Saturday 3 March 2012

Discorso di Roma, 15 maggio 1925

La donna e il voto

di Benito Mussolini

Onorevoli Colleghi!

Credo che la discussione può concludersi questa sera, poiché tutte le tesi sono state in quest'aula egregiamente prospettate. D'altra parte la materia del contendere è così matura che si potrebbe anche dire fradicia. Se ne discute da sessant'anni in Italia. Se ne discute oggi perché si presenta questo disegno di legge, perché non si discuta più ancora domani.

L'argomento addotto dal mio amico Lupi, che se da sessant'anni, da Lanza in poi non si è dato il voto alla donna, è segno che questo non era sentito, non è fondato.

Noi fascisti ci siamo trovati davanti a problemi ardui da risolvere, problemi per i quali erano stampati dei volumi in tale numero da empire intere biblioteche. Ci siamo trovati ad esempio, dinanzi alla grossa questione della unificazione della Cassazione. Nessuno aveva risolto tale questione. Ad un dato momento abbiamo dovuto noi risolvere tale problema che era stato in discussione per tanti anni.

Intanto cominciamo col dire che la questione del voto alle donne non è questione di democrazia né di aristocrazia. Ne volete una prova? Io credo che uno dei paesi più democratici del mondo, più democratici di quelli democratici, sia la Svizzera. Ebbene la Svizzera insieme con l'Italia non ha dato il voto alle donne.

Nessuno di voi vorrà contestare che la Spagna sia un paese rigidamente cattolico, fieramente tradizionalista, cavalleresco, legato saldamente all'istituto familiare: ebbene, la Spagna di De Rivera ha dato il voto femminile generale e non è avvenuto nessun cataclisma fino al momento attuale.

Non facciamo nemmeno una questione di nord o di sud, dando ad intendere che sia soltanto il nord che vuole questo voto, semplicemente perché il nord è industriale e che il sud, agricolo, non lo desidererebbe. Non è vero. Intanto è sintomatico che i relatori della minoranza siano tutti meridionali, e d'altronde è sintomatico che i relatori della maggioranza, quelli che in quest'aula hanno parlato contro, siano uno toscano e l'altro bolognese.

Spogliamo, dunque, il dibattito da questi elementi che ad esso sono aderenti. E voglio dire anche all'onorevole amico Lupi, che noi siamo un partito di massa, oramai, e che oramai, quindi, non possiamo più prescindere dal suffragio universale.

Vado più in là, e dico che, se oggi, dovessimo contare su certi ceti ristretti e dovessimo chiedere a questi ceti il loro suffragio, noi avremmo delle fierissime sorprese.

Non siamo e non vogliamo essere più un cenacolo di politici; da tre anni siamo un partito di massa ed accettiamo, di questa situazione, tutti i danni ed anche gli enormi vantaggi.

Non è vero che la questione non sia sentita. Concordo con l'amico Lupi e dichiaro anch'io che nelle mie peregrinazioni non ho mai trovato una donna che mi abbia chiesto il diritto di voto. Questo torna ad onore delle donne italiane. Si capisce! Nel dopoguerra abbiamo avuto altre gatte da pelare, abbiamo avuto altre questioni e ne abbiamo ancora di così formidabili sul tappeto che la questione del suffragio femminile amministrativo può essere ritenuta di ordine secondario. Ma io ho qui un pacco di telegrammi dei fasci femminili, dico fasci femminili, che reclamano questo modesto diritto; e il primo che ho sott'occhio reca una firma che ci deve far meditare; è la firma della signora Pepe, la madre dell'assassinato Ugo Pepe di Milano. Il telegramma dice: « Forte nucleo di donne fasciste e famiglie caduti fascisti inviano mio mezzo adesione voto femminile ».

E potrei aggiungere, traendole da questo pacco di telegrammi, le adesioni singole: per esempio le adesioni delle donne fasciste della provincia di Caserta, le adesioni delle donne fasciste della provincia di Messina, ma non voglio tediarvi a leggere questi telegrammi, i quali, tutti, indicano quale è la tendenza del mondo femminile fascista.

D'altra parte, giustamente, l'onorevole Vicini ha ricordato che nei postulati fascisti del 1919, a proposito di tornare alle origini, era nettamente contemplato questo postulato.

Non divaghiamo a discutere se la donna sia superiore o inferiore; constatiamo che è diversa. Io sono piuttosto pessimista, più pessimista dell'on. Lupi: io credo ad esempio, che la donna non abbia grande potere di sintesi, e che quindi sia negata alle grandi creazioni spirituali.

Signori, in che secolo viviamo? In questo. Viviamo forse nel Medio Evo quando chiusa nei castelli la donna aspettava dal verone il ritorno del crociato?

Noi viviamo in un secolo arido, triste se volete. Ma lo accettiamo. Perché non possiamo modificarlo. È il secolo del capitalismo. C'è un determinato sistema di vita sociale che ha strappato le donne dal focolare domestico e le ha cacciate a milioni nelle fabbriche, negli uffici, le ha immesse violentemente nella vita sociale. E mentre voi siete atterriti nel sapere che ogni quattro anni una donna metterà una scheda in un'urna, non siete affatto atterriti quando vedete maestre, professoresse, avvocatesse, medichesse che invadono metodicamente tutti i campi dell'attività umana. E non lo fanno per capriccio. Lo fanno per necessità.

