Alla seconda Assemblea Quinquennale del Regime (Sintesi del Regime)
di Benito Mussolini
Camerati!
Questa di oggi è la seconda assemblea quinquennale del Regime.
La terza la terremo nel 1939, non qui, ma davanti alla Casa Littoria, la quarta nel 1944, la quinta nel 1949 e così di seguito, prescindendo ormai dal dato della consultazione elettorale, episodio che appartiene al passato. L'assemblea quinquennale assume, quindi, un carattere tipico, cioè quello di un rapporto dopo una tappa dell'avanzata. Oggi siamo arrivati a una tappa e ci volgiamo per un solo istante a guardare il cammino persorso. Ciò che il Regime ha fatto in questi primo dodici anni della sua vita è consegnato alla storia. Fu evocato, illustrato, documentato nell'ottobre del '32, al cospetto degli italiani e degli stranieri i quali finalmente, attraverso la Mostra della Rivoluzione Fascista, cominciarono a capire che quella fascista, è una rivoluzione la quale ha richiesto sacrifici di sangue tali che impegnano tutti noi, nella maniera più categorica, a difendere - costi che costi, e contro chiunque - il legato ideale dei nostri Caduti. Essi non sono, né debbono diventare un ricordo convenzionale, e perciò distratto, ma presenti nel nostro spirito devono costituirne il mònito e l'assillo.
Dal 1929 ad oggi il Fascismo da fenomeno italiano è divenuto fenomeno universale. Ma nel fenomeno bisogna distinguere l'aspetto negativo da quello positivo. L'aspetto negativo è la liquidazione di tutte le posizioni dottrinali del passato, l'abbattimento di quelli che sono stati i nemici anche del Fascismo; l'aspetto positivo è quello della ricostruzione: solo coloro che accettano l'aspetto positivo del Fascismo ci interessano, cioè coloro che dopo avere demolito sanno fabbricare. Quanto all'aspetto negativo del fenomeno, non v'è dubbio che basta guardarsi attorno, per convincersi che i principi del secolo scorso sono morti. Hanno dato quello che potevano dare. Ammettiamo senz'altro che hanno avuto un periodo di fecondità e di grandezza. Ma è passato. Coloro che volevano fermare la storia, congelarne il moto o risalire la corrente, sono stati travolti.
Le forze politiche del secolo scorso - democrazia, socialismo, liberalismo, massoneria - sono esaurite. La prova manifesta è ch'esse non dicono più nulla alle nuove generazioni. Le torbide coalizioni degli interessi, nei quali si incrociano spesso quelli dell'economia e quelli della politica e i tentativi disperati, ma velleitari, di coloro che ci vivevano sopra, non potranno impedire l'ineluttabile. Si va verso nuove forme di civiltà tanto nella politica che nell'economia. Lo Stato riprende i suoi diritti e il suo prestigio, come interprete unico e supremo delle necessità della società nazionale. Il Popolo è il corpo dello Stato e lo Stato è lo spirito del Popolo. Nel concetto fascista il Popolo è Stato e lo Stato è Popolo.
Gli strumenti con i quali questa idealità si realizza nello Stato, sono il Partito e la Corporazione. Il Partito è oggi lo strumento formidabile, e al tempo stesso estremamente capillare, che immette il Popolo nella vita politica e generale dello Stato; la Corporazione è l'istituto con cui rientra nello Stato anche il mondo, sin qui estraneo, e disordinato, della economia. La consultazione di domenica 25, che coincide coll'anniversario della costituzione dei Fasci di combattimento, potrebbe dirsi superflua per quello che concerne l'adesione del popolo al nostro sistema. Ci sono dei plebisciti recenti, dal significato chiarissimo. Che cosa sia la corporazione nel sistema fascista, ho detto in due discorsi: ma fra poco le corporazioni cominceranno a vivere, il che è sempre più importante delle parole. Nello Stato corporativo il lavoro non è più l'oggetto dell'economia, ma il soggetto, poiché è il lavoro che forma ed accumula il capitale. Le Corporazioni vivranno perché la legge - punto di partenza, non di arrivo, e più ancora, una necessità storica e vitale - le ha create, e perché il Partito manterrà attorno a loro l'atmosfera necessaria e gli uomini penseranno e agiranno da rivoluzionari.
