Ai lavoratori del porto di Genova
di Benito Mussolini
Certamente voi sapete che io ho molte simpatie per Genova; simpatie che risalgono al 1915, quando Genova, insieme con Milano e con Roma, costituì una delle forze che iniziarono la rivoluzione; poiché la rivoluzione che ha condotto il Fascismo al potere è cominciata nel maggio 1915, è continuata nell'ottobre 1922 e continuerà per un pezzo. Sono molto lieto di accogliere il vostro messaggio e vi ringrazio con tutta la mia sincera cordialità. Debbo dirvi che il Governo che ho l'onore di presiedere non ha mai inteso, non intende e non può intendere una politica cosiddetta antioperaia, anzi io vorrei fare un elegio del popolo lavoratore che non crea imbarazzi al Governo, lavora ed ha abolito praticamente gli scioperi. Si è redento perché non crede alle utopie asiatiche che ci venivano dalla Russia; crede in se stesso, nel suo lavoro: crede nella possibilità, che per me è certezza, di una Nazione italiana prosperosa, libera e grande.
A questa grandezza voi siete direttamente interessati, e voi che venite da un centro di vita così fervido, come Genova, siete i più indicati a sentire tutto questo fermento di vita nuova, tutta questa preparazione alacre del nuovo destino. Il Governo, voi lo vedete, governa; governa per tutti, al di sopra di tutti e se è necessario contro tutti. Governa per tutti perché tiene conto degli interessi generali; governa contro tutti quando categorie, siano di borghesi, siano di proletari, vogliono anteporre i loro interessi a quelli che sono gli interessi generali della Nazione. Io sono sicuro che se il popolo lavoratore, di cui voi siete la minoranza aristocratica, contimterà a dar questo spettacolo nobilissimo di calma, di disciplina, la Nazione che era sull'orlo dell'abisso si riscatterà pienamente. Non dico frasi che non siano pensate e meditate: dopo due mesi di Governo vi dico che se la rivoluzione fascista avesse tardato ancora qualche mese, e forse soltanto qualche settimana, la Nazione sarebbe piombata nel caos. Tutto quello che facciamo è in fondo lavoro arretrato: liberiamo i cittadini dal peso delle leggi che erano il frutto di una politica di demagogia insulsa, liberiamo lo Stato da tutte le superstrutture che lo soffocavano, da tutte le sue funzioni economiche per le quali non è adatto; lavoriamo per andare al pareggio; il che significa rivalutare la lira; il che significa prendere una posizione di dignità e di forza nel mondo internazionale.
L'Italia che noi vogliamo fare, che costruiamo giorno per giorno, che noi faremo, perché questa è la fede e la nostra volontà incrollabile, sarà una creatura magnifica di forza e di saggezza. E potete essere certi che in questa Italia, il lavoro, tutto il lavoro, quello dello spirito e quello del braccio terrà come deve tenere il primo posto.