Saturday, 3 March 2012
Discorso di Milano, 14 maggio 1921
Cittadini!
Questa è l'ora tipica nella quale si raccolgono le vele in vista del porto, mentre le ciurme gridano « Terra! Terra! ». Ma non attendetevi da me un discorso patetico. Io mi vanto di non appartenere alla specie dei candidati che giunti all'ultima sera grattano con mano delicata l'arpa dei lenocini rettorici! Attendetevi da me un discorso cattivo, aggressivo ed antielettorale, un discorso che deve necessariamente completare quello che io ho avuto l'onore di pronunziare in un'altra storica piazza milanese. Stamane l'organo quotidiano del pussismo faceva dello spirito di cattiva lega sul carattere delle nostre manifestazioni. Io, a costo di scandalizzare ancora quei signori, ripeto che mi piace infinitamente l'elemento pittorico e coreografico delle nostre manifestazioni. Mi duole di non vedere questa sera dei razzi e delle fiaccole, di non vedere tutto quell'apparato, che non è superfluo, in quanto indica un dato fondamentale della nostra psicologia. Quando i comizi fascisti diventeranno assemblee mortifere di preti e di chierici salmodianti, un dies irae impossibile, io non sarò più fascista.
E comincio con l'attaccare a fondo coloro che in questi giorni fanno professione di purismo. In questo momento io ammetto e comprendo e ammiro il purismo in un solo uomo: parlo di Gabriele d'Annunzio. (Applausi vivissimi). Ma quando vedo salire sulla cattedra a dare lezioni di purismo uomini che hanno trescato continuamente e perdutamente fra la banca, la sacrestia e la loggia, io sento in me tale un invincibile schifo da farmi gridare « Viva l'impurità! ». D'altra parte la vita non è tutta purezza e non è tutta impurità. Capita anche al peggiore dei furfanti di avere un attimo di candore angelico e capita qualche volta ai più perfetti dei santi di rivelarsi una matricolata canaglia. Noi siamo al di sopra di questi formalismi e di queste etichette.
Siamo quindi contrari alla campagna di un giornale milanese che consiglia l'astensionismo (grida di « Abbasso il "Secolo"! ») visto e considerato che non gli è riuscito il gioco di strascinarsi ancora ai piedi del socialismo politicante italiano. Né mi stupisco, o cittadini, di vedere rientrare nell'ovile i cosiddetti socialisti autonomi o indipendenti. Di indipendente non avevano più nulla; erano in realtà degli uomini percossi e turbati da una sola nostalgia, che li ha condotti a rientrare nella vecchia chiesa. Noi invece abbiamo tagliato nettamente i ponti e non abbiamo mai nelle nostre laboriose giornate qualche cosa che rassomigli a incertezze, pentimenti o rimpianti.
Noi siamo al di qua della barricata e ce ne vantiamo e intendiamo di gettare tutti i nostri colpi contro coloro che sono dall'altra parte. della barricata. Ma la storia, nelle sue complesse vicende, nelle sue tormentose complicazioni, dà qualche volta dei risultati che non erano nelle intenzioni di quelli che si incamminano per una determinata strada. Se qui ci fosse il don Prudenzio del socialismo d'Italia, io vorrei dimostrargli, come gli dimostro, che l'azione del fascismo ha giovato anche al socialismo ufficiale italiano: prima di tutto perché l'ha spogliato automaticamente da tutta la caterva dei parassiti e degli arrivati dell'ultima ora, che, all'indomani dell'armistizio, si sono precipitati nella congrega del Pus (e moltissimi erano borghesi) per ottenere il lasciapassare nel mondo del bolscevismo. Tutti costoro se ne vanno precipitosamente. Abbiamo impedito non tanto al socialismo italiano, della quale cosa io me ne infischierei solennemente, ma al proletariato italiano di ripetere in Italia l'esperimento che si era rivelato già disastroso in Russia, in Ungheria ed in Baviera.
Finalmente ha ricondotto questo partito in una zona di misticismo falsamente eroico. Esso si da queste arie di martirologio semplicemente per turlupinare le masse. È sotto i colpi del fascismo che questi signori si sono decisi a praticare una leggera modificazione nel simbolo elettorale. Fino a ieri c'era soltanto la falce ed il martello. Finalmente si sono accorti che nella vita, malgrado le dottrine assurde del materialismo cosiddetto storico, ci sono degli immensi valori spirituali; si sono accorti che c'è anche il libro, che può essere un sillabario per le .anime che cominciano, che può essere un poema meraviglioso, che può fissare la più alta delle filosofie, e può anche essere lo spartito di una musica sublime. (Applausi).