Il Fascismo ristabilisce nel mondo contemporaneo gli equilibri necessari ivi compreso quello fra uomo e macchina: questa può soggiogare l'individuo, ma sarà piegata dallo Stato il quale la ricondurrà al servizio dell'uomo e della collettività come strumento di liberazione, non come accumulatrice di miserie.
Più la rivoluzione si sviluppa e ascende e più si manifesta necessaria l'esistenza del Partito, al quale d'ora innanzi affluiranno soltanto i giovani: quei giovani che, inquadrati e preparati nelle organizzazioni, noi dobbiamo immettere senza ritardi, nella vita attiva e responsabile del Regime.
Se gettiamo uno sguardo nell'immediato futuro, possiamo affermare che verso il 1940 molte opere attualmente in corso saranno compiute. Compiuta sarà gran parte della bonifica integrale, specie nell'Agro Pontino, gli acquedotti saranno finiti e sistemata quasi tutta la rete stradale ordinaria; ultimato il riassetto edilizio delle università italiane, il che basterà ai loro bisogni per qualche secolo; i piani regolatori di molte città avranno avuto svolgimento e compimento, tra cui quello di Roma.
Dopo la Roma dei Cesari, dopo quella dei Papi, c'è oggi una Roma, quella Fascista, la quale con la simultaneità dell'antico e del moderno, si impone all'ammirazione del mondo. Questo era necessario anche se fosse costato somme notevoli, poiché la Capitale in ogni Stato bene ordinato e specialmente in Regime fascista e specialmente quando questa Capitale si chiama Roma, non è una città, ma una istituzione politica, una categoria morale. Siamo tuttavia molto lontani dai miliardi che gli Stati degni di questo nome hanno dedicato allo sviluppo delle loro capitali, qui si tratta di milioni. Gli italiani che passano pensosi e orgogliosi tra Piazza Venezia e il Colosseo, devono finalmente sapere che la Via del Mare è costata 28 milioni, la Via dell'Impero 71, l'isolamento del Campidoglio 8, la Via dei Trionfi 5; totale 112 milioni per liberare attraverso il lavoro di migliaia di operai un panorama che non ha, che non avrà mai, uguali sulla terra. Se dalla poesia dei ricordi millenari, dei monumenti gloriosi, si vuol passare alla prosa, si può aggiungere che la Nazione intera ha già ricuperato almeno venti volte, la somma spesa, poiché milioni di stranieri sono venuti e verranno, per mirare questo prodigio, ideato, voluto, realizzato dal Regime fascista.
Fino ad oggi, per il prevalere delle tendenze urbanistiche, ci siamo occupati delle abitazioni agglomerate. Continueremo a farlo perché certi quartieri delle maggiori e minori città d'Italia sono un insulto all'igiene e alla morale, ma è tempo di occuparsi anche delle case dei contadini, se si vuole conservarli ai campi. Da una indagine compiuta, su mio ordine, dall'Istituto Centrale di Statistica, risulta che le case rurali isolate sono 3 milioni e 390.000 circa. Di esse ben 142.298 sono inabitabili, e cioè da demolire, 475.000 sono abitabili, ma con grandi riparazioni, 930.000 con piccole riparazioni: le altre 1.840.000 sono abitabili senza riparazioni. In questo settore c'è da lavorare per almeno trent'anni. La proprietà non è, nella sua maggior parte, in grado di assumersi questa spesa. Si impone l'intervento dello Stato con un contributo da stabilire per ogni categoria di case da demolire o da riparare. Tutto ciò rientra nei lavori pubblici e relativo impiego di mano d'opera. La parola d'ordine è questa: entro alcuni decenni, tutti i rurali italiani devono avere una casa vasta e sana, dove le generazioni contadine possano vivere e durare nei secoli, come base sicura e immutabile della razza. Solo così si combatte il nefasto urbanesimo, solo così si possono ricondurre ai villaggi e ai campi gli illusi e i delusi che hanno assottigliato le vecchie famiglie per inseguire i miraggi cittadini del salario in contanti e del facile divertimento.
