Wednesday 7 March 2012

Vaticano

(Pubblicato in « Il Popolo d'Italia », 24 gennaio 1922)

di Benito Mussolini

La morte di un papa è un avvenimento che ci interessa e ci commuove nella nostra qualità di uomini e di italiani.

II papa è, in realtà, un imperatore, sia pure elettivo. Egli discende in linea diretta dall'impero di Roma. Il suo dominio politico e spirituale si estende a ben quattrocento milioni di uomini, disseminati in ogni angolo della terra, talché si può dire che l'impero cattolico, che ha la sua capitale a Roma, è il più vasto e il più vecchio impero del mondo. Dura ormai da venti secoli.

Verso Roma guardano in quest'ora uomini di tutte le razze e di tutti i continenti. II fatto ha un suo carattere di grandiosità che non può essere diminuito dai pronunciamenti o dai silenzi del mondo laico, che non ha creato e non può creare niente che assurga, anche in parte, all'enorme potenza spirituale del cattolicismo.

Benedetto XV non ci presenta nel suo pontificato la linea aristocratica e umanistica di Leone XIII, un papa del Rinascimento; né quella umilmente cristiana di Pio X, un papa della vigilia eroica della fede. Benedetto XV è stato un papa politico. Egli si è trovato a dirigere il gregge cattolico nell'ora del sangue. Noi non possiamo dimenticare a questo proposito la frase dell'«inutile strage».

Da un punto di vista astratto, tale orribile condanna della guerra può essere giustificata; ma, interpretata da anime primitive di uomini esposti a tutti i pericoli, poteva condurre alla disfatta e alla servitù della Patria.

Escludiamo che a questi intendimenti obbedisse il papa; diciamo che la frase poteva avere — ed ebbe, per fortuna soltanto in parte — conseguenze fatali.

Non sappiamo se e quale opera abbia svolta la diplomazia vaticana per affrettare la pace. La diplomazia pontificia lavora nel segreto e nel silenzio. Limitiamoci a constatare che tutti gli sforzi del papa per affrettare la pace sono stati vani.

La Chiesa non è stata annientata dagli avvenimenti tempestosi di questi ultimi anni, ma non è riuscita nemmeno a dominarli. Credere che un papa evangelico, il quale fosse disceso fra i belligeranti alzando la croce, sarebbe riuscito a placare le ire e a disarmare gli uomini, significa pascersi di romanticherie coreografiche. Se il gesto clamoroso non fu tentato, se il papa si tenne discretamente e freddamente al disopra della mischia, gli è che ogni altro atteggiamento o sarebbe stato inutile, con grave danno del prestigio papale, o sarebbe stato sommamente pericoloso per l'esistenza della Chiesa.

La grande parola che non fu detta durante la guerra, non fu detta nemmeno durante le trattative di pace. Il nuovo assetto politico e territoriale dell'Europa e del mondo fu condotto a termine senza l'intervento pontificio.

Tuttavia, malgrado la caduta del più grande impero cattolico (quello degli Absburgo), si può affermare che in questi ultimissimi tempi la situazione internazionale del papato si è piuttosto migliorata. Basta ricordare che la Germania repubblicana ha una rappresentanza diplomatica presso la Santa Sede e che la Francia, guidata dal radicale-massone Briand, ha ripreso i suoi rapporti col Vaticano. Quanto ai rapporti coll'Italia, si può dire che non sono peggiorati, ma non sono nemmeno migliorati. Affiora nelle nuove generazioni italiane una diversa valutazione di tutti gli elementi spirituali della vita, quindi anche del cattolicismo, che è la religione latina per eccellenza, quindi anche del papato, che è il cuore e il cervello di questa religione. Ma non bisogna farsi illusioni. Che una détente nei rapporti fra Stato e Chiesa in Italia sia augurabile e possibile, noi sosteniamo da qualche tempo su queste colonne e altrove, ma bisogna rendersi conto che la Chiesa cattolica non può oltrepassare un certo limite. Non si può pretendere di farne una Chiesa nazionale a servizio della nazione. La forza, il prestigio, il fascino millenario e duraturo del cattolicismo stanno appunto nel fatto che il cattolicismo non è la religione di una data nazione o di una data razza, ma è la religione di tutti i popoli e di tutte le razze. La forza del cattolicismo — lo dice la stessa parola — è nel suo universalìsmo. Per questo Roma è l'unica città della terra che può chiamarsi « universale ».

Del resto, a quali tendenze obbediva Benedetto XV? Era egli rimasto all'epoca del « temporalismo »? O accettava il fatto, oramai indistruttibile, dell'unità italiana, salvo a riesaminare i rapporti fra Stato e Chiesa? Le manifestazioni della Santa Sede non permettono di rispondere in modo esauriente a queste domande.

Così, ad esempio, ci rammarichiamo di non sapere esattamente che cosa pensasse il papa del movimento politico popolare, piuttosto pericoloso ai fini del cattolicismo.

La morte del papa e l'emozione suscitata da questo avvenimento in tutto il mondo civile, ci permettono di constatare che gli elementi religiosi della vita stanno potentemente risorgendo nell'anima umana. Il laicismo scientista e la sua logica degenerazione, rappresentata dall'anticlericalismo ciarlatano, stanno agonizzando. Gli uomini hanno ancora e sempre lo spasimo e la speranza dell'al di là; ancora e sempre le masse anonime profonde sono tormentate dal desiderio di evadere dalla breve terra e dalle sue molte miserie per rifugiarsi nell'assoluto della fede.