Ed allora questi signori hanno confessato che oltre al ventre c'è anche il cervello, che oltre i muscoli bruti c'è lo spirito eternamente irrequieto e sognatore., Questi signori, aggiungendo il libro al simbolo delle loro schede, hanno riconosciuto apertamente che fino a ieri essi erano stati dei mistificatori, in buona o cattiva fede, di quella nuova misteriosa divinità che si chiama il proletariato. Tutto questo noi abbiamo imposto. Tutto questo noi abbiamo ottenuto.
Ed ora i candidati, e voi vedete che io non ho proprio la stoffa del candidato, sono assillati da domande. Può essere un po' paradossale e grottesco dì spartire la pelle dell'orso elettorale prima di averlo ucciso. Sono impegni che prendiamo con la nostra coscienza, non già con coloro che ci muovono delle domande. Ed allora io comincio col dichiarare che la revisione del trattato di Rapallo è un fatto certo ed inevitabile non appena si presentino congiunture favorevoli. (Applausi). Quel trattato è una pagina infelice della nostra storia ed il popolo cosciente di domani non potrà non cancellarlo. I responsabili dell'assassinio di Fiume dovranno essere chiamati in causa. (Applausi). Io non so sotto quale forma, perché non me ne intendo di queste procedure abbastanza complicate; ma è positivo che non soltanto per l'attacco 'fratricida a Fiume il Governo di Giolitti deve essere combattuto e condannato, ma anche per tutta la sua politica interna ed esterna. Che cosa è questa restaurazione dello Stato che avrebbe operato Giovanni Giolitti? Io non la vedo. Sono forse affetto da miopia spirituale, ma io vedo invece che lo Stato continua ad abdicare. Constato che se non ci fossero stati gruppi di fascisti a pagare qualche volta a prezzo di generosissimo sangue i loro tentativi, lo Stato oggi in Italia sarebbe abulico ed assente. Se la barca va un po' meglio, se galleggia, non è certo per merito dei piloti ufficiali. Essi appartengono a quella specie di borghesia politicante che noi combatteremo, in primo luogo perché è parassitaria, e poi perché amoreggia continuamente con i nostri peggiori nemici.
Che cosa pensate del controllo? Il problema del controllo va posto prima di tutto nell'ambiente italiano. In Italia si può spiegare quello che altrove non si spiega e non si può ammettere. Vi cito un esempio palpitante di attualità. Il 6 marzo, una delle più potenti società industriali italiane, 1'Ilva, fa un'assemblea ed annunzia un utile di sei milioni. Non erano molti, ma denotavano una specie di vitalità. Passa un mese e scompaiono i sei milioni. Pazienza!, direte voi. Ma il bello si è che scompaiono anche 425 milioni. Talché un bello spirito avrebbe potuto mettere sui giornali un avviso di questo genere: « mancia competente a quel cittadino italiano che ritroverà 425 milioni smarriti fra Roma, Piombino e Pozzuoli ».
Quando in Italia è possibile una così solenne e criminosa sperperazione del pubblico denaro e del privato risparmio, voi sentite che i cittadini onesti debbono avere il diritto di guardare dentro a queste aziende che sembrano colossali, che sembrano industriali, mentre sono semplicemente borsistiche. Ma il controllo, prima di essere accettato, deve essere esaminato nelle sue conseguenze pratiche. Noi non abbiamo niente in contrario per i principi teorici : essi sono di una elasticità fenomenale; però si tratta di vedere come saranno applicati e quali saranno le conseguenze possibili.
Ora il controllo, dopo essere stato instaurato in Russia, è stato abolito. In Germania e in Austria, dove pure vi sono repubbliche socialiste, non ha dato buone prove. In Francia e in Inghilterra non se ne è ancora parlato. Delle aziende se ne possono avere di due categorie: le aziende oneste, che è inutile controllare; le aziende disoneste, che è inutile tenere in piedi perché bisogna liquidarle nell'interesse del paese.
E che cosa pensate della burocrazia? E' un problema capitale questo e la nostra risposta è semplice. La nostra formula è questa: pochi impiegati e pagati benissimo. (Vivi applausi). Basta con questi uffici pletorici! Gli impieghi dello Stato e dei Comuni non sono congregazioni di carità, né debbono essere delle agenzie elettorali. (Applausi). Il problema della burocrazia va risolto con mano spietata e chirurgica perché la restaurazione morale e politica dello Stato è in relazione diretta con la risoluzione del problema burocratico.
