Wednesday 7 March 2012

Stato, antistato e fascismo

(Pubblicato in « Gerarchia », 25 giugno 1922)

di Benito Mussolini

I.

L'occupazione fascista di Ferrara, che ebbe, del resto, obiettivi con­creti d'ordine immediato e fu uno spiegamento dimostrativo di forze a scopo di pressione sul Governo, ma, soprattutto, l'occupazione a carattere militare di Bologna, diretta contro il più alto rappresentante provinciale dello Stato, hanno sollevato parecchie discussioni, non solo in Italia, ma anche all'estero. Interrogativi di questo genere hanno co­stellato articoli di giornali e discorsi parlamentari: il fascismo è un movimento di restaurazione dell'autorità dello Stato o di sovvertimento della stessa autorità? È ordine o disordine? Come si concilia il suo proposito reiteratamente proclamato di volere restaurata l'autorità dello Stato, con la sua azione che prende a bersaglio i rappresentanti mas­simi di codesta autorità? Si può essere e non essere? Si può essere con­servatori e sovversivi al tempo stesso? Come intende uscire il fascismo dal circolo vizioso di questa sua paradossale contraddizione? Rispondo subito che il fascismo è già uscito da questa contraddizione, perché la contraddizione che gli viene imputata non esiste: è semplicemente ap­parente, non sostanziale, e verrà dimostrato nelle pagine che seguono. lo intendo precisare il punto di vista del fascismo di fronte al con­cetto di Stato, in astratto, e di fronte a quella incarnazione speciale e individuata dell'idea di Stato che è lo Stato italiano.

II.

Che cosa è lo Stato? Nei postulati programmatici del fascismo lo Stato vien definito come « l'incarnazione giuridica della nazione ». La formula è vaga. Lo Stato, soprattutto lo Stato moderno, è anche questo, ma non è soltanto questo. Senza volere elencare tutte le definizioni che del concetto di Stato furono date, nei secoli, dai cultori delle scienze politiche — il che sarebbe inutile e prolisso — mi pare che lo Stato possa essere definito come un « sistema di gerarchie ». Lo Stato è, alle sue origini, un sistema di gerarchie. Quel giorno in cui un uomo, fra un gruppo di altri uomini, assunse il comando perché era il più forte, più astuto, il più saggio o il più intelligente, e gli altri per amore per forza ubbidirono, quel giorno lo Stato nacque e fu un sistema di gerarchie, semplice e rudimentale allora, com'era semplice e rudi­mentale la vita degli uomini agli albori della storia. Il capo dové creare nessariamente un sistema di gerarchie, per fare la guerra, per rendere giustizia, per amministrare i beni della comunità, per ottenere il paga­mento dei tributi, per regolare i rapporti fra l'uomo e il soprannatu­rale. Non importa l'origine da cui lo Stato ripete o con cui lo Stato legittima il suo privilegio di creatore di un sistema di gerarchie: può essere Iddio ed è lo Stato teocratico; può essere un individuo solo, la discendenza di una famiglia, o un gruppo di individui, ed è lo Stato monarchico od aristocratico (qui mi sovviene del Libro d'Oro della Serenissima); è il popolo, attraverso il meccanismo del suffragio, e siamo allo Stato demo-costituzionale dell'èra capitalistica: ma in tutti i casi lo Stato si estrinseca in un sistema di gerarchie, oggi infinita­mente più complesso adeguatamente alla vita, che è più complessa in intenzione ed in estensione. Ma perché le gerarchie non siano categorie morte, è necessario che esse fluiscano in una sintesi, che convergano tutte ad uno scopo, che abbiano una loro anima, che si assomma nell'anima collettiva, per cui lo Stato deve esprimersi nella parte più eletta di una data società e dev'essere la guida delle altre classi minori.

La decadenza delle gerarchie significa la decadenza degli Stati.

Quando la gerarchia militare, dal sommo all'infimo grado, ha perduto le sue virtù, è la disfatta. Quando la gerarchia dei tributi rapina e divora l'erario senza scrupoli, lo Stato barcolla. Quando la gerarchia dei politici vive giorno per giorno e non ha più la forza morale di perseguire scopi lontani, né di piegare le masse al raggiungimento di questi scopi, lo Stato viene a trovarsi di fronte a questo dilemma: o si dissolve dietro l'urto di un altro Stato o attraverso la rivoluzione sostituisce o rinsangua le gerarchie decadenti o insufficenti.

La storia degli Stati, dal tramonto dell'impero romano al crollo della dinastia capetingia, al declinare malinconico della Repubblica veneta, è tutta un nascere, crescere, morire di gerarchie.

III.