Non è questa la sede e il momento per un esame dettagliato delle nostre relazioni internazionali. Il giro di orizzonte si limiterà agli Stati coi quali confiniamo e a taluni problemi di ordine generale. Con la Svizzera i rapporti sono dei più cordiali. Un trattato di amicizia che fu firmato nel 1924 scade nel settembre di quest'anno; siamo disposti a rinnovarlo per lo stesso periodo di tempo. Finita la guerra abbiamo fatto una politica di amicizia con l'Austria diretta a difenderne la integrità e l'indipendenza. Siamo stati soli per lungo tempo. Quando le cose presero un andamento drammatico anche gli altri si svegliarono. Continueremo in tale linea di condotta. L'Austria sa che per difendere la sua indipendenza di Stato sovrano, può contare su noi e sa che faremo ogni sforzo per sollevare le condizioni del suo popolo. Con la Jugoslavia le relazioni sono normali, cioè diplomaticamente corrette. È possibile di migliorarle, anche perché sul terreno dei rapporti economici i due paesi sono complementari. Il problema delle relazioni italo-jugoslave va affrontato solo quando si siano determinate le condizioni necessarie e sufficienti per risolverlo. Le relazioni con la Francia sono migliorate dal punto di vista generale, ma la realtà impone di aggiungere che nessuno dei problemi grandi e piccoli, che stanno sul tappeto fra Italia e Francia da quindici anni è avviato a soluzione. Tuttavia un riavvicinamento si è operato in linea morale e su talune molto importanti questioni di ordine europeo e questo è un elemento favorevole che può condurre come desideriamo ad ulteriori sviluppi.
Nei giorni scorsi sono stati ospiti del Governo italiano il Presidente del Consiglio di Ungheria e il Cancelliere della Repubblica Austriaca. Ciò che abbiamo fatto, appare dai protocolli. È inutile forzarne la interpretazione. Fra Italia, Austria e Ungheria esistono dei rapporti di amicizia, che dopo la guerra, hanno avuto maggiore giustificazione e fondamento. L'Ungheria, isolata e spogliata anche delle terre assolutamente magiare, ha trovato nell'Italia una comprensione solidale, che non è di ieri e che ha avuto espressioni chiare in molte manifestazioni della nostra politica estera. L'Ungheria chiede « giustizia » e il mantenimento di promesse che le furono solennemente fatte all'epoca dei trattati: l'Italia ha appoggiato ed appoggia tale postulato. Il popolo ungherese è un forte popolo che merita ed avrà un migliore destino. I protocolli firmati in questi giorni a Roma, che stabiliscono i termini di una più stretta collaborazione fra Italia, Austria e Ungheria, non escludono ulteriori ampliamenti e più vaste collaborazioni con altri Stati. Si tratta di uscire dalla zona delle frasi, per entrare finalmente e decisamente in quella dei fatti.
I problemi di ordine generale concernono anzitutto la Società delle Nazioni. Il principio di una riforma è stato quasi universalmente accettato. È chiaro che la riforma deve essere affrontata dopo la conclusione della Conferenza del Disarmo, poiché se la Conferenza fallisce, non c'è più bisogno di riformare la Lega delle Nazioni, sarà sufficiente di registrarne il decesso. Che la Conferenza del Disarmo fallisca, almeno per quanto riguarda i suoi grandi obiettivi originari, è ormai pacifico - e, anzi, questa è l'unica cosa pacifica - nel senso che gli Stati armati non disarmeranno e i non armati avranno un riarmamento più o meno difensivo. Il memorandum italiano ha squarciato i veli che nascondevano il problema nella sua cruda realtà. Se gli Stati armati non disarmano, essi non eseguono la parte quinta del trattato di Versaglia e non possono logicamente opporsi alla applicazione pratica di quella parità di diritti che fu riconosciuta nel dicembre del 1932 alla Germania. Non ci sono alternative. Pretendere di tenere eternamente disarmato un popolo come il tedesco è una puraillusione, forse già superata dai fatti. A meno che non si coltivi l'obiettivo di impedire con la forza l'eventuale successivo riarmo della Germania. Ma questo gioco ha una posta suprema: la guerra, cioè la vita di milioni di uomini e il destino d'Europa. Noi abbiamo avanzato la tesi che, senza tergiversare all'infinito, si deve concedere alla Germania il riarmo ch'essa richiede, negli effettivi e nel materiale difensivo, firmando una convenzione sulla base del memorandum italiano onde ristabilire fra le maggiori e minori Potenze d'Europa, quell'atmosfera di comprensione, senza della quale l'Europa si avvia al crepuscolo.