In quanto al problema militare, le nostre idee fasciste sono altrettanto schiette e semplici. Se domani tutti i popoli disarmeranno, noi che siamo il popolo più pacifico della terra, disarmeremo alla nostra volta. Non è nostro intendimento di caricare sulle spalle del popolo italiano un vasto cumulo di spese militari, ma fino a quando gli altri popoli non disarmeranno, sarebbe pura follia disarmare noi per i primi (applausi); e allora qualunque regime ci sia in Italia, sarà sempre necessario che lo Stato possa contare sopra un contingente di forze militari. Questo contingente deve essere svecchiato, tecnicizzato, ridotto ad un organismo con poca gente che stia negli uffici, e con molta gente che stia nelle palestre e nelle piazze d'armi, in modo che la qualità possa sostituire l'elemento quantitativo. Ciò dicendo noi non siamo naturalmente dei guerrafondai: siamo degli uomini che non illudono il popolo, che non gli fanno credere imminente il disarmo e la pace universale, perché la storia d'Europa non è ancora giunta all'ultima pagina, a quella della pacificazione perpetua, né sappiamo se vi arriverà mai! Noi siamo degli uomini che si preoccupano delle condizioni in cui l'Italia oggi si trova: minacciata ad oriente dal pericolo slavo e ad occidente dall'atteggiamento ostile delle potenze che un giorno ci furono alleate. Ora, in questa condizione di cose, anche se per avventura domani - e questa avventura non sarà mai - ci fosse un Governo socialpussista, questo Governa non potrebbe fare a meno di creare il suo esercito per la difesa delle frontiere della patria socialista.
Dobbiamo protestare ancora contro le manovre dei rossi e dei neri. I rossi, per spaventare le masse operaie, hanno fatto già diffondere la voce che il trionfo del blocco vorrà dire il ritorno alle dieci ore di lavoro. Questo è. tipicamente falso. Uno dei candidati del blocco sono io e mi vanto di avere lanciato, immediatamente all'indomani dell'armistizio, questa parola d'ordine: « Andate incontro al lavoro che ritorna vittorioso dalle trincee ». Sostenni la necessità delle otto ore di lavoro e mi ricordo che durante questa campagna molti organizzatori di leghe scrissero articoli sul Popolo d'Italia. Noi non abbiamo motivo di smentire il nastro atteggiamento di allora, perché pensiamo che otto ore di lavoro produttivo siano sufficenti quanto dieci, di cui otto produttive e due non produttive. Così non. vogliamo menomare la legislazione sociale. Siamo orgogliosi di constatare che in questo terreno l'Italia marcia in testa a tutte le nazioni civili, perché noi abbiamo una legislazione sociale avanzatissima, non solo applicata agli operai delle industrie, ma anche applicata agli operai dei campi. Questa legislazione sociale rimane e deve rimanere intatta. Anzi noi vi diciamo che deve essere migliorata, in quanto tutto ciò migliora la razza. Tutto quello che può contribuire al perfezionamento fisico e spirituale delle masse operaie, ci interessa in sommo grado, in quanto le masse operaie sono parti integranti della nazione e in quanto vorremmo inserire il progresso e il perfezionamento operaio nella storia della civiltà.
Ma eccoci ai neri. In questi giorni si è fatta un'abbondante distribuzione di volantini, nei quali viene riportato un brano di una nota pubblicata sul Popolo d'Italia del 1916. Ho l'onore e il piacere di dirvi che allora mi trovavo in trincea. Ma vi dico subito anche che vedendo quello scritto lo avrei disapprovato. Io posso combattere e combatto il clericalismo, ma non intendo combattere la religione, specialmente quando è onestamente professata.
Ma però avverto i preti di non andare oltre su questa strada e di non credere di avere l'impunità soltanto perché si appoggiano al muro formidabile della fede cristiana. Poiché noi ad un dato momento faremo la necessaria selezione: distingueremo quella che è fede da quella che è politica più o meno sporca; distingueremo quella che è religione di anime semplici da quella che è speculazione di politicanti scaltriti. E allora, mentre rispetteremo la religione, picchieremo come noi soli sappiamo picchiare sugli speculatori della religione stessa. (Applausi. Una voce: « Dicono che noi faremo un'altra guerra »).
