Sunday 4 March 2012

Discorso dell'Italia centrale, 28 giugno 1941

In commemorazione di Italo Balbo

di Benito Mussolini

Ufficiali! Allievi piloti! Avieri!

Oggi è una giornata di fierezza e di tristezza insieme per l'Ala d'Italia. Or è un anno, mentre si recava a ispezionare le truppe combattenti nel settore di Tobruk, il maresciallo dell'Aria Italo Balbo precipitava in fiamme e con lui l'intero equipaggio.

Lasciate che, in questa triste ma gloriosa ricorrenza, io lo ricordi, sia pure succintamente.

Per ventisei anni egli è stato, in un primo tempo, il mio discepolo, in un secondo tempo, il mio seguace, e, in un terzo tempo, il mio intimo collaboratore. Era appena un ragazzo quando, nel tempestoso inverno del 1914-1915, si presentò a Milano, alla redazione del « covo ». Il « covo » era effettivamente un covo, dove i giovani lupi della nuova Italia si preparavano ad eliminare le pecore pacifondaie che volevano ancorarsi all'onta e al disonore del « parecchio » di giolittiana memoria.

Scoppiata la guerra, Italo Balbo partì volontario e fece tutta la guerra da alpino; alpino era sempre un poco rimasto per il suo desiderio delle altitudini eccelse.

Finita la guerra, si trattava di rivendicare la vittoria e sorse il fascismo: due anni, tre anni di dure battaglie, di scontri sanguinosi, durante i quali migliaia di martiri fascisti caddero sulle strade e sulle piazze d'Italia. Italo Balbo fu lo squadrista-capo della valle Padana. Giusto venti anni or sono, mi recai a Ferrara, a constatare quale profonda trasformazione morale si era verificata nel popolo di quella terra feconda e generosa.

Dopo tre anni, era la marcia su Roma. Ricordate che oggi non ci sarebbe la marcia su Mosca, marcia che sarà infallibilmente vittoriosa, se venti anni prima non ci fosse stata la marcia su Roma, se, primi tra i primi, non avessimo alzata la bandiera dell'antibolscevismo.

Noi eravamo padroni del potere e volevamo cominciare a rifare l'Italia, non solo nelle cose, ma soprattutto negli spiriti; bisognava rifare l'Aviazione italiana, che io trovai ridotta ai minimi termini, senza più apparecchi e senza nemmeno la nozione di quello che l'Aviazione deve essere.

Pochi anni dopo, chiamavo Italo Balbo al sottosegretariato dell'Aviazione e di lì a poco lo feci ministro.

Siamo nell'epoca delle grandi crociere, crociere da ricordare anche nei precursori: il primo volo di Ferrarin da Roma a Tokio, quello di Locatelli e poi De Pinedo. Dopo i tentativi individuali, le crociere di massa.

La prima, quella dell'Atlantico meridionale. Lascio immaginare a voi la profonda emozione dei tre milioni d'Italiani del Brasile quando videro apparire ali italiane sulle città e sul suolo del grande paese che avevano fecondato con il loro sudore e con il loro sangue.

Successivamente, la Crociera atlantica del nord; più difficile, ma anch'essa felicemente riuscita. Una immensa moltitudine accolse i trasvolatori al loro ritorno a Roma. I superbi grattacieli della città più plutocratica, Nuova York, videro su di essi sfilare le ali trionfanti della nuova, giovane Italia.

Poi Italo Balbo mi fu prezioso collaboratore quale governatore della Libia e capo delle Forze Armate dell'Africa Settentrionale Italiana. Quello che ha fatto è ben presente alla nostra memoria, dall'emigrazione dei ventimila, alla costruzione della grande strada che congiunge i due confini della Libia, e la cui utilità si è rivelata in questi ultimi avvenimenti.

Italo Balbo, forte, appassionato pilota, metteva nelle sue iniziative l'entusiasmo e la disciplina del suo spirito. Egli apparteneva alla generazione italiana alla quale fu da me data questa orgogliosa consegna « vivere pericolosamente ». Se vuoi apprezzare il senso e l'orgoglio della vita, devi viverla pericolosamente. Sii calmo dinanzi al pericolo; solo così riuscirai a dominarlo e avere la vittoria.

Anche a voi va questa consegna diretta. E vi riuscirete quando vi sentirete tutt'uno con l'apparecchio, quando sentirete che non è l'apparecchio che vola, ma siete voi che volate, quando nei cieli di pace e in quelli di guerra, vi sentirete tranquilli e sicuri, con la sicurezza con la quale saettano negli spazi le rondini e le aquile.