Un altro uomo di Stato che ha messo il suo Paese di fronte alla realtà, è il conte di Broqueville, Presidente del Consiglio dei Ministri Belga. Discorso sintomatico il suo, ma coraggioso e, malgrado il clamore delle polemiche interessate, utile ai fini della convivenza europea. Questo rapido esame della politica estera va unito ed io lo unisco immediatamente e logicamente col problema militare italiano. Utilizzando i residui attivi di Bilancio, conseguenza degli stanziamenti straordinari del 1928, il Governo fascista, per supreme ragioni di ordine finanziario, ha falcidiato notevolmente i bilanci militari nei due esercizi decorsi e in quello venturo. Ma non andremo oltre. Come non mai, e specialmente oggi, dinnanzi alla paralisi della cosiddetta Conferenza dell'irraggiungibile disarmo l'imperativo categorico per una Nazione che voglia vivere e soprattutto per l'Italia, che deve svolgere tranquillamente all'interno l'opera ricostruttiva della Rivoluzione è questo: bisogna essere forti. È necessario essere militarmente forti. Non per attaccare, ma per essere in grado di fronteggiare qualsiasi situazione. Le guerre napoleoniche, quelle del Risorgimento, e soprattutto l'ultima, hanno mostrato al mondo le qualità militari ed eroiche del popolo italiano. Tutta la nostra vita di Regime deve svolgersi attorno a questo asse: la potenza militare della Nazione, che dà al popolo il senso della sicurezza e l'abito di una sempre più ferrea e consapevole disciplina.
La pace sarà assicurata dalla nostra sincera volontà di collaborazione con gli altri popoli, ma anche dalle nostre frontiere munite, dai nostri spiriti pronti al sacrificio, dai nostri mezzi adeguati agli scopi. Premessa e condizione di questa potenza, è l'unità morale e organica di tutte le forze armate e la loro fusione piena, integrale, definitiva nella vita della Rivoluzione.
L'Italia ha il privilegio di essere la Nazione più nettamente individuata dal punto di vista geografico. La più compattamente omogenea dal punto di vista etnico, linguistico, morale. L'unità religiosa è una delle grandi forze di un popolo. Comprometterla od anche soltanto incrinarla è commettere un delitto di lesa-nazione. Dal punto di vista geografico l'Italia più che una penisola è un'isola: queste cifre lo dimostrano. Le frontiere marittime della Francia sono 2850 chilometri, della Spagna 3144, della Germania 1733, dell'Italia ben 8500 chilometri. Questa insularità non è eliminata dal confine terrestre: si potrebbe dire rafforzata, poiché i 1920 chilometri di frontiera terrestre sono costituiti da una catena di montagne, la più alta d'Europa, attraversata da 14 ferrovie e 27 strade statali e 8 non statali. Tutto il resto è invalicabile. Tutta l'Italia è sul mare. Trenta capoluoghi di provincia sono sul mare. Roma stessa è sul mare. La geografia è il dato immutabile che condiziona i destini ai popoli. Le Alpi sono baluardo che, come diceva Napoleone, dividono e proteggono l'Italia, ma al tempo stesso permettono i contatti fra Nord e Sud e gli scambi, agevolati dalla stessa configurazione dell'Italia che dai picchi inaccessibili delle Alpi, si protende sino alle sponde e al cuore dell'Africa. L'italiano non può essere quindi che un popolo di agricoltori e di marinai. Mare ed Alpi sono la naturale difesa dell'Italia. Anche nei secoli della divisione e del servaggio non fu mai facile attraversare le Alpi, ma attraversate che fossero, bastava una intesa o una « lega » anche temporanea fra le città italiane per ributtare gli stranieri oltre quei confini che la natura e la storia assegnarono alla Patria.
La potenza militare dello Stato, l'avvenire e la sicurezza della Nazione sono legati al problema demografico, assillante in tutti i paesi di razza bianca e anche nel nostro. Bisogna riaffermare ancora una volta e nella maniera più perentoria e non sarà l'ultima, che condizione insostituibile del primato è il numero. Senza di questo tutto decade e crolla e muore. La giornata della madre e del fanciullo, la tassa sul celibato e la sua condanna morale, salvo i casi nei quali è giustificato, lo sfollamento delle città, la bonifica rurale, l'Opera della maternità e infanzia, le colonie marine e montane, l'educaziorie fisica, le organizzazioni giovanili, le leggi sull'igiene, tutto concorre alla difesa della razza. Il fiorentino Machiavelli diceva: « Quelli che disegnano che una città faccia grande imperio, si debbono, con ogni industria, ingegnare di farla piena di abitatori, perché senza questa abbondanza di uomini, mai si riuscirà di far grande una città ».