Aggiungo che questa necessità è diventata sempre più impellente. I tempi sono duri, e nelle famiglie, per vivere, ormai c'è bisogno di lavorare in due, ed al mattino l'uomo lascia la casa per andare alla fabbrica e la donna l'abbandona per andare all'ufficio.

Ebbene voi credete che tutto ciò tolga la poesia della vita? No! Ne dà un'altra. Ogni secolo ha la sua poesia. C'è la poesia del Medio Evo che consisteva nella coabitazione coattiva e v'è la nuova poesia che mette la vita sopra un altro piano. Insomma, se c'è nello spirito, la poesia può dominare anche le cose, ma se non c'è nello spirito, non saranno le cose che creeranno la poesia!

Si dice: ma noi siamo italiani, che cosa ci importa se tutti i popoli della terra hanno il voto femminile? Noi vogliamo costituire una brillante eccezione!

Bisogna che ci persuadiamo di un'altra cosa. Che il folklore delle Nazioni è in ribasso, perché il capitalismo tende a uniformare la vita sociale di tutti i popoli. Le differenze si livellano. Su per giù viviamo tutti lo stesso ritmo di vita.

Non è questa un'originalità, alla quale si debba assolutamente tenere.

Qualcuno crede che l'estensione del riconoscimento del voto alle donne provocherà delle catastrofi. Lo nego. Non ne ha provocato nemmeno, in fin dei conti, quello maschile perché su undici milioni di cittadini che dovrebbero esercitare il loro diritto, sei milioni non ci pensano nemmeno. Ma in certe regioni questa percentuale è anche superiore. Si va al 20 per cento; al 17 per cento di votanti. Così accadrà della donna. La metà forse vorrà esercitare il proprio diritto di voto.

Non accadrà nulla negli ambienti familiari. Per una ragione molto semplice. Non dovete credere che domani la vita della donna sarà dominata da questo episodio. La vita della donna è dominata sempre dall'amore o per i figli, o per un uomo. Se la donna ama suo marito vota per lui e per il suo partito. Se non lo ama gli ha già votato contro!

In ogni caso, ripeto, questo avvenimento fatidico si verificherà ogni quattro anni.

Senza cadere nelle esagerazioni dei femministi che attribuiscono alla donna qualità che a mio avviso non le si debbono attribuire, io penso che la società nazionale può ricevere dall'attività femminile amministrativa, dell'utilità. Non credo che questo varco darà luogo alla fiumana suffragista. Prima di tutto c'è la nostra volontà contraria. In secondo luogo le donne italiane sono state assai discrete. Se non ci fosse altro motivo per dare loro il voto ci sarebbe questo. Non hanno fatto chiassate. Non si sono agitate in questo paese dove c'è sempre un agitato e un agitatore.

Non v'è dubbio dunque che il posto occupato dalla donna nella vita sociale è oggi estesissimo e tende ad aumentare. Non la ricaccerete più la donna dalle posizioni in cui essa è venuta a trovarsi. A meno che non ci sia una catastrofe del capitalismo che ci riconduca ad un tenore di vita che noi crediamo di aver superato.

Lasciamo stare la questione della guerra. La donna ha fatto grandi cose durante la guerra. Ci sono stati esempi di eroismo femminile superbo in Italia, abbiamo avuto l'eroismo di Ala, come nel Belgio l'eroismo di Miss Cavell fucilata dai tedeschi, una figura di rilievo altissima. Ma un'altra cosa c'è da meditare e cioè che il problema della guerra di domani è un'ipotesi che dobbiamo sempre tenere presente nel nostro spirito. In questa eventualità la donna occupa un posto ancora più alto e noi in una legge che non è ancora stata presentata a voi ma che lo sarà prossimamente e che è già stata approvata dal Senato, legge che si intitola della «mobilitazione della Nazione in guerra», contempliamo il caso della mobilitazione femminile.

In questa legge è detto: « In caso di mobilitazione generale o parziale, tutti i cittadini, uomini e donne sono obbligati a concorrere alla difesa morale e materiale della Nazione e sono sottoposti ad una disciplina di guerra ».

Non si tratta dunque di dare dei premi.

Si tratta del semplice riconoscimento dì una realtà di fatto che non è nel nostro potere di regolare e meno ancora di modificare.

Onorevoli colleghi: ho finito. A proposito dell'atteggiamento della maggioranza si è fatto dell'ironia.

Si è detto: la maggioranza è contro la riforma, ma voterà come il Governo desidera. Non c'è da fare ironie su questo terreno, qui è la nostra forza. La nostra forza è nella subordinazione, nell'accettare la disciplina specialmente quando ci è ingrata, perché quando è facile tutti vi si acconciano volontieri.

Ricordatevi che in questa subordinazione di tutti alla volontà di un capo, che non è volontà capricciosa, ma è una volontà seriamente meditativa e provata dagli avvenimenti, in questa subordinazione il Fascismo ha trovato la sua forza ieri e troverà la sua forza e la sua gloria domani.