Saturday 3 March 2012

Discorsi di Firenze, 19 giugno 1923

Primo discorso: Nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio

di Benito Mussolini

Signor Sindaco! Signori Consiglieri! Popolo di Firenze, Firenze, capitale, da parecchi secoli, della intelligenza italiana!

Ecco che davanti all'onore che voi mi fate, io mi sento un poco trepido e commosso. Essere cittadino di Firenze, di questa città che ha segnato così indelebili traccie nella storia dello spirito umano, rappresenta il fatto memorabile e dominante della mia vita.

Io non so se sono degno di tanto onore.

Quello che ho fatto sin qui non è molto; però, o cittadini di Firenze, la mia volontà è incrollabile. Può fallire la carne umana, che è sempre fragile, ma non il mio spirito, che è dominato da una verità religiosa, umana: la verità della Patria.

Da quando il Fascismo ha alzato i suoi gagliardetti, accese le sue fiamme, cauterizzate le piaghe che infestavano il corpo divino della nostra Patria, noi italiani, che ci sentiamo orgogliosissimi di essere italiani, noi ci comunichiamo in ispirito con questa nuova fede.

Cittadini di Firenze!

Vi faccio una promessa: e, siate sicuri, la manterrò!

Vi prometto, e Iddio mi è testimone in questo momento della purezza assoluta della mia fede, vi prometto che continuerò ancora e sempre ad essere un umile servitore della nostra Patria adorata.


Secondo discorso: Dal balcone centrale di Palazzo Vecchio

Camicie Nere di Firenze e della Toscana, Fascisti popolo!

Dove trovare le parole necessarie per esprimere la piena dei sentimenti che traboccano dal mio spirito? La mia parola non può essere che inadeguata allo scopo; la vostra accoglienza solenne, entusiastica, mi commuove fino nel profondo dell'animo. Non è certamente soltanto a me che rendete questo onore straordinario ma è, io credo, all'Idea di cui sono stato banditore inflessibile.

Firenze mi ricorda i giorni in cui eravamo pochi. Qui tenemmo la prima adunata gloriosa dei Fasci italiani di combattimento; dovevamo spesso interrompere il nostro Congresso per scendere in piazza a disperdere la vile canaglia.

Eravamo pochi allora; ebbene, malgrado questa marea oceanica di popolo, io dico che siamo pochi ancora, non già per i nemici che sono sgominati per sempre, ma per i cómpiti grandiosi ed imperiali che attende la nostra Italia.

Cittadini di Firenze!

Camicie Nere di Firenze e della Toscana, Fascisti, popolo!

Io dicevo che i nemici sono sgominati, poiché non faremo più l'onore di considerare come nemici certi cadaveri della politica italiana che si illudono di vivere ancora semplicemente perché abusano della nostra generosità. Ditemi, dunque, o camicie nere di Toscana e di Firenze, se è necessario di ricominciare, ricomincieremo? (La folla grida: Si! Si!).

Questo vostro urlo potente più che una promessa è un giuramento che sigilla l'Italia del passato, l'Italia dei barattieri, dei mistificatori, dei pusillanimi e apre il varco alla nostra Italia, a quella che portiamo superbamente nei nostri cuori, di noi, nuova generazione che adora la forza, che si ispira alla bellezza, che è pronta a ogni rischio quando si tratta di sacrificarsi, di combattere e di morire per l'Ideale.

Io vi dico che l'Italia riprende. Due anni fa, quando imperversava la bestialità della demagogia rossa, partirono per la Coppa Baracca, in onore del nostro purissimo Cavaliere dell'aria, soltanto 20 apparecchi, l'anno scorso 35, quest'anno 90, sinora, e come abbiamo riconquistato il dominio del cielo, vogliamo che il mare non sia una cintura contro la nostra vitalità, ma invece la strada per la nostra necessaria espansione nel mondo. Questi, o fascisti, o cittadini, sono i cómpiti grandiosi che ci attendono. E non falliremo a questa mèta se ognuno di voi scolpirà nel cuore le parole in cui si riassume il comandamento di quest'ora ineffabile della nostra storia di popolo: il lavoro che a poco a poco ci deve riscattare dalla soggezione dell'estero, la concordia che deve fare degli italiani una sola famiglia, e la disciplina per cui a un dato momento tutti gli italiani diventano uno e marciano insieme verso la stessa mèta.

Camicie nere, voi sentite che tutte le manovre degli avversari tendenti a separarmi da voi sono ridicole e grottesche.

Il Fascismo - e qui non vi sembri peccato di orgoglio la constatazione - io l'ho guidato sulle strade consolari di Roma e Roma è nel nostro solido pugno: e se qualcuno si facesse delle illusioni al riguardo, io non avrei che da fare un cenno, che da alzare un grido, che da dare una parola d'ordine: “A noi”.

Levate in alto i vostri gagliardetti; essi sono consacrati dal purissimo sangue dei nostri morti, e quando una fede è stata consacrata dal sangue vermiglio e giovinetto, non può fallire, non può morire e non morrà.

Camicie nere! A chi il combattimento? (Una voce un anime si lena dalla piazza ed un solo grido si ode: A noi!).

A chi la gloria? (A noi!).

A chi Roma? (A noi!).

A chi l'Italia? (A noi!).

E così sia.