Il fascismo vuole lo Stato. Esso non crede alla possibilità di una convivenza sociale, che non sia inquadrata nello Stato. Solo gli anar­chici — più ottimisti di Gian Giacomo Rousseau — pensano che le società umane, così torbide, così opache, così egoiste, possano vivere in istato di assoluta libertà. L'avvento di una umanità composta di « libere comunità liberamente associate », secondo la formula anarchica, dev'essere relegata nel cielo delle più futuriste utopie. Siamo dunque anti-anarchici perché non crediamo a possibilità di convivenza umana che non si estrinsechi in uno Stato. Né ci seduce, anzi respingiamo la formula socialista dello Stato, che da « comitato d'affari » della classe dirigente, dovrebbe trasformarsi nella semplice « amministrazione delle cose »: una specie di enorme « ragioneria » pubblica. Tutto ciò è incerto ed assurdo. L'amministrazione delle cose è una frase priva di senso, quando voglia significare la negazione dello Stato. In realtà chi amministra governa e chi governa è Stato, con tutti gli annessi e connessi. L'esempio russo è là a dimostrare che « la amministrazione delle cose » provoca la creazione di uno Stato, anzi di un super­ Stato, che aggiunge alle vecchie funzioni di tutti gli Stati — guerra e pace, polizia, giustizia, esazione dei tributi, scuole, ecc. — funzioni di ordine economico. Il fascismo non nega lo Stato; afferma che una società civica nazionale o imperiale non può essere pensata che sotto la specie di Stato; non va, dunque, contro l'idea di Stato, ma si riserva libertà di atteggiamento di fronte a quel particolare Stato che è lo Stato italiano. Ciò è un suo diritto. Ciò è un suo dovere. Si tratta ora di esaminare quali rapporti esistano fra lo Stato in atto, che è lo Stato d'oggi, e lo Stato in potenza e in divenire, che è il fascismo.

IV.

All'indomani del congresso di Roma, durante il quale il fascismo cercò di individuare la sua specifica personalità e funzione, la nuova Direzione dei Partito, nel suo primo proclama, determinò le possibili posizioni del fascismo di fronte allo Stato italiano.
« Saremo diceva quel proclama — con lo Stato e per lo Stato tutte le volte che esso si addimostrerà geloso custode e difensore e propagatore della tradizione nazionale, del sentimento nazionale, della volontà nazionale, capace d'im­porre a tutti i costi la sua autorità. 
Ci sostituiremo allo Stato tutte le volte che esso si manifesterà incapace di fronteggiare e di combattere, senza indulgenze funeste, le cause e gli elementi di disgregazione interiore dei principi della solidarietà nazionale. 
Ci schiereremo contro lo Stato qualora esso dovesse cadere nelle mani di coloro che minacciano e attentano all'avvenire del paese ».
A questo proclama bisogna rimandare i critici e gli stupefatti del­l'ultima ora. I termini sono chiari. Il fascismo non si identifica coll'attuale Stato italiano e le ragioni saranno dette più oltre. Tuttavia, il fascismo si schiera a lato di questo Stato, per evitare il peggio, cioè lo Stato socialista o l'anti-Stato anarchico.

Quando lo Stato attuale italiano è alle prese con l'anti-Stato sov­versivo, il posto del fascismo è definito dalla dottrina e dalla pratica: il fascismo difende questo Stato, ma con ciò non intende affatto legit­timarlo pei secoli, né rinunciare alla formazione dello Stato nazionale, qual è vagheggiato dal fascismo. Il fascismo non può, non deve essere considerato come un elemento difensore perpetuo e gratuito dell'ordine costituito attualmente. Con questa concezione il fascismo non sarebbe più « milizia volontaria a difesa della nazione », ma « polizia ausiliaria » a servizio del Governo. Per quali motivi il fascismo non può identificarsi collo Stato italiano attuale? Per un triplice ordine di motivi. Nell'ordine economico, l'antitesi fra Stato italiano e fascismo è pro­fonda ed irreparabile. Lo Stato italiano, che taluni illusi ritengono ancora uno Stato liberale, è in realtà uno Stato semi-socialista ed è — in questo suo gramo privilegio — all'avanguardia di tutti gli altri Stati del mondo. Non so se esista Stato più « monopolizzatore » di quello italiano, quindi — non si tratta di un bisticcio! — non esiste al mondo Stato più antieconomico dello Stato economico italiano. Tutte le ge­stioni statali accusano un deficit pauroso. Ampliando, estendendo le sue funzioni d'ordine economico, lo Stato italiano si è moralmente e politicamente indebolito, perché ha aumentato la superficie della sua vulnerabilità da parte di tutti gli elementi che nell'economia o nella politica compongono l'anti-Stato. Lo Stato pseudo-liberale italiano è monopolista, il fascismo è recisamente antimonopolista. Il primo, non solo non pensa di restituire agli individui quello che è tipico della sfera individuale, ma non è alieno dall'aumentare ancora il numero delle sue attribuzioni d'ordine economico, il che vorrà dire preparare la certa catastrofe della economia nazionale.

