Saturday, 3 March 2012

Discorso di Fiume, 22 maggio 1919

L'Adriatico e il Mediterraneo

di Benito Mussolini

Noi torniamo per necessità di cose al Mediterraneo, poiché questa nostra necessità mediterranea è insita nella ragione di essere e divenire, e ingenita nella forza e nell'avvenire d'Italia. Si può dire che questa necessità mediterranea è nella natura delle cose, poiché rappresenta non solo il diritto di quaranta milioni di italiani, di avere libero il campo naturale della sua immancabile espansione, ma la logica dell'Italia vittoriosa che vuoi avere libere le vie della sua legittima ascensione e la sua giusta parte negli atti e nei gesti in cui è il lievito della nuova storia.

Ma per realizzare questo disegno bisogna essere forti... Basta considerare la posizione dell'Inghilterra e della Francia – oltre che Gibilterra, Malta e Suez – per stabilire una condizione di vantaggio che gli altri tengono rispetto all'Italia. Sopra queste basi va impostato il problema politico e militare del Mediterraneo. Questo è il punto di partenza nella valutazione di tutti gli elementi, il cui esame porterà a conclusioni importanti nella impostazione del problema mediterraneo, sia per quel che riguarda l'aumento della nostra potenza navale, sia per l'apprestamento di nuove basi.

Queste necessità, sentite in alto e in basso, danno la sensazione precisa che noi torniamo alla realtà dalla quale per forza di cose siamo vissuti fuori, in questi ultimi decenni, fino a ieri, fino a che la grande guerra, risolto globalmente il problema adriatico e il problema alpino, ci ha risospinti nel Mediterraneo, dove un nuovo ordine di valori politici si è stabilito nelle posizioni reciproche che non possono più avere oggi lo stesso valore e la stessa proporzione che avevano prima della guerra.

Una cosa è certa: che l'Italia ha ormai il suo peso nella bilancia del destino europeo; e questo solo fatto dà all'Italia il diritto di preparare tali condizioni per il futuro svolgimento della sua vita morale e materiale da non pregiudicare per un lungo ordine di anni la sua salute e la sua ascensione. Queste condizioni di maggiore prosperità e di maggiore grandezza si determineranno fatalmente nel Mediterraneo. Soltanto se l'Italia sarà forte e possente sul mare porterà il simbolo e il segno del nuovo ordine e della nuova storia e sarà capace di foggiare con le sue mani il suo nuovo più grande destino. È bene fissare nella coscienza italiana questa evidente verità.

L'ora dell'Italia non è ancora suonata, ma deve fatalmente venire. L'Italia di Vittorio Veneto sente l'irresistibile attrazione verso il Mediterraneo che apre la via all'Africa. Una tradizione due volte millenaria chiama l'Italia sui lidi del continente nero che nelle reliquie venerande ostenta l'impero di Roma. Se l'Italia ha conosciuta la tragedia di Adua, lo deve all'insufficienza ideale della sua politica interna ed estera, cui va attribuito il nostro insuccesso a Cipro e la nostra esclusione da Tunisi. È la democrazia che ha snaturato la missione ed ha falsato la storia d'Italia, alla quale il genio del suo popolo aveva dato il valore di attrice e direttrice della storia europea.

La coscienza dell'Italia grande e rispettata nel mondo è mancata fino dal giorno in cui con Roma conquistammo l'unità d'Italia. Nulla si doveva arrischiare, né nella politica interna né in quella estera. Nella politica interna tutta la cura era rivolta a evitare gli urti che potevano pregiudicare la pace sociale; nella politica finanziaria il supremo ideale era dato dal pareggio che doveva sovrastare a qualsiasi altra considerazione; nella politica estèra vivere in pace con tutti i paesi, amici e nemici, vicini e lontani, per cui sarebbe stato follia tentare una grande impresa lontana, dato che, secondo la concezione liberale, l'Italia era impreparata e immatura per qualsiasi politica che mirasse oltre l'immediato domani.

La conquista di Tripoli rivelò l'Italia a se stessa, smentendo le teorie della democrazia e abbattendo i miti della vecchia Italia, e la partecipazione italiana alla grande guerra, vinta per la vittoria delle nostre armi, distrusse le menzogne e i comodi luoghi comuni della vecchia classe dirigente che non aveva capito la grande insopprimibile forza ideale e morale della «nazione», e non aveva saputo comprendere e contenere nel suo quadro i nuovi valori suscitati dalla guerra. L'Italia, avanzando contro gli uomini del passato e contro le false teorie di marca straniera, in piena decadenza di fronte alle nuove formazioni che vogliono il loro posto al sole, ha obbedito a un comando del destino; e seguendo il suo infallibile istinto ha saputo afferrare il suo destino contro le avversità di uomini e sistemi, incapace di adeguare spirito e volontà alle necessità dell'ora. Oggi ancora si cerca, come un tempo, di fuorviare la nazione, di smarrirla, di perderla; ma essa, superando il dramma che la travaglia, saprà ritrovare se stessa. L'Italia attraversò momenti di profonda depressione, ma si riebbe sempre dconquistando il suo posto di maestra di vita e di civiltà; conobbe si le ore tristi, ma non conobbe mai la tenebra. La crisi che essa oggi attraversa sarà un'altra esperienza, dura cruenta esperienda; ma la nazione tornerà vittoriosa alla sua missione. Nulla è inutile nella storia, nemmeno gli errori e le esperienze negative. Ciò che sta come una verità tangibile e intangibile – e che si vuol negare appunto perché esiste – è la nazione, la quale già avverte i fremiti di una vita nuova che sta per esplodere in una grandezza che solo il genio italiano sa concepire e realizzare in una conquista per l'umanità. La guerra libica non fu che una premessa per la nostra affermazione mediterranea; la partecipazione italiana alla guerra europea è la certezza del nostro ritorno in Africa.

