La vertenza italo-etiopica e la politica estera italiana
di Benito Mussolini
Camerati!
Non è ancora venuto il momento per tracciare il quadro generale dell'attività del Governo fascista nel campo della politica estera, come feci al Senato nel giugno del 1928.
Molti problemi sono ancora in sospeso, talune importanti conversazioni diplomatiche sono ancora in corso; le posizioni stesse delle singole Potenze si rettificano o variano a seconda della coincidenza maggiore o minore o nulla dei loro interessi di fronte a determinate questioni che vengono sul tappeto.
Il realismo politico, cioè la considerazione precisa delle forze internazionali, dei loro rapporti di interesse, delle loro inevitabili mutazioni, deve stare a fondamento della nostra azione, così come avviene, del resto, in tutti gli altri Stati degni di questo nome.
Ciò stabilito, mi limiterò a parlarvi degli eventi più vicini a noi, nel tempo.
Insieme col bilancio degli Esteri è stato sottoposto alla vostra approvazione il complesso degli accordi franco-italiani del gennaio scorso.
Tali accordi rappresentano una sistemazione transativa di alcune questioni legate all'art. 13 del patto di Londra, articolo redatto in una forma di eccessiva condizionalità, come ognuno può constatare rileggendolo.
Con tali accordi, che possono, nel loro insieme, considerarsi soddisfacenti, sì è chiusa una pagina dei rapporti del dopoguerra fra Italia e Francia, e create le premesse per una efficace collaborazione fra i due Paesi, così come viene espressamente indicato nella dichiarazione generale.
Qualcuno si è domandato perché tali accordi siano stati conclusi soltanto 17 anni dopo la fine della guerra.
Rispondo che ciò si deve alla complessità degli interessi in gioco; alle nuove situazioni situazioni determinatesi in Europa ed anche al fatto delle pietose illusioni, non meno pietosamente coltivate da taluni circoli francesi circa la stabilità del Regime fascista.
Dovere di obiettività m'impone ili aggiungere che tali illusioni sembrano definitivamente volatilizzate. Così come desidero sottolineare che l'atmosfera fra i due Popoli è da qualche tempo fortemente migliorata, e ci auguriamo che nessun fatto possa nuovamente offuscarla. Dopo gli accordi franco-italiani del gennaio i Governi di Francia e di Inghilterra s'incontrarono a Londrà nel febbraio e fissarono alcuni punti fondamentali per quanto allora concerneva il riassetto politico dell'Europa.
Si può considerare la conferenza franco-inglese di Londra come una proiezione di quella franco-italiana di Roma. Gli ottimisti erano portati a prevedere un normale sviluppo della situazione europea, quando, il 16 marzo successivo, tale normale sviluppo veniva improvvisamente spezzato con la denunzia unilaterale, da parte della Germania, della parte quinta del trattato di Versaglia riguardante il disarmo.
Il mondo veniva posto dinanzi ad un fatto compiuto, che fu postillato da tre diplomatiche proteste. Ciò avveniva durante il corso di esplorazioni. Ognuno fu subito convinto che tale fatto non era revocabile.
A questo punto è di un qualche interesse, sia pur retrospettivo, far sapere che nel gennaio 1934 la Germania era proclive ad accettare una realizzazione infinitamente più limitata della sua parità di diritto, realizzaione che consisteva in un esercito di 300.000 uomini, con armamento, almeno per un certo periodo di anni, difensivo e controllato sulle linee del memorandum italico.
Ma ciò che non è avvenuto non è materia per la storia, e recriminare è inutile, come è inutile parlare ancora di disarmo.È assai arduo noi credere alla posslità di una limitazione degli armamenti, o al divieto di taluni metodi di guerra. Tuttavia, se qualche cosa si farà di concreto non è da parte nostra che verranno frapposte difficoltà.
Le acque acque erano ancora molto agitate così come lo spirito dei popoli, quando fu convocata la conferenza dell'aprile a Stresa.
Senza esagerarne la portata intrinseca, tale conferenza fu abbastanza conclusiva, in quanto determinò, di fronte a taluni urgenti problemi, una posizione solidale delle tre Potenze occidentali.
È positivo che, con tale solidarietà effettiva, costante, onnipresente, è possibile un'azione politica di grande stile, tendente ad eliminare i principali ostacoli che si oppongono ad una pacifica convivenza delle genti europee, esigenza sempre più necessaria per l'esistenza e l'avvenire del nostro Continente. A Stresa fu decisa la convocazione di un'altra conferenza per affrontare i problemi del bacino danubiano. Tale conferenza non si può tenere ai primi di giugno come fu annunziato; aggiungo che non sarà convocata se non sarà stata molto, ma molto diligentemente preparata.
A tale scopo doveva servire, e ha servito, l'incontro italo-austro-magiaro di Venezia; voglio anche dire che le richieste austro-magiare non sono tali da ostacolare il raggiungimento degli auspicabili obiettivi che la conferenza danubiana si propone di attingere.
