Saturday 3 March 2012

Discorso al Ministero delle Finanze, 7 marzo 1923


di Benito Mussolini

Onorevoli ministri! Onorevoli colleghi! Signori!

Qualcuno potrebbe domandare: perché tanto clamore, perché tanti armati per una cerimonia che si potrebbe chiamare di ordine puramente amministrativo, quale è la consegna dei miei due bilanci al Ministero delle Finanze?

A questo punto interrogativo conviene di rispondere: per diversi motivi, uno più plausibile dell'altro.

La solennità che accompagna questo gesto sta a dimostrare l'importanza enorme che il Governo annette ad un rapido ripristino della normalità, finanziaria.

Noi abbiamo solennemente promesso di avviare il bilancio dello Stato verso il pareggio e a questa promessa noi vogliamo tener fede a qualunque costo. Bisogna persuadersi che se il tutto crolla, crolla anche la parte, e che se l'economia della Nazione va al precipizio, tutto quello che è dentro la Nazione: istituzioni, uomini, classi, è destinato a subire l'identica sorte.

E perché questi armati? Per dimostrare che il Governo ha delle forze.

Io dichiaro che voglio governare, se possibile, col consenso del maggior numero di cittadini; ma nell'attesa che questo consenso si formi, si alimenti e si fortifichi, io accantono il massimo delle forze disponibili.

Perché può darsi per avventura che la forza faccia ritrovare il consenso e in ogni caso, quando mancasse il consenso, c'è la forza. Per tutti i provvedimenti anche i più duri che il Governo prenderà, metteremo i cittadini davanti a questo dilemma: o accettarli per alto spirito di patriottismo o subirli.

Così io concepisco lo Stato e così comprendo l'arte di governare la Nazione.

Sono lieto di trovarmi dinanzi a voi - (continua il Presidente rivolgendosi ai funzionari del Ministero presenti alla cerimonia) - perché il ministro mi ha parlato bene degli alti funzionari del Ministero delle Finanze. Mi ha detto che qualcuno di voi lavora spesso fino a 16 ore al giorno. Sono molte ed è magnifico esempio. Ma se non fossero sufficienti, bisognerebbe anche lavorare venti ore.

Solo così, o signori, solo così noi usciremo dalle presenti difficoltà per arrivare alla riva. Bisogna portare nel nostro spirito un senso di severità assoluta. Bisogna considerare che il denaro dell'erario è sacro sopra ogni altra cosa. Esso non piove dal cielo e non può essere nemmeno fatto col giro del torchio che, se potessi, io vorrei spezzare. È tratto dal sudore e, si può dire, dal sangue del popolo italiano, che lavora oggi, che lavorerà di più domani. Ogni lira, ogni soldo, ogni centesimo di questo denaro deve essere considerato sacro e non deve essere speso se non quando ragioni di stretta e documentata necessità lo impongano.

La storia dei popoli dice che la severa finanza ha condotto le nazioni alla salvezza. Penso che ognuno di voi sia partecipe di questa verità ampiamente documentata dalla storia. Con questa convinzione vi porgo il mio cordiale e fraterno saluto.