Questo nell'ordine esterno. Nell'ordine interno l'Italia deve prima saper conquistare se stessa. Ecco il compito del fascismo che sta diventando l'anima e la coscienza della nuova democrazia nazionale. Ecco la missione del movimento che deve penetrare nella massa – oggi inerte, opaca, senza ideali e senza fedi – per portarla alla coscienza di se stessa, alla coscienza di nazione. Ma il movimento fascista dovrà prima spazzare la via da tutti quegli ingombri – uomini e sistemi – che ostacolano l'ascesa del Governo italiano. Non sarà la sparuta e fiacca classe di governo a dire la parola che il popolo attende: essa ha esaurito il suo compito semplicemente perché ha esaurito se stessa. La grande prova della guerra l'ha squassata e abbattuta. Non sarà illògoro e screditato regime parlamentare a rinnovare la nazione che vuoi vivere ed espandersi. Non saranno le dottrine liberali, democratiche, socialistiche a ridare al popolo italiano la coscienza del suo valore per la vita della nazione. È il movimento fascista – movimento squisitamente rivoluzionario – fatto di realtà e di verità, di impeto e di fede che farà valere il diritto del popolo italiano e condurrà la nazione a più alti destini; e quando il fascismo avrà convinto le masse della bontà della causa e della santità della lotta che non per un partito combatte, ma per il bene supremo della nazione, il popolo italiano sarà l'artefice diretto della propria fortuna. Non le classi, non i partiti, non i dogmi idioti, ma il lavoro sarà l'animatore e il propulsore della nuova vita italiana, cioè le generazioni uscite dalla guerra e dalla vittoria che nelle trincee hanno consacrato il loro diritto a non esser più fatica ma orgoglio e conquista di uomini liberi nella patria grande entro e fuori i confini.

La marcia di chi ha spinto il paese alla guerra e l'ha portato alla vittoria non si ferma a Vittorio Veneto e non si arresta al Brennero e al Carnaro. La marcia riprende e va oltre perché non tutte le mète sono state raggiunte. Si tratta di trasformare la vita italiana secondo le idealità che animarono l'intervento e generarono la vittoria. Non basta la vittoria delle armi; è necessaria la vittoria dello spirito se vogliamo rinnovare la nazione per lanciarla sulla via del suo più grande imperiale destino.

Sarà questa la premessa della nostra affermazione nel mondo. L'Italia deve apparire – e apparirà – come un blocco granitico di volontà, con un volto e un'anima sola, protesa nello sforzo di mutare il suo destino, se il destino, che le potenze satolle credono di consolidare e perpetuare in una pace ingiusta e in un equilibrio antistorico, volesse mantenerla nei suoi angusti confini, senza possibilità di uscire dal cerchio che soffoca la sua vita e impedisce il suo libero sviluppo. Né la conferenza di Parigi, né Wilson, né i trattati potranno ostacolare la nostra ascesa e decretare la paralisi della storia. Ma chi vuol ascendere deve fidare unicamente nelle proprie forze.

La conferenza della pace, che sta ammassando errori su errori, gravidi di conseguenze per il prossimo avvenire, vorrebbe immobilizzare la storia e consolidare di fronte all'Italia le posizioni di predominio dell'Inghilterra e della Francia anche là dove i nostri interessi vitali risulterebbero, per tàle politica – cosiddetta di pace – lesi e offesi. Questo non è e non sarà possibile. L'Italia ha una massa demografica imponente, ha una vitalità senza limiti, ha una grande storia, ha la sua parte direttrice nel mondo, e nessuno potrà sbarrare al popolo italiano, in continuo divenire, il suo immancabile cammino verso la grandezza. Anche per questo aspetto l'atteggiamento della conferenza della pace è semplicemente assurdo perché antistorico, e iniquo perché immorale.

Ha detto giustamente Fiume che la storia scritta col più generoso sangue italiano non si arresta a Parigi. Vi è in questo avvertimento la rivelazione dell'istinto storico di tutto il popolo che, uscito vittorioso da una guerra sanguinosissima, si sente insoddisfatto, e chiede spazio per i bisogni elementari della sua esistenza, e posto nel mondo per compiere la sua missione di civiltà. L'Italia più che nessun altro popolo ha questo diritto, poiché essa, che con l'Impero romano e il rinascimento ha creato la civiltà moderna, ha ancora da dire per la terza volta la sua parola di luce che rappresenterà un'idea di valore universale.