Saturday, 3 March 2012

Discorso all'Ateneo di Padova, 1 giugno 1923


di Benito Mussolini

Eccellentissimo Rettore! Signori Professori! Miei giovani amici!

Non sono io che onoro il vostro studio, è il vostro studio che onora me e vi confesso che pur essendo da tempo, a causa del faticoso commercio degli uomini, un po’ restio alle emozioni, oggi mi sento tra di voi profondamente commosso, tutto pervaso da una sottile emozione.

Noi ci conosciamo da un pezzo. Ci conosciamo fin dal 1915: dalle radiose giornate di maggio, radiose sempre.

Ricordo che gli studenti di Padova impiccarono sulla porta dell’università un grosso fantoccio che raffigurava un uomo politico sul quale in questo momento non voglio esprimere giudizio alcuno, ma quel gesto voleva dire che la gioventù universitaria di Padova non voleva sentir parlare di ignobili mercati diplomatici, non voleva vendere la sua splendida primogenitura ideale per un piatto di diù o meno miserabili lenticchie.

L’Università di Padova, la gioventù studiosa non discendente degenere da quegli studenti toscani che andarono a morire a Curtatone e Montanara, volle allora essere all’avanguardia, prendere il suo posto di combattimento, trascinare i riluttanti, fustigare i pusillanimi, rovesciare un governo e andare a combattere verso il sacrificio, verso la morte, ma anche la grandezza e la gloria.

Il Governo che ho l’onore di rappresentare – essendo un Governo che ripudia, almeno nella persona del capo, la dottrina del materialismo e le dottrine che pretendono di spiegare la storia complessissima delle società umane soltanto dal punto di vista unicamente materiale: un fenomeno della storia, non tutta la storia, un incidente, non una dottrina – questo Governo che tiene in alto pregio i valori individuali, spirituali e volontaristici, ha in sommo apprezzamento le università. Io non so se il mio amico De Stefani abbia raccolto l’accenno, che io riconosco assai discreto, del vostro magnifico Rettore. Ma, ad ogni modo, il Governo conta sulle Università, perché anche le università siano dei punti fermi e gloriosi nella vita dei popoli.

Io non esito ad affermare che se la Germania ha potuto resistere alla suggestione del bolscevismo, ciò è dovuto soprattutto alla forte tradizione universitaria di quel popolo.

In fondo, coloro che si avvicinano di frequente alla comunione dello spirito non possono rimanere a lungo infettati da dottrine assurde e antivitali. Un popolo come il nostro, un popolo di grande ingegno e di grande passione è necessariamente un popolo di equilibrio e di armonia. Il Governo farà tutto il possibile per le Università italiane. Il Governo comprende la loro enorme importanza storica, rispetta le loro nobilissime tradizioni, vuole portarle all’altezza delle necessità moderne.

Tutto ciò non può essere opera di un mese: non si può dare in sei mesi fondo all’Universo. Noi non facciamo che liberare il terreno da tutti i detriti che la vecchia casta politica ci ha lasciato in tristissima eredità. Come potrebbe un Governo di combattenti avere in dispregio le Università? Ciò sarebbe non solo assurdo, ma delittuoso.

Dalle Università sono usciti a migliaia i volontari; sono usciti a decine di migliaia quei superbi plotonisti che andavano all’assalto delle trincee nemiche con un disprezzo magnifico della morte: sono i compagni la cui memoria noi portiamo profondamente incisa nei nostri cuori. Voi inciderete i loro nomi sulle porte di bronzo, ma ben più imperitura della incisione sulle porte di bronzo è la loro memoria nei nostri spiriti. Non li possiamo dimenticare! Come non dimenticheremo che dalle Università sono usciti a migliaia le giovani camicie nere: quelle che a un dato momento hanno interrotto la vicenda ingloriosa della politica italiana; che hanno preso per il collo, con dita robuste, tutti i vecchi profittatori che apparivano sempre più inadeguati con la loro paralitica decrepitudine alla impazienza esuberante delle niove generazioni italiane.

Ebbene, finchè ci saranno le Università in Italia – e ce ne saranno per un pezzo – finchè ci saranno dei giovani che frequenteranno queste università e che si mettono in contatto con la storia di ieri, preparando la storia di domani; finché ci saranno questi giovani, le porte del passato sono solidamente chiuse. Ma aggiungo di più: che finchè ci saranno questi giovani e queste Università, la Nazione non può perire. La Nazione non può diventare schiava perché le Università infrangono i ceppi, non ne creano di nuovi.

Se domani sarà ancora necessario per l’interno o per oltre le frontiere suonare la grande campana della Storia, io sono sicuro che le Università si vuoteranno per tornare a ripopolare le trincee.

Ed ora che mi avete ringiovanito di venti anni, vorrei che intuonassimo tutti insieme il gaudeamus igitur. In fondo aveva ragione Lorenzo de' Medici di cantare:
Come è bella giovinezza...
Noi saremmo veramente gli ultimi degli uomini se mancassimo al nostro preciso dovere. Ma non mancheremo.

Io che ho il polso della Nazione nelle mani, che ne conto diligentemente i battiti, io che qualche volta tremo dinanzi alle responsabilità che mi sono assunte, io più che una speranza, sento fermentare nel mio spirito la suprema certezza, ed è questa: che per volere di Capi, per volontà di Popolo, per sacrificio delle generazioni che furono e di quelle che saranno, l'Italia Imperiale, l'Italia dei nostri sogni, sarà la realtà del nostro domani.