Il milanese Pietro Verri, due secoli dopo, a sua volta ammoniva: « La popolazione è uno dei fattori della ricchezza nazionale, essa costituisce la forza fisica e reale dello Stato, essendo il numero degli abitanti la sola misura della potenza di uno Stato ».
L'idea che l'aumento di popolazione determini uno stato di miseria, è così idiota che non merita nemmeno l'onore di una confutazione. Bisognerebbe dimostrare che la ricchezza non nasce dal moltiplicarsi della vita, ma dal moltiplicarsi della morte. Economisti di fama additano nella denatalità una delle cause della crisi: infatti chi dice denatalità dice sottoconsumo o niente consumo. I paesi a più forte denatalità sono quelli dove la crisi si è cronicizzata. Anche qui la viltà morale, poiché di ciò si tratta, è nelle classi cosiddette superiori, che pure non hanno preoccupazioni di ordine materiale, non nel popolo. Io mi rifiuto di credere che il popolo italiano del tempo fascista, posto a scegliere fra il vivere e il morire, scelga quest'ultima via e che fra la giovinezza che rinnova le sue ondate primaverili e la vecchiaia che declina verso gli inverni oscuri, scelga quest'ultima e offra fra qualche decennio lo spettacolo infinitamente angoscioso anche nella semplice previsione, di una Italia invecchiata, di una Italia senza gli italiani, in altri termini, la fine della Nazione.
È questa l'epoca dei « piani » di quattro, di cinque, di dieci, di quarant'anni. Questi piani rispondono ad un bisogno degli spiriti, percossi dalla crisi e dal precipitare dei vecchi idoli.
Il « piano » è un tentativo di domare le forze e di ipotecare il futuro. Il « piano » è il tentativo di eliminare l'arbitrario e l'imprevedibile dallo sviluppo delle situazioni. Potrei anch'io dettagliarvi un piano sino al 1945. Preferisco invece additarvi gli obiettivi storici verso i quali devono puntare, in questo secolo, la nostra e le generazioni che verranno. Parliamo tranquillamente di un piano che va sino al vicino millennio: il duemila. Si tratta di sessant'anni appena. Gli obiettivi storici dell'Italia hanno due nomi: Asia ed Africa. Sud ed Oriente sono i punti cardinali che devono suscitare l'interesse e la volontà degli italiani. Al Nord c'è poco o nulla da fare, ad Ovest nemmeno: né in Europa né oltre Oceano. Questi nostri obiettivi hanno la loro giustificazione nella geografia e nella storia. Di tutte le grandi potenze occidentali d'Europa, la più vicina all'Africa e all'Asia è l'Italia. Poche ore di navigazione marittima, pochissime di navigazione aerea, bastano per congiungere l'Italia con l'Africa e con l'Asia. Nessuno fraintenda la portata di questo cómpito secolare che io assegno a questa e alle generazioni italiane di domani. Non si tratta di conquiste territoriali, e questo sia inteso da tutti e vicini e lontani, ma di una espansione naturale, che deve condurre alla collaborazione fra l'Italia e le genti dell'Africa, fra l'Italia e le nazioni dell'oriente immediato e mediato. Si tratta di una azione che deve valorizzare le risorse ancora innumeri dei due continenti, soprattutto per quello che concerne l'Africa e immetterli più profondamente nel circolo della civiltà mondiale. L'Italia può fare questo: il suo posto nel Mediterraneo, mare che sta riprendendo la sua funzione storica di collegamento fra l'Oriente e l'Occidente, le dà questo diritto e le impone questo dovere. Non intendiamo rivendicare monopoli o privilegi, ma chiediamo e vogliamo ottenere che gli arrivati, i soddisfatti, i conservatori, non s'industrino a bloccare da ogni parte l'espansione spirituale, politica, economica dell'Italia fascista!
