Sunday 4 March 2012

Discorso di Roma, 19 agosto 1931

In occasione del centenario della costituzione del Consiglio di Stato

di Benito Mussolini

Eccellenze! Camerati! Signori!

Ho voluto che questa cerimonia fosse particolarmente solenne per le seguenti ragioni: anzi tutto si celebra un centenario, il primo centenario di una grande Istituzione dello Stato; in secondo luogo perché il Consiglio di Stato merita di essere illustrato e onorato giunto alla prima tappa di questo suo secolare cammino; terzo, per richiamare su di esso l'attenzione del popolo italiano. Ho voluto che la celebrazione si svolgesse sul Campidoglio dal quale nel tempo dell'Impero e della Repubblica si organizzò il dominio militare, politico e giuridico di Roma. Né e priva di significato la presenza di tutti i Prefetti del Regno, i quali nelle provincie sono i rappresentanti diretti dello Stato.

Non ho bisogno di ricordare a voi — e sarebbe veramente pretesa assurda la mia! — che il Consiglio di Stato è coevo al sorgere dello Stato. Tutte le volte che una società nazionale o plurinazionale si organizza giuridicamente e politicamente — a prescindere dal sistema politico che darà il nome e il carattere allo Stato: Impero, Monarchia, Repubblica — si avverte la necessità della esistenza di un organo che dia dei lumi al Governo, che dia dei consigli; un organo di «esperti» volendo impiegare questa parola di moda americana, nel dopoguerra.

Questo si verifica, dal Mille in poi, in tutte le Nazioni civili dell'Occidente: in Francia, in Germania, in Inghilterra. Sarebbe assai interessante, ma esorbiterebbe dai limiti del mio discorso, cogliere analiticamente, alle origini, la creazione del Consiglio di Stato e seguirne lo sviluppo e il funzionamento attraverso i secoli nei diversi paesi. Mi limiterò a dire quello che gli studiosi hanno già constatato e stabilito, e, cioè, ad esempio, che in Francia il Consiglio di Stato ha contribuito potentemente, sino dai tempi della Monarchia, alla organizzazione unitaria del paese. La Rivoluzione francese trasforma prima, abolisce poi il Consiglio di Stato, ma, dopo il Termidoro, sotto il Consolato, la Costituzione del 22 brumaio dell'anno VIII, dichiara che «un Consiglio di Stato sarà incaricato di redigere i progetti di legge e i regolamenti di amministrazione pubblica e di risolvere le difficoltà che si eleveranno in materia contenziosa». Il Consiglio di Stato segue, quindi, le alterne vicende politiche della Francia: epoca di splendore con Napoleone; ignorato poscia dalla Carta costituzionale del 1814; ristabilito pochi mesi dopo, il Consiglio di Stato in Francia fu oggetto di riordinamento e riforma nel 1831-1833, 1845, 1848 e 1849, quando parve assumere una fisionomia definitiva.

Coll'evento del Secondo Impero, il Consiglio di Stato viene riportato sulle linee napoleoniche, ma l'impero caduto, una legge organica del 1872 ne fissa la configurazione nei tratti, oramai permanenti, salvo i dettagli. Non meno interessante e movimentata è la storia del Consiglio di Stato in Inghilterra, ma io vi rimando alle pubblicazioni specifiche in materia.

Così dicasi per quanto riguarda il periodo storico del Piemonte che va dal 1200 al 1831. Non vi è dubbio che il Consilium nobiscum residens dei Conti e Duchi di Savoia contiene in embrione il Consiglio di Stato. Vero e proprio Consiglio di Stato fu quello istituito da Emanuele Filiberto nel 1559, dopo la pace di Castel Cambresis, che ricostituiva lo Stato piemontese, proclamato allora con profetico intuito, dal vincitore di San Quintino, « bastione d'Italia ».

Il Consiglio di Stato era composto di 30 membri, con funzioni consultive. Ma un Consiglio di Stato maggiormente definito nei suoi aspetti e nelle sue prerogative sorse, nell'unico Stato veramente italiano del secolo scorso, il 18 agosto 1831. La storia del Consiglio di Stato segue da vicino, come ombra il corpo, la storia del Risorgimento italiano. Nel 1848, in seguito alla concessione dello Statuto, appare evidente la necessità di aggiornare il Consiglio di Stato. Seguono i progetti di riordinamento che recano i nomi di Pinelli, Galvagno, Rattazzi fra gli anni 1849-1854. Finalmente nell'ottobre del 1859, il Consiglio di Stato viene riordinato. Ma di lì a due anni, dopo gli avvenimenti straordinari del 1859-1860, viene proclamato, nel 1861, il Regno d'Italia. Il Consiglio di Stato del Regno di Sardegna deve essere riordinato, il che accade nel 1865.