Quanto alla Germania è nostro proposito, già comunicato a Berlino, di invitarla e di tenerla al corrente delle successive fasi di preparazione.
Dopo le convenzioni franco-russe e russo-cecoslovacche, convenzioni che hanno spostato gli equilibri delle forze, era vivamente atteso il discorso del Cancelliere germanico.
I suoi tredici punti non possono essere né accettati né respinti in blocco: è preferibile metodo quello di chiarirli e approfondirli. Non è da escludere che la diplomazia si accinga a questo cómpito nelle prossime settimane. Per quanto concerne i rapporti italo-germanici, è vero che un solo problema li compromette, quello dell'Austria, ma è di basilare importanza.
Non sarà però inopportuno, arrivati a questo argomento, di dedicare alcune parole a coloro i quali ci vorrebbero pietrificare al Brennero per impedirci di muoverci in qualsiasi altra parte del vasto orbe terracqueo.
Anche a tale proposito,bisognerà dire una volta per tutte e nella maniera più esplicita che il problema dell'indipendenza austriaca, è un problema austriaco ed europeo, e, in quanto europeo, anche particolarmente italiano, ma non esclusivamene « italiano ».
In altri termini l'Italia fascista non intende circoscrivere la sua missione storica a un solo problema politico (approvazioni), a un solo settore militare quale è quello della difesa di una frontiera, anche se importantissima, come quella del Brennero, poiché tutte le frontiere, e le metropolitane e le coloniali, sono indistintamente sacre, devono essere vigilate e difese contro qualsiasi, anche soltanto potenziale minaccia.
Sono al punto che voi, camerati, ne sono sicuro, attendevate. Il complesso dei problemi che vi ho prospettati, voi li dovete considerare in rapporto a quanto può accadere nell'Africa Orientale, e in rapporto con gli atteggiamenti che i singoli Stati europei assumeranno, offrendoci l'occasione di dimostrarci la loro completa e non soltanto superficiale o verbosa amicizia. Ma, in primo luogo, dobbiamo contare su noi stessi.
Ora la minaccia alle nostre frontiere dell'Africa Orientale non è potenziale ma effettiva, ma in atto, in proporzioni ogni giorno crescenti e tali da porre il problema italo-etiopico nei termini più crudi e radicali. (Applausi).
Tale problema non è di oggi, non è del gennaio 1935, ma come risulta da documenti a suo tempo pubblicabili risale al 1925. È in quell'anno che io cominciai ad esaminare il problema.
Tre anni dopo parve che un trattato politico fosse strumento adatto a favorire la nostra pacifica espansione in quel vasto mondo ancora chiuso nella sua armatura primordiale e suscettibile tuttavia di grandi progressi.
Il trattato è rimasto completamente lettera morta, salvo l'art. 5, al quale l'Abissinia si è afferrata, dopo le sue aggressioni del dicembre 1934.
È dal 1929, dico 1929, che l'Abissinia ha cominciato la riorganizzazione del suo esercito, giovandosi di ufficiali istruttori europei. È dal 1930 che talune fabbriche europee hanno iniziato, su imponente scala, i rifornimenti di materiale bellico moderno.
Lo scontro di Ual-Ual è stato il campanello segnalatore di una situazione che veniva maturando da tempo, situazione che impone all'Italia fascista l'adempimento di imprescindibili doveri.
Ora per la semplice difesa di quelle due modeste strisce di territorio che si chiamano Eritrea e Somalia, bisogna affrontare difficoltà logistiche e strategiche di una complessità enorme.
È con orgoglio, ma non senza emozione, che io penso ai fanti della « Peloritana », scaglionati sull'Oceano Indiano (l'Assemblea scatta in piedi acclamando entusiasticamente l'Esercito ed il Duce), lungo la linea dell'Equatore, ad 8000 chilometri di distanza dalla Madre Patria!
Questo orgoglio e questa emozione sono di tutto il Popolo italiano, che segue, con disciplina perfetta, con calma assoluta, lo svolgimento prevedibile degli eventi!
Solo uomini in malafede, solo dei nemici subdoli o palesi dell'Italia fascista possono fingere stupore e simulare proteste per le misure militari che abbiamo prese e per quelle che prenderemo. (Applausi vivissimi e reiterate grida di: « Duce! Duce! »).
Abbiamo ciò nonostante aderito alla procedura di conciliazione e di arbitrato, limitatamente ben inteso all'incidente di Ual-Ual, malgrado talune anormalità della Commissione stessa come ad esempio la rappresentanza della parte avversa che non è abissina; ma nessuno, specie in Italia, deve nutrire soverchie illusioni al riguardo.
Così nessuno deve sperare di fare dell'Abissinia una nuova pistola che sarebbe puntata perennemente contro di noi e che in caso di torbidi europei renderebbe insostenibil la nostra posizione nell'Africa Orientale (approvazioni): ognuno si metta bene in mente che quando si tratta della sicurezza dei nostri territori e della vita dei nostri soldati noi siamo pronti ad assumerci tutte, anche le supreme, responsabilità.