Al popolo di Sassari
di Benito Mussolini
Cittadini di Sassari! Fiero, gentile popolo di Sardegna!
Quello che ho compiuto oggi non è e non deve essere interpretato come un viaggio ministeriale. Ho inteso di compiere un pellegrinaggio di devozione e di amore per la vostra magnifica terra. Mi hanno detto che dal 1870 ad oggi è questa la prima volta che il Capo del Governo parla al popolo di Sassari raccolto nella vasta piazza. Deploro che fino a questo momento nessun Capo del Governo, nessun Ministro abbia sentito il dovere elementare di venire a conoscere i vostri bisogni, di venire ad attestare a voi quanto l'Italia vi deve. Per i mesi, per gli anni, per i lunghi anni del nostro sacrificio di sangue e della nostra purissima gloria il nome di Sassari, consegnato alla Storia nei bollettini di guerra, ha echeggiato nell'animo profondo di tutta l'Italia. Coloro che seguivano lo sforzo magnifico e sanguinoso della nostra razza, coloro che si sono macerati nel sangue e nel fango delle trincee, giovani della mia generazione, fierissimi e sdegnosi, tutti quelli che portano sempre nel cuore la fede della Patria, tutti costoro, o sardi, vi ammirano, tutti costoro, o fanti della Brigata Sassari, o cittadini di Sassari, vi tributano un segno, una testimonianza di infinito amore.
Che cosa importa se qualche burocrata che si attarda a poltrire non ha ancora tenuto conto dei vostri bisogni? Sassari è già passata gloriosamente alla Storia. Oggi ho sofferto quando mi hanno detto che questa città non ha acqua. Ebbene, vi prometto che avrete l'acqua perché avete il diritto di averla. Se il Governo Nazionale vi concederà — come vi concederà — i due o i quattro milioni necessari, non avrà fatto che il suo dovere perché, mentre altrove giovani dalle spalle quadrate lavoravano al tornio, la gente di Sardegna combatteva e moriva nelle trincee.
Intendiamo rivalutare le città e le regioni d'Italia, perché chi più ha dato alla guerra maggior diritto ha di avere nella pace.
Pochi giorni fa, nella ricorrenza dell'anniversario della guerra, mi sono recato, per le vie del cielo, ai cimiteri del Carso. Ci sono molti vostri fratelli che dormono in quei cimiteri il sonno che non ha risveglio. Li ho conosciuti; ho vissuto con loro; ho sofferto con loro. Eran magnifici, pazienti, generosi. Non si lamentavano, resistevano e quando l'ora tragica suonava in cui si doveva uscire dalla trincea, erano i primi e non domandavano perché!
Il Governo Nazionale che ho l'onore di dirigere è un Governo che conta su di voi e voi potete contare su di lui. È un Governo scaturito da una duplice vittoria di popolo. Il Governo Nazionale viene verso di voi, perché voi gli diciate schiettamente, lealmente quali sono i vostri bisogni.
Siete stati trascurati, dimenticati, per troppo tempo! A Roma si sapeva e non si sapeva che esisteva la Sardegna. Ma poiché la guerra vi ha rivelato all'Italia, bisogna che tutti gli Italiani ricordino la Sardegna non soltanto a parole, ma a fatti.
Sono lieto, commosso, per le accoglienze che mi avete tributato. Ho guardato nelle vostre faccie; ho visto i vostri lineamenti; ho riconosciuto che voi siete dei virgulti superbi di questa razza italiana che era grande quando gli altri popoli non erano ancora nati, di questa razza italiana che ha dato tre volte la sua civiltà al mondo attonito o rimbarbarito, di questa razza italiana che noi vogliamo prendere, sagomare, forgiare per tutte le battaglie necessarie nella disciplina, nel lavoro, nella fede.
Sono sicuro che come la Sardegna è stata grande nella guerra, sarà altresì grande nella pace.
Vi saluto, o magnifici figli di quest'Isola solida, ferrigna e dimenticata. Vi abbraccio spiritualmente tutti quanti. Non è qui il Capo del Governo che vi parla: è il fratello, il commilitone, il trincerista. Gridate dunque con me: «Viva il Re! Viva l'Italia! Viva la Sardegna!».