Saturday 3 March 2012

Discorso di Roma, 28 gennaio 1923

Agli operai del poligrafico

di Benito Mussolini

Mi avevano detto meraviglie di questo vostro stabilimento: confesso che la visita non mi ha deluso. Credo che questo sia il primo stabilimento d'Italia. Se vi dico che le vostre accoglienze mi hanno commosso, dovete credermi poiché io ho l'abitudine - è sistema della mia vita - di dire sempre e dovunque la verità. Sono commosso per le vostre accoglienze. Per il discorso magnifico di fede italiana e di sentimento pronunciato da un vostro compagno di lavoro. Commosso perché io considero i tipografi come facenti parte della aristocrazia del lavoro. Durante venti anni di giornalismo io ho sempre considerato i tipografi non come dei compagni, ma come dei fratelli. Non ho mai avuto una questione con le mie maestranze. Ci siamo sempre trovati d'accordo. Anche in questo momento in cui io sono lontano dai miei tipografi di Milano, essi, di quando in quando, mi mandano il loro saluto fraterno e pieno di devota simpatia. Mi vanto di essere un figlio di lavoratori. Mi vanto di aver lavorato con le mie braccia. Ho conosciuto le umili fatiche della gente che lavora. Quando io lavoravo la giornata era di dodici ore. Oggi è di otto. Questa vostra conquista è intangibile: se qualcuno vi dice il contrario mentisce sapendo di mentire. Il Governo che ho l'onore di presiedere, Governo nato da una grande rivoluzione che si svilupperà durante tutto il secolo in corso, non intende di fare, non può fare, non vuole fare una politica anti-operaia. In primo luogo voi siete degli italiani. Io dichiaro che prima di amare i francesi, gli inglesi, gli ottentotti, amo gli italiani, amo cioè coloro che sono della mia stessa razza, che parlano la mia stessa lingua, che hanno i miei costumi, che hanno la mia medesima storia; poi, mentre detesto i parassiti di tutte le specie e di tutti i colori, amo gli operai che sono una parte integrante della vita della Nazione. Gli operai, quando non siano illusi o mistificati dai falsi pastori di professione, benefattori di un ipotetico genere umano, sono ottimi padri di famiglia che amano i loro figli, che cercano di vivere una vita tranquilla, che sentono assai profondo il senso del dovere e della civica responsabilità. Vedo sui vostri petti in gran parte i segni del valore, del valore italiano. C'è stato un momento che io chiamerò di eclissi, in cui pochi osavano di portare sul petto i nastrini che sono la consacrazione di un dovere nobilmente compiuto. Oggi questo orgoglio rinasce. È logico: ed è giusto: ed è legittimo che le categorie dei lavoratori si difendano per migliorare le loro condizioni di vita, non solo materialmente ma anche moralmente. Ma per ciò fare non è necessario di seguire le chimere internazionalistiche, per ciò fare non è necessario di rinnegare la Patria e la Nazione, perché è assurdo, prima ancora di essere criminoso, rinnegare la propria madre. I vostri applausi sono troppo caldi per essere applausi di convenienza o di cortesia. Voi sentite che le mie parole portano, cioè che le mie parole entrano nei vostri animi, che le mie parole sono l'eco di stati di spirito da voi sentiti da qualche tempo. Io vi esorto a continuare a lavorare con assoluta tranquillità e con perfetta disciplina. Voi non avete nulla da temere dal mio Governo. C'è qualcuno che deve temere i rigori necessari del mio Governo. Ci sono degli uomini che evidentemente non si rendono ancora conto di quanto è successo in Italia da tre mesi a questa parte. Ci sono per fortuna centinaia e migliaia di lavoratori, potrei dire milioni, se non volessi andare alle cifre cospicue, ci sono, dicevo, enormi masse di lavoratori che cominciano ad accostarsi allo Stato nazionale, che concilia in se stesso gli interessi di tutte le categorie, che vuole, fermissimamente vuole, la grandezza della Nazione attraverso il benessere dei singoli cittadini e la loro liberazione soprattutto dai mistificatori che hanno fatto lauti profitti sul vostro sudore e qualche volta anche sul vostro sangue. Detto ciò io abbraccio ancora una volta il cieco di guerra che mi ha portato il vostro saluto. Ed in lui abbraccio tutti voi combattenti ed operai, ed abbraccio tutti i combattenti ed i produttori d'Italia, che stanno marciando risolutamente verso quel grandioso avvenire che non può mancare ad una Nazione di quaranta milioni di uomini, decisi a conquistarsi il loro legittimo posto nel mondo.