È falso. È stupido. Può essere anche delinquente. Noi non possiamo inseguire e non possiamo polemizzare con tutti coloro che parlano e sparlano o con tutti quelli che hanno la possibilità di buttare l'inchiostro sulla carta bianca e paziente. Non andremo a caccia di farfalle sotto l'arco di Tito e diremo una frase memorabile, quella di Giovanni Bovio « I nemici -me li scelgo io e devono essere vivi ». Quando si tratta di individui di poco polso e di scarsa intelligenza, non è seria cosa scendere a polemica. Non è il caso quindi di giustificarsi di fronte ad una accusa così balorda come è quella di volere scatenare una nuova guerra. Non abbiamo niente nella nostra vita recente che possa giustificare questi malvagi a diffondere tali calunnie. Noi diciamo soltanto, siccome abbiamo sempre il coraggio delle nostre opinioni, che ci vantiamo di avere voluto l'intervento e la guerra nel 1915. (Applausi vivissimi). Non intendiamo, anche se le folle ci fossero avverse, di ripiegare un lembo solo di quella bandiera interventista, che, insieme con un grande, con Filippo Corridoni (applausi), abbiamo agitato sulle piazze di Milano precisamente sei anni fa in questi giorni. (Una voce: « Ed i tedeschi dell'Alto Adige? ». Proteste del pubblico).
No. Lasciate che si svolga questo dialogo fra me ed il pubblico. Mi piace moltissimo. Se noti vi stancate, continueremo fino alle ore piccine. L'interruttore vuole sapere che cosa io pensi dell'Alto Adige. Lo accontento subito, non senza avergli prima osservato che se egli fosse stato presente al comizio di piazza Belgioioso, non avrebbe oggi avuta l'opportunità di farmi questa domanda. Dichiaro subito, in linea di fatto inoppugnabile, che al Brennero ci siamo e ci resteremo. Aggiungo che i tedeschi sono abusivamente nell'Alto Adige italiano. Aggiungo che se ci fosse stato un Governo meno imbelle e meno deficente, i 180 mila tedeschi dell'Alto Adige sarebbero ridotti ad una cifra più modesta; e dico anche che noi fascisti faremo il possibile per italianizzare quella regione, aggiungendo che se i deputati tedeschi verranno a Montecitorio ed oseranno parlare nella loro lingua, noi lo impediremo (applausi) perché non deve essere permesso ai piccoli gruppi allogeni di imporre alla grande nazione la conoscenza di una lingua straniera. Parleranno in italiano perché d'altra parte lo sanno benissimo, o non parleranno affatto. Penso anche che il nuovo Governo e la nuova casta politica di domani, attraverso l'economia, attraverso le scuole, la politica, le guarnigioni riuscirà a rendere italiano l'Alto Adige. E', semplicemente ridicolo domandare a noi che siamo tacciati di imperialisti e ché siamo in ogni modo espansionisti, che cosa pensiamo del Brennero. Pensiamo che è presidiato già da molte migliaia di morti e da milioni di vivi.
La giornata di domani è una giornata di importanza decisiva. Prima di tutto se le elezioni non avessero altra utilità avrebbero questa: che milioni e milioni di individui, i quali per mesi ed anni non pensano che ai loro uffici particolari, sono travolti in questo turbine di idee. Sono martellate che giungono sui loro cervelli, sono ondate spirituali che invadono come le strade e le piazze così le anime.
I problemi generali trascurati durante mesi ed anni vengono più o meno esattamente prospettati dinanzi al popolo che deve scegliere i suoi rappresentanti. Quale situazione presenta l'Italia in Europa? Dobbiamo essere ottimisti o pessimisti? Siamo ancora al crepuscolo della sera o si vede già delineato all'orizzonte il crepuscolo della nostra aurora?
Io sono ottimista. Quando guardo all'Europa, trovo che se Messene piange, Sparta non ride. Stiamo male noi in Italia, ma ecco l'Inghilterra, la grassa, l'adiposa, l'opulenta Bretagna, che è presa alla gola da una crisi sociale di acutezza enorme, la quale mette in pericolo la compagine interna e quindi la compagine di tutto l'impero; la qual cosa potrebbe determinare la rivolta di tutti i popoli del Mediterraneo dominati dall'Inghilterra; la qual cosa potrebbe anche determinare la realizzazione della nostra formula: il Mediterraneo ai mediterranei.