Portata la Capitale a Roma, risorge il problema delle attribuzioni del Consiglio di Stato, problema affrontato nei progetti Nicotera del 1877, Depretis dell'80 e Crispi degli anni 1889-1890. Si deve alla legge Crispi la istituzione della IV Sezione del contenzioso; fu Crispi che aumentò il numero dei consiglieri e che impresse nuovo vigore all'Istituto. Da allora ad oggi l'importanza del Consiglio di Stato è accresciuta e crescente negli Stati moderni in genere per la estensione delle loro funzioni anche nel settore economico e in quello Stato particolare che è lo Stato fascista italiano, fascista e corporativo, anzi fascista perché corporativo e viceversa, poiché senza la costituzione corporativa, elaborata nelle memorabili, ardenti ed entusiastiche sedute del Gran Consiglio negli anni 1925-1926, fissata nella legge del 3 aprile e coronata con la Carta del Lavoro, non vi è Rivoluzione fascista, poiché una rivoluzione è molto di più della semplice costituzione di un Governo forte che può garantire — in ogni evenienza — l'ordine pubblico.

Questa concezione filistea piccolo borghese della Rivoluzione fascista è da respingere come una parodia e un insulto. Discutere ancora se la sfera dell'economico rientri nello Stato e appartenga allo Stato è semplicemente — nella migliore delle ipotesi — assurdo e inattuabile. Nessuna sfera della vita individuale e collettiva può essere sottratta allo Stato; ogni sfera, anzi, rientra nello Stato e vive in quanto è nello Stato.

Già prima del 1914, lo Stato era entrato nella sfera dell'economico, ma da allora ad oggi c'è stato quell'insignificante incidente che è la guerra mondiale, la quale ha avuto il torto di sovvolgere l'umanità intera e la vita dei popoli, in tutti i suoi aspetti politici, economici e spirituali. Non mai come oggi l'economia è diventata pubblica, squisitamente politica anzi. Gli stessi economisti che lo crearono hanno composto nella bara la salma dell'« homo oeconomicus »; puro e vivo è rimasto soltanto l'uomo integrale, mentre « economico » ha preso sempre più l'aspetto di fenomeno «sociale» in un complesso storico determinato.

Lo Stato in genere e quello fascista in particolare, agisce sull'economico in un triplice modo; creando le condizioni generali più propizie allo sviluppo delle forze economiche del paese; aiutando le forze economiche sane quando da loro non possono rimontare la corrente poiché la loro volontà non è più sufficiente allo scopo; o quando, come nelle grandi bonifiche, i mezzi dell'iniziativa privata non bastano all'ampiezza del compito; lasciando perire senza pericolose indulgenze, gli organismi mal creati e mal diretti.

Lo Stato corporativo fascista non vuole essere il semplice guardiano notturno nella politica, non vuole nemmeno essere soltanto una specie di Congregazione di carità dal punto di vista sociale.

Lo Stato fascista è quello che più direttamente è entrato nella sfera dell'«economico», creando una disciplina nei conflitti degli interessi collettivi, riconoscendo giuridicamente i gruppi professionali, conferendo ad essi la rappresentanza di tutte le categorie. Questi cinque anni hanno luminosamente provato la bontà e l'utilità del sistema. Non si sono avute in Italia le dispersioni di ricchezza dovute in altri paesi alla lotta di classe, sotto la duplice pressione tipica di sciopero operaio o di serrata padronale: poiché la Corporazione, come tendenza dello spirito e come istituto, realizza ed è destinata sempre più a realizzare l'equilibrio degli interessi opposti, sul piano di un riconoscimento dell'interesse generale, senza dei quali anche l'interesse dei gruppi e degli individui è compromesso.

Questa, che può a prima vista apparire una digressione, mi riconduce invece ad una delle importanti funzioni odierne del Consiglio di Stato, il quale vigila a che l'attività dello Stato nella sfera dell'«economico» avvenga nelle condizioni migliori con vantaggio dei singoli e dei gruppi e senza nocumento degli interessi generali dello Stato: dia, cioè, i più utili, desiderabili resultati. Difatti, fra i compiti consultivi del Consiglio di Stato vi è l'esame ed il voto « sulle Convenzioni e sui contratti da approvarsi per legge e che comportino impegni finanziari che non trovano riscontro in impegni regolarmente assunti per legge »; convenzioni e contratti oggi ben più numerosi e importanti che per il passato, data la complessità dell'odierna vita economica.

