Thursday 8 March 2012

Caratteri della romanità

(Pubblicato in « Gerarchia », 1933)

di Antonio Bruers

La rinascita del senso della romanità, che per istinto e per volere di Mussolini costituisce, ormai, la segnatura fondamentale del fascismo, meriterebbe l'approfondimento di un suggestivo: in che cosa consiste la romanità? Quali Bono i caratteri che distinguono la mentalità romana, in primo luogo da quella degli altri nuclei italici, in secondo luogo da quella dei popoli europei, e dei popoli orientali? Innegabilmente Roma deve avere alcuni caratteri che la distinguono, in modo radicale, da qualsiasi altra grande civiltà, soprattutto non italiana, e di ciò una qualsiasi storia ci offre una prova elementare, degna di profonda meditazione, e cioè che, mentre le storie degli altri popoli, prendono nome dalla nazione, cosi che dobbiamo parlare di storia francese e non parigina, inglese e non londinese, tedesca e non berlinese e, per l'antichità, egualmente parliamo di storia egiziana, indiana, ebraica e greca, per Roma noi dobbiamo parlare di storia romana, nel senso che Roma costituisce per se stessa una nazione, la più vasta nazione del mondo. L'urbe è l'orbe.

Nella storia universale questa caratteristica trova rari riscontri e quasi tutti italici: primo, tra essi, Venezia che, non senza significato, sostituì nel medio evo l'imperialismo romano, ne ricalcò le orme, ne emulò la potenza e la gloria.

Carattere, essenziale di Roma il senso della realtà, l'istinto della costruzione, la sapienza dell'organizzazione.

La sua arte essenziale è l'architettura, cioè l'arte sociale per eccellenza; la sua filosofia è il diritto, cioè il pensiero nei diretti rapporti con l'organizzazione umana; il tema prevalente della sua prosa più espressiva è la storia, cioè la disciplina che maggiormente interessa la realtà politica e sociale.

Roma mette in sottordine tutto ciò che può allontanare il cittadino e lo stato dalla realtà visibile, misurabile, palpabile, traducibile nei fatti e nella pubblica utilità.

Raccoglie dall'Etruria la religione, ma ne elimina in gran parte, il misticismo e il mistero, riducendola, quanto più possibile, ai suoi valori sociali, a strumento di stato. L'indole non metafisica dei romani, eliminando dalla loro azione la passione, il fanatismo e l'intolleranza del pensiero, è uno dei fattori più importanti per l'estendersi del loro dominio sugli altri popoli. Il console e il pretore non mescolano Roma nelle controversie religiose, se non nei casi in cui la lotta religiosa minaccia di turbare la tranquillità dello stato; e quando intervengono, agiscono sempre come pacificatori estranei, imparziali.

Leggi, edifici, strade.

Dopo venti secoli, le norme che regolano i rapporti tra gli uomini e tra gli stati, hanno ancora per fondamento i principi stabiliti o chiariti da Roma. Perchè il diritto romano e non quello indiano o egizio? Perchè, evidentemente, il genio di Roma ebbe il senso dell'unità e dell'universalità quale nessun'altra stirpe raggiunse.

Dopo venti secoli, il traffico dell'intero mondo civile si svolge ancora, fondamentalmente, attraverso la rete stradale tracciata dai consoli e dagli imperatori di Roma. Codici e strade sono due elementi inseparabili. Il numero dell'articolo del codice ha lo ateaso valore sociale e politico del numero della pietra miliare.

Dal genio semplificatore e ordinatore, Roma trae quella caratteristica che emana sovranamente dalla sua architettura e dalle statue dei suoi imperatori: la serena maestà del dominio. Questo popolo, che conquista con le armi il mondo, non rappresenta quasi mai i creatori della sua potenza in posa di guerrieri, ma nell'atteggiamento del legislatore che comanda, col gesto tranquillo della maestà. Quando il poeta ci parla del cielo che tuona placido sul foro, veramente egli definisce, con questa sintesi di un'antitesi, il segreto del genio di Roma.

Quando il massimo poeta tedesco viene a Roma, quale la prima impressione, quale l'insegnamento ch'egli trae da quella ch'egli definisce « la capitale del mondo »?
« Vivo qui con una serenità ed una calma di cui da tempo non avevo sentore... Colui che qui si guarda intorno seriamente e ha occhi per vedere, deve diventare serio... A me sembra di non avere mai apprezzato così equamente, come adesso, le cose di questo mondo ».
E perchè così profondamente egli comprende Roma? Perchè egli ha la dote « di vedere e di prendere le cose come sono », di « lasciarsi guidare dal lume dei suoi occhi ».

Ed ecco, dunque, il problema.

Che cosa è Roma? Una razza, una stirpe, un popolo? Molto di meno e molto di più. È uno stato, è, non un'idea, ma un metodo sollevato a idea. Questa Roma confina con la misteriosa Etruria, con la magica Sabina, con la mistica Umbria, e mentre trae da tali stirpi tanta parte del suo spirito e delle sue leggi, passa tutti gli elementi di esse come in un filtro chiarificatore che la purifica dagli eccessi del mistero, della magia e della mistica.

Questa Roma è vicinissima al Mezzogiorno, dove la metafisica e la cultura greca preludiano agli incantesimi della sirena d'oriente, ma dell'oriente non subisce, se non tardi, le influenze politicamente disgregatrici.

Tanta è la potenza semplificatrice e ordinatrice di Roma, da resistere alle centinaia di religioni e di credenze che, dopo l'apparizione del cristianesimo, sono professate liberamente nell'Urbe. Lo stesso cristianesimo qui attua la sua mondialità e il cattolicesimo romano si distingue, in seguito, dalle innumerevoli sette e chiese cristiane, appunto per la sicura chiarezza della sua costruzione teologica e gerarchica, e solo è, e si mantiene, veramente uno e universale.

Dire che Roma è un punto nel quale ulteriormente si equilibrano e si fondono le varie doti umane, già riassunte dalla penisola italiana, che dalle Alpi alla Sicilia, in breve spazio, sintetizza tutti i climi e tutte le nature, è dire cosa nota.

Ma spiegare le cause originarie, per le quali questi pochi chilometri quadrati di terra costituiscono la sintesi di una sintesi, e, più ancora, spiegare la perpetuità del prodigio storico di un aggruppamento civico, più vasto e più potente di qualsiasi impero, non si può senza risalire a qualche determinazione misteriosa, nella quale i fattori della geografia e del clima, dell'aria, della terra e del mare, quasi appaiono, alla mente dello storico, come il grembo che richiama altri fattori invisibili, i quali sublimano la storia di Roma a storia fatale del mondo.
« Non è dubbio che la natura abbia disposto nel mondo un luogo atto all'impero universale. Qual sia questo luogo e questa gente, si vede: è Roma e il popol suo... È manifesto che il popolo romano fu dalla natura ordinato a imperare » (Dante).