c'è poco da improvvisare, che non bisogna fare tabula rasa come è accaduto in qualche rivoluzione, perché, dopo, bisogna ricostruire. E non si può prendere un Krilenko o un cuoco della divisione di Pietrogrado per farne un generale, perché dopo dovete chiamare un Brussilov.
Insomma finché esistono degli oppositori che invece di rassegnarsi al fatto compiuto pensano ad una riscossa, noi non possiamo disarmare.
Ma vi dico di più: che la esperienza anche ultima che avete tentato, quella dello sciopero dell'anno scorso, vi deve avere convinti ormai che su quella strada andrete alla perdizione, mentre viceversa dovete rendervi conto una buona volta, se avete nelle vostre vene un po' di dottrina marxista, che c'è una situazione nuova alla quale dovreste, se siete intelligenti, e pensosi delle classi che dite di rappresentare, adeguare il vostro spirito. E del resto dica Colombino, che è amico di D'Aragona, dica se sono nemico degli operai, smentisca quello che affermo, che 6000 operai del Consorzio metallurgico italiano oggi lavorano perché li ho aiutati, e ho fatto il mio dovere di cittadino e capo del Governo italiano.
Ma la libertà, o signori, non deve convertirsi in licenza.
Quella che si chiede è la licenza, ma questa non la darò mai.
Voi potete, se volete, fare cortei e processioni, e vi farò scortare, ma se pretendete di tirare sassate contro i carabinieri o di passare da una strada dove non si può passare, troverete lo Stato che si oppone e che fa fuoco.
Ma questa legge che ci affatica è, veramente, un mostro?
Vi dichiaro che se fosse un mostro, lo vorrei consegnare subito ad un museo di teratologia o delle mostruosità che dir si voglia.
Questa legge, della quale ho messo le linee fondamentali, ma che poi è stata successivamente elaborata dal mio amico onorevole Acerbo e rielaborata dalla Commissione, non so se in bene o in male, è una creatura, e come tutte le creature di questo mondo, ha le sue qualità e i suoi difetti. Non bisogna condannarla in blocco, sarebbe un gravissimo errore.
Voi dovete considerare, ve lo dico con assoluta franchezza, che è una legge per noi. Ma accoglie principi che sono ultra democratici. Accoglie il principio della scheda di Stato, accoglie il principio del collegio nazionale che era rivendicazione del socialismo, come ricordava testé Costantino Lazzari, che è ammirevole, come sono ammirevoli tutte le persone le quali rappresentano una specie di rudero spirituale della vita.
Voi dite che si spersonalizza la lotta. Voi dite che le elezioni si faranno nel tumulto; ma chi vi dice che le elezioni siano vicine?
Il congegno è tale, intanto, che garantisce una quota parte di posti alle minoranze. Io credo che facendo le elezioni colla legge attuale, le minoranze sarebbero forse più sacrificate.
Ad ogni modo la spersonalizzazione della lotta toglie alla lotta stessa quel carattere di asprezza che potrebbe preoccupare dal punto di vista dell'ordine pubblico. In questo momento le elezioni fatte col collegio uninominale o anche colla proporzionale condurrebbero certamente ad eccessi.
Io dichiaro che non farò le elezioni, se non quando sarò sicuro che si svolgeranno in stato di perfetta libertà e di indipendenza.
E aggiungo che, mentre in sede di discussione politica io sono e devo essere intransigente, in sede di discussione tecnica mi affido, in certo senso, ai competenti. I competenti - ce ne sono moltissimi in quest'aula – diranno come la legge possa essere ancora di più maltrattata o perfezionata. Ma ciò riguarderà la Camera, e il Governo vi dichiara che non si rifiuta di accogliere tutti quei perfezionamenti che rendessero più agevole l'esercizio del diritto di voto.
Questo riguarda in un certo senso i popolari, i quali devono decidersi. Io ho parlato chiaro, ma devo dire che non altrettanto chiaramente si è parlato da quei banchi. Il Governo non può accettare condizioni: o gli date la fiducia o gliela negate.
Signori, voi sentite che in questa discussione c'è stato un elemento di drammaticità. In genere, quando le idee diventano anche passioni personali degli uomini, fanno elevare il tono di tutte le discussioni di tutte le Assemblee.
Io concordo con tutti gli oratori i quali hanno affermato che il Paese desidera soltanto di essere lasciato tranquillo, di lavoràre in pace, con disciplina: il mio Governo fa degli sforzi enormi, per arrivare a questo risultato, e li continuerà, anche se dovesse picchiare sui propri aderenti, perché avendo voluto lo Stato forte è giusto che essi siano i primi ad esperimentarne la forza.
Ho anche il dovere di dirvi, e ve lo dico per debito di lealtà, che dal vostro voto dipende in un certo senso il vostro destino.
Non vi fate anche in questo terreno delle illusioni.
perché nessuno esce dalla Costituzione; né io né altri; e nessuno può supporre nemmeno che io non sia ampiamente garantito, secondo lo spirito e la lettera della Costituzione.
E allora, se le cose stanno in questi termini, io concludendo, vi dico: “Rendetevi conto di questa necessità; non fate che il Paese abbia ancora una volta l'impressione che il Parlamento si è esercitato per una settimana intera in una campagna di opposizione, che alla fine è sterile di risultati”.
Perché questo è il momento in cui Parlamento e Paese possono riconciliarsi. Ma, se questa occasione passa, domani sarà troppo tardi; e voi lo sentite nell'aria, lo sentite nei vostri spiriti. E allora, o signori, non afferratevi alle etichette, non irrigiditevi nella coerenza formale dei partiti, non afferratevi a delle pagliuzze, come possono fare dei naufraghi nell'Oceano credendo inutilmente di salvarsi; ma ascoltate il monito segreto e solenne della vostra coscienza, ascoltate anche il grido incoercibile della Nazione.