In sede giurisdizionale poi il Consiglio di Stato decide sui ricorsi in materia di Consorzi per opere idrauliche, per le quali provvede lo Stato in concorso delle Provincie e degli enti interessati o alle quali concorre lo Stato nell'interesse generale; dei ricorsi in materia di concorso di spesa per opere di bonifica di prima categoria costruite dallo Stato direttamente e per sua concessione da enti o privati, nonché in materia di consorzi per opere di bonifica della stessa categoria.

Anche in questo campo l'opera del Consiglio di Stato è fondamentale per il buon andamento delle singole amministrazioni. Un Regime di autorità, come quello fascista ha tutto l'interesse di far funzionare in piena regolarità un organo di controllo, di consulto e di giustizia come il Consiglio di Stato.

La Rivoluzione fascista trovò il Consiglio di Stato così come lo aveva lasciato la legge del 1907. Avvalendosi dei pieni poteri, il Governo fascista portava, con R. Decretò del 30 dicembre 1923, n. 2840, modificazioni all'ordinamento del Consiglio di Stato, riordinandone — come si legge nella relazione a S. M. il Re — la funzione consultiva, estendendone l'obbligatorietà, facendo della IV e V Sezione l'unità del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale.

Questa è la riforma più importante adottata dal Regime, che diede quindi luogo al Testo Unico del 26 giugno 1924 e relativo regolamento nella stessa data. Seguiva un Decreto legge del 23 ottobre 1924 che apportava alcune modifiche al testo unico. I successivi provvedimenti del Governo fascista non hanno recato ulteriori modificazioni di qualche rilievo all'ordinamento del Consiglio di Stato; è con R. Decreto legge del 15 ottobre 1925 che viene aumentato il numero complessivo dei Presidenti di sezione e dei Consiglieri di Stato; è un R. Decreto legge del 9 gennaio 1927 che conferisce al Governo del Re la facoltà di dispensare dal servizio magistrati dell'ordine amministrativo, facoltà di cui il Governo si è giovato con estrema discrezione, anche e soprattutto perché il Consiglio di Stato si componeva, nella sua grandissima maggioranza, ed oggi nella sua totalità, di uomini di sicura fede civica e di non meno fedele devozione al Regime; finalmente un Decreto legge del 14 aprile 1927 fissava i limiti per l'esame del Consiglio di Stato dei contratti da stipularsi dai Ministeri della Guerra e della Marina.

Da allora, e sono ormai passati oltre quattro anni, il Consiglio di Stato non è stato più oggetto di provvedimenti legislativi. Ma da domani, iniziandosi il secondo centenario della sua vita feconda e gloriosa, il Consiglio di Stato passa alle dirette dipendenze del Capo del Governo, il che fu da me annunciato fino dal settembre 1929 ed è perfettamente conseguenziale con la esistenza della legge del Primo Ministro, profondamente innovatrice del nostro diritto pubblico.

Per il valore dei suoi membri, guidati da un Presidente come il Santi Romano, di chiara e universalmente riconosciuta dottrina, e per il prestigio unanime dal quale è circondato, e per l'ausilio preziosissimo che dà all'opera del Governo e per la garanzia di assoluta giustizia che offre ai cittadini, il Consiglio di Stato è oggi uno degli elementi fondamentali del Regime e quindi della vita politica e morale della Nazione.

Così io ho disposto per l'esatto e sollecito raccoglimento da parte di tutti i Ministeri dei pareri del Consiglio di Stato, pareri che di frequente evitano errori e che comunque sono un elemento di sicurezza nella vita amministrativa dello Stato.

Bisogna vegliare, severamente vegliare a che questo prestigio non venga diminuito. Bisogna, quindi, reagire contro la tendenza, qualche volta affiorante in talune zone dell'amministrazione, a considerare il Consiglio di Stato come una giubilazione per servizi resi, un sostitutivo di altri incarichi e compiti o il coronamento ambito d'una carriera. Seguendo queste deleterie direttive, si finirebbe per appesantire il Consiglio di Stato, per farne una casa di riposo o di consolazione, mentre il Consiglio di Stato deve comporsi di uomini capaci di dare un reale, positivo, continuativo contributo all'opera consultiva e giurisdizionale del Consiglio stesso.

Con questi pensieri e propositi io saluto il primo secolo di vita del Consiglio di Stato, secolo che vide eventi mirabili, come l'unità e la indipendenza della Nazione, ed una grande guerra vittoriosa, che diede i giusti ed inviolabili confini alla Patria.

Nel nome augusto di S. M. il Re, nel quale lo Stato ha la sua individuazione suprema e la garanzia del suo divenire, io traggo fausti gli auspici per il secondo secolo che da domani comincerà del Consiglio di Stato. Nuove prove, più alti doveri, mete più difficili attendono l'animo ormai temprato e virile del popolo italiano. Ma il forte combattere e l'energico progredire di ieri dà a noi tutti la convinta certezza del domani.