Saturday, 3 March 2012

Discorso di Perugia, 30 ottobre 1923

Celebrazione della Marcia su Roma

di Benito Mussolini

Popolo di Perugia! Popolo dell'Umbria tutta!

Non ti stupire se io comincio il mio discorso con un atto di contrizione: ho molta vergogna di dirti che questa è la prima volta nella mia vita che vengo nella tua mirabile città la quale mi è balzata incontro con tutta la sua cordialità profonda, mentre il suo cielo purissimo, la sua aria trasparente, il suo orizzonte chiaro, dolce, quasi senza confini, mi spiegano come questa terra sia quella che ha celebrato a volta a volta l'eroismo e la santità.

Questa è l'ultima tappa del viaggio di celebrazione della Marcia su Roma. Abbiamo ripercorso in pochi giorni il cammino di molti anni, forse di molti secoli. Giunto a questa tappa, io, nella mia duplice qualità di Capo del Governo e Capo del Fascismo, voglio porgere il mio saluto, il mio ringraziamento fraterno a coloro che lavorarono con me in quella che fu un'opera suprema nella storia della Nazione; parlo degli uomini del Quadrumvirato.

Comincio da te, generale Emilio De Bono, guerriero intrepido di molti anni e di molte battaglie, col petto onusto dei segni del valore, giovane malgrado la lieve neve che incornicia il tuo volto maschio e fiero. Le Camicie Nere ti porgono il più alto alala! Chiamo te, Cesare De Vecchi, combattente decoratissimo, mutilato della Grande Guerra e mutilato anche della nostra guerra, solido e fedele come le montagne del tuo vecchio Piemonte. Parlo a te, Italo Balbo, uomo della mia terra, vorrei quasi dire della mia razza se io non mi sentissi intimamente, quasi ferocemente, uomo di una sola razza, la razza italiana. Tu, giovane che hai combattuto brillantemente nella nostra Santa Guerra di redenzione e sei stato insieme coi tuoi compagni uno di coloro che ha più potentemente contribuito a trasformare un movimento di squadre in un movimento di riscossa impetuosa e invincibile. Né ultimo tu sei, o Michele Bianchi, uomo della lunga e tempestosa vigilia, uomo che vidi con me il 23 marzo 1919 a Milano quando in numero esatto di cinquantadue, dico cinquantadue, ci riunimmo a giurare che la lotta che noi avevamo intrapresa non poteva finire se non con una trionfale vittoria.