Il popolo fascista d'Italia al quale io indico queste grandi secolari direttive di marcia è, oggi, tutto attorno al Fascismo e lo dimostrerà domenica col suo plebiscito. L'antifascismo è finito. I suoi conati sono individuati e sempre più sporadici. I traditori, i vociferatori, gli imbelli saranno eliminati senza pietà. Ma un pericolo tuttavia può minacciare il Regime: questo pericolo può essere rappresentato da quello che comunemente viene chiamato « spirito borghese », spirito cioè di soddisfazione e di adattamento, tendenza allo scetticismo, al compromesso, alla vita comoda, al carrierismo. Il fascista imborghesito è colui che crede che oramai non c'è più nulla da fare, che l'entusiasmo disturba, che le parate sono troppe, che è ora di assettarsi, che basta un figlio solo e che il piede di casa è la sovrana delle esigenze. Non escludo l'esistenza di temperamenti borghesi, nego che possano essere fascisti. Il credo del fascista è l'eroismo, quello del borghese l'egoismo.
Contro questo pericolo non v'è che un rimedio: il principio della Rivoluzione continua. Tale principio va affidato ai giovani di anni e di cuore. Esso allontana i poltroni dell'intelletto, tiene sempre desto l'interesse del popolo: non immobilizza la storia, ma ne sviluppa le forze. La rivoluzione nel nostro pensiero è una creazione che alterna la grigia fatica della costruzione quotidiana, ai momenti folgoranti del sacrificio e della gloria. Sottoposto a questo travaglio che segue la guerra, è già possibile vedere, e sempre più si vedrà, il cambiamento fisico e morale del popolo italiano. Ecco iniziata la quarta grande epoca storica del popolo italiano, quella che verrà dagli storici futuri chiamata Epoca delle Camicie Nere. La quale vedrà i fascisti integrali, cioè nati, cresciuti e vissuti interamente nel nostro clima: dotati di quelle virtù che conferiscono ai popoli il privilegio del primato nel mondo.
Camerati!
Cinque anni or sono io concludevo il mio discorso con queste parole: « Quando ci ritroveremo a Roma fra cinque anni, il rendiconto futuro dell'azione del Regime sarà ancora più ricco di eventi di quello odierno ». I cinque anni sono trascorsi; ci siamo ritrovati in questa Assemblea e le previsioni di allora hanno trovato conferma pienissima. Cosi accadrà nel 1939 e successivi. Passano gli anni, ma la nostra fede è intatta come nelle vigilie di combattimento.
Solo ci tormenta l'ansia di accelerare al massimo i tempi, poiché la mole del lavoro aumenta e le giornate ci sembrano troppo brevi. Perché il lavoro dia il rendimento massimo è necessaria la assoluta intransigenza ideale, la fedeltà assoluta ai principi, la distinzione sempre più netta fra sacro e profano e la vigilanza assidua contro tutto quanto possa anche lontanamente nuocere al prestigio morale del Regime. Tale prestigio è affidato come preziosissimo patrimonio a voi tutti che rappresentate le gerarchie del Regime. Anche in questo settore particolarmente delicato come negli altri, voi mi avete offerto e mi offrirete una collaborazione della quale vi do atto e per la quale vi sono grato.
Partendo da questi criteri è facile identificare immediatamente ciò che è fascista da ciò che di fascista ha soltanto il nome. Basta una parola o una nostalgia o una proposta, per metterci in sospetto. E poiché non si può continuare a versare eternamente il vino nuovo negli otri vecchi, poiché il parlamentarismo non cadde mai più in basso di quanto non lo sia ora e dove non è abolito, agonizza, è chiaro, è logico, è fatale che la Corporazione funzionante, superi in quanto sistema di rappresentanza, questa istituzione che ci viene dall'altro secolo, prodotto di un determinato movimento di idee, esaurita oramai nel suo ciclo storico. La Rivoluzione ha dinanzi a sé molti cómpiti delicati e importanti. E il clima è sempre duro. I ritardatari, gli incerti, i nostalgici, li abbandoneremo al margine della strada. Il popolo italiano vuole avanzare sotto il segno del Littorio che significa unità, volontà, disciplina. Questa volontà del popolo italiano avrà domenica prossima un'altra occasione per manifestarsi. I fascisti dai maggiori ai minori, devono sentire l'umiltà e l'orgoglio di « servire » questo Stato, di assicurare benessere e potenza a questo popolo.