Nell'ordine politico, lo Stato attuale italiano è in contrasto con lo spirito animatore del fascismo. Lo Stato italiano più che rivendicare altamente e duramente la sua autorità, la mendica dalle parti opposte. Lo Stato italiano ha delle gerarchie, ma sono insufficenti. Servono sen­z'anima. La più delicata di esse, la magistratura, è in rivolta contro lo Stato. Fermenti di malcontento e di sdegno serpeggiano nelle altre gerarchie: da quella dell'esercito a quella delle scuole. La crisi delle gerarchie è la crisi dello Stato. Rinfrancare o sostituire o falcidiare le gerarchie: ecco il compito a cui non sembra più idoneo l'idropico ed elefantiaco Stato italiano. Ecco il compito della rivoluzione fascista, la quale potrà effettuarsi tanto sui binari di una lenta saturazione legale, come attraverso l'insurrezione armata, per cui il fascismo saggiamente ha provveduto, attrezzandosi per entrambe le eventualità.

Nell'ordine morale, la distanza fra lo Stato attuale italiano e il fascismo è grandissima.

Il fascismo non può accettare la concezione « rollandesca » di uno Stato che è moralmente al disopra della mischia. Come può lo Stato po­tenziale fascista sposare totalmente la causa dello Stato attuale liberale, se questo respinge i fascisti sulla linea dell'anti-Stato sovversivo, pur sapendo — anche dall'esperienza — che quando si delinea l'attacco dell'anti-Stato sovversivo, il fascismo si mette a fianco dello Stato liberale? Come è possibile di rimanere neutrali fra chi vi minaccia e chi vi di­fende, sia pure per evitare il peggio? Com'è possibile di non distin­guere fra chi nega lo Stato e chi lo afferma? Non è chiaro che è tattica suicida quella di uno Stato che in luogo di utilizzare le forze di affermazione dello Stato, le tratta alla stessa stregua delle forze di ne­gazione?

Noi non chiediamo — si noti — quei favoreggiamenti che si potrebbero chiamare di ordine giuridico o politico; chiediamo un semplice riconoscimento d'ordine morale che non metta sullo stesso piano il Partito che esalta la diserzione e quello che, invece, esalta il sacrificio per la Patria.

V.

Non v'ha dubbio che fascismo e Stato sono destinati, forse in un tempo relativamente vicino, a diventare una « identità ». In qual modo? In un modo legale, forse. Il fascismo può aprire la porta con la chiave della legalità, ma può anche essere costretto a sfondare la porta, col colpo di spalla dell'insurrezione. Si può prospettare l'ipotesi che, in pro­cesso di tempo, lo Stato s'identifichi con tre demagogie: quella pluto­cratica, quella popolare, quella socialista; si può avanzare l'eventualità che lo Stato italiano si allontani ancora di più dal fascismo, quindi da tutti i valori nazionali che nel fascismo vengono potenziati ed esaltati; allora il fascismo diverrà logicamente e storicamente l'anti-Stato na­zionale e dovrà giocare grosso gioco, anche se, per avventura, la coa­lizione delle tre demagogie assumesse atteggiamenti di liberalismo nei nostri confronti. Il duello in tre che si va paradossalmente combattendo da ormai quattro anni, ritornerebbe il duello quale viene dalla stessa parola significato: Stato socialista da una parte, anti-Stato fascista dal­l'altra. L'esito di questo duello non può essere dubbio, date le forze e l'organizzazione di cui dispone il fascismo. Questo, che in queste linee è schematicamente tracciato, è lo sviluppo dialettico della crisi sociale e nazionale italiana cominciata nell'estate del 1914; ma non bisogna giurare che gli avvenimenti correranno sui binari tracciati dal freddo ragionamento. Gli avvenimenti hanno, certo, una loro intima logica, ma altri elementi intervengono spesso a turbarla. Può darsi che lo Stato forte, quale è necessario per la vita e la grandezza di una nazione come la nostra, non sorga da una battaglia campale, ma da una serie di confluenze e di riconoscimenti teorici e pratici, per cui non si può in assoluto escludere che alle gerarchie di domani fornisca un certo apporto di uomini e di esperienze, la gente del lavoro.