Guardiamo la Germania: eccola uscita da una crisi comunista acutissima. E la Francia credete voi che crepi di salute? Non bisogna credere panglossianamente che tutto si svolga nel migliore dei modi possibili. Anche la Francia ha le sue crisi nel sottosuolo sociale e se appare più tranquilla gli è per una ragione grande e tragica: la Francia è letteralmente svenata dallo sforzo guerresco. E se passiamo alla Svizzera, dove la disoccupazione infuria, alla Spagna, al Portogallo, agli Stati usciti dallo sfacelo dell'Austria, all'Austria stessa, noi abbiamo ragione per confortare il nostro ottimismo. Proprio questa sera le cifre dei cambi danno un sensibile miglioramento. Siamo sulla strada della salvezza. Io lo credo fermamente. Evidentemente la convalescenza sarà ancora lunga. I segni di questa rinascita abbondano. La stessa lotta che noi in Italia siamo costretti. di combattere è una necessità. Dobbiamo ristabilire un equilibrio. Quello che i fascisti campiono è una vera e propria rivoluzione, cioè il frantumamento di uno stato di fatto che sembrava inoppugnabile e inattaccabile. Il Partito Socialista fino ad ieri aveva la posizione dominante: ricattava i Governi e l'opinione pubblica, faceva sentire il suo peso camorristico e tirannico. Noi, andando contro questo partito, lo ridurremo a proporzioni più modeste; e ciò valga non già per il bluff largamente praticato, ma per quello che potrà sopravvenire.
Tutto quello che vi dico questa sera è un discorso che io faccio a me stesso con schietta sincerità. Quindi accettate una raccomandazione: la giornata di domani deve trascorrere senza violenze. Noi fascisti non le provocheremo. Le respingeremo energicamente. Noi vogliamo che domani i nostri avversari possano dire che non abbiamo violentato la libera manifestazione della volontà popolare. Io credo e mi auguro che i proletari vadano a votare. Ad ogni modo se si astengono, peggio per loro. Ed è inutile che il giornale pussista crei uno stato di panico quando la città è tranquilla, quando la città tutta si dispone ad esercitare il suo diritto con animo calmo e alieno da violenze.
Preparino i socialisti il loro alibi, ma noi prepariamo la nostra risposta. Essi vogliono documentare le violenze che hanno subìto, ma noi documenteremo le violenze che abbiamo dovuto respingere; e lo abbiamo già fatto con gentilissimo e grandissimo tributo di sangue. Ed il giorno dell'apertura della Camera se quei signori avranno il coraggio di inscenare la loro turpe e macabra speculazione, noi faremo trovare su tutti i banchi dei deputati di tutti i calori l'albo d'oro del martirologio fascista. E quei morti indimenticabili parleranno per noi. (Applausi).
Noi, cittadini, appunto perché siamo pochissimo candidatili, possiamo affermare che ci distingueremo in Parlamento. Faremo cessare, essendo noi dei selvaggi e degli intrattabili, quella specie di canaraderie che accomuna tutti e che è un indice di superficialità politica e morale. Quelli che sono nostri nemici in piazza, saranno trattati da nemici anche a Montecitorio. E poiché si minaccia un gesto di una certa teatralità, che consisterebbe, a quanto mi si riferisce, nel fare il vuoto intorno al primo oratore fascista, che potrei essere io, annuncio fino da questo momento, coram populo, che se quei signori se ne andranno volontariamente, molto difficilmente potranno rientrare a Montecitorio.
Non abbiamo perduto la testa quando le urne di Milano ci diedero l'enorme cifra di quattromila voti. Accettammo il responso con perfetta disinvoltura. Non perderemo la testa nemmeno nell'ora che tutti dicono del trionfo. Io non so se il trionfo sarà pieno e incontrastato; e poco mi interessa di saperlo, poiché - lasciatemi fare questo atto di superbia - chi vi parla non ha bisogno di andare alla tribuna parlamentare per suscitare degli odi, per scatenare degli amori, per dare una fiamma alle passioni.
Qualunque sia l'esito della lotta, siamo noi vinti o vincitori, noi continueremo a camminare. Se una similitudine fosse possibile, io dovrei scegliere questa per me: sono un camminante che non ha sosta, ed è eternamente inquieto, eternamente preso dallo spasimo dell'avanzata. Noi siamo i camminanti della quarta Italia. E vi si assicura, cittadini, non solo in nome dei nostri garretti d'acciaio e dei nostri capaci polmoni, ma nel nome della nostra fede, che abbiamo anche consacrato col sangue, che noi cammineremo senza sosta e cogli occhi sempre fissi ad una mèta radiosa: la grandezza della patria comune.
(La chiusa del vibrante discorso viene accolta da uno scroscio di « alalà! » e di applausi).