Saturday, 3 March 2012

Discorso di Roma, 24 giugno 1923

Per la sagra dei combattenti

di Benito Mussolini

Commilitoni!

Dopo che le vostre squadre meravigliose di disciplina e di portamento sono sfilate davanti alla maestà del Re che è il simbolo intangibile della Patria; dopo la cerimonia austera nella sua silenziosa solennità davanti al tumulo del Fante Ignoto: dopo questo formidabile spettacolo di forza e di santità, le mie parole sono assolutamente superflue. Non intendo farvi un discorso. La sfilata di oggi è una manifestazione piena di significato e di ammonimento. Tutto un popolo in armi, spiritualmente è oggi convenuto nella città eterna: tutto un popolo che al di sopra delle deviazioni inevitabili dei partiti si ritrova gagliardamente unito quando è in giuoco la salvezza della Patria comune.

Per il disastro di Linguaglossa la solidarietà nazionale ha avuto una delle sue manifestazioni migliori; da tutte le città, da tutti i villaggi, si potrebbe dire da tutti i casolari, un palpito di amore fraterno è andato verso la terra colpita dalla sventura.

Oggi diecine di migliaia di combattenti, migliaia di bandiere uomini venuti a Roma da tutte le parti d'Italia e dalle lontane colonie dell'estero, stanno a dimostrare inesorabilmente che l'unità morale della Patria italiana è un fatto compiuto ed irrevocabile.

Dopo sette mesi di Governo il parlare a voi, commilitoni delle trincee, è il più alto onore che mi potesse toccare. E non lo dico per adularvi: non lo dico per rendervi un omaggio che potrebbe sembrare di prammatica. Io ho il diritto di interpretare questa vostra adunata che si raccoglie a sentire la mia parola come un gesto di solidarietà col Governo nazionale. Non solleviamo parole e fantasmi inutili. Ma io vi domando: Ci deve essere la libertà per mutilare la vittoria? (grida: no! no!). Ci deve essere la libertà di sabotare la Nazione? (grida: no! no!). Ci deve essere la libertà per coloro che hanno come programma di sconvolgere le istituzioni che ci reggono? (grida: no! No!). Ripeto quello che ho detto altra volta in maniera esplicita. lo non mi sento infallibile; mi sento uomo come voi.

Non respingo, non posso, non voglio respingere nessuna collaborazione leale, fraterna e sincera.

Commilitoni!

Il cómpito che grava sulle mie spalle, ma anche sulle vostre è semplicemente immenso, e ci impegnerà per un lungo periodo di anni. È necessario, quindi, non disperdere, ma tesoreggiare ed utilizzare tutte le energie che siano rivolte al bene della Patria. Sono passati cinque anni dalla battaglia vittoriosa per eccellenza, vittoriosa perché su di essa non si può sofisticare né al di qua né al di là della frontiera. Bisogna proclamarlo per voi, che mi ascoltate, ed anche per coloro che mi leggeranno, che la vittoria del giugno sul Piave fu decisiva ai fini di tutta la guerra. Sul Piave rovinò l'impero austro-ungarico, dal Piave si librò sulle sue ali candide la vittoria italiana. Il Governo intende esaltare i valori spirituali che sorgono dalla vittoria del popolo in armi. Non intende disperderli, perché essi rappresentano la semente sacra per l'avvenire. Più ci allontaniamo da quei giorni e più ci sembrano grandi, maestosi, formidabili; più ci allontaniamo da quella vittoria e già tutto appare come in un alone di leggenda e tutti vorrebbero esserci stati.

Troppo tardivamente qualcuno si accorse che quando la Patria è in pericolo, il dovere di tutti i cittadini, dal più alto al più basso, è uno. solo: combattere, soffrire, e, se occorre, morire! Noi abbiamo vinto la guerra, noi abbiamo demolito un impero che gravava sulle nostre frontiere e ci mozzava il respiro e ci teneva perennemente sotto il ricatto della sua minaccia armata. La storia non finisce o commilitoni; la storia dei popoli non si misura ad anni ma a decenni, a secoli! Questa vostra manifestazione è un segno infallibile della vitalità del popolo italiano.

La frase che si deve vincere la pace non è un luogo comune. Racchiude una profonda verità. La pace si vince con la concordia, col lavoro, con la disciplina. Questo è il vangelo aperto dinanzi agli occhi delle nuove generazioni, che sono uscite dalle trincee, un vangelo semplice e schietto che tiene conto di tutti gli elementi, che utilizza tutte le energie, che non si abbandona a tirannia o ed esclusivismi grotteschi, perché ha dinanzi agli occhi una mèta sola, una mèta comune: la grandezza e la salvezza della Nazione!

Combattenti!

Voi siete venuti a Roma, ed è naturale, io oserei dire, fatale! Perché Roma è sempre, e domani e nei millenni, il cuore potente della nostra razza. È il simbolo imperituro della nostra vitalità di popolo. Chi tiene Roma, tiene la Nazione.

Vi assicuro, o Commilitoni, che il mio Governo, nonostante le difficoltà aperte o larvate, terrà fede ai suoi impegni. t il Governo di Vittorio Veneto. Voi lo sentite e voi lo sapete; se non lo credeste, non sareste qui raccolti in questa piazza! Portate nelle vostre città, nei vostri paesi, nelle vostre case lontane, ma vicine al mio cuore, portate l'impressione gagliarda e formidabile di. questa adunata. Tenete accesa la fiamma poiché quello che non è stato può essere: poiché se la vittoria fu mutilata una volta, non è detto che non possa essere mutilata un'altra volta. Io prendo atto della vostra promessa, del vostro giuramento. Conto su di voi come conto su tutti i buoni italiani, ma conto soprattutto su di voi, perché siete della mia generazione, perché siete usciti dal travaglio fangoso e sanguinoso della trincea, perché avete vissuto e lottato e sofferto in cospetto della morte, perché avete compiuto il vostro dovere ed avete il diritto di rivendicare ciò che vi spetta, non soltanto dal punto di vista materiale, ma anche dal punto di vista morale. È passato per sempre, io ve lo dico e ve lo giuro, il tempo in cui i combattenti reduci dalle trincee dovevano quasi vergognarsi; il tempo in cui si dava agli ufficiali il codardo consiglio di vestire in borghese. Tutto ciò è sepolto. Non dovete dimenticare, e nessuno lo dimentichi, che sette mesi fa, 50.000 camicie nere, armate, vennero a Roma a seppellire il passato.

Combattenti, commilitoni, eleviamo in cospetto del grande compagno ignoto il grido che riassume la nostra fede: Viva il Re! Viva l'Italia vittoriosa, intangibile, immortale!