Saturday 3 March 2012

Discorso al Senato, 20 novembre 1925

Il Senato e la Massoneria

di Benito Mussolini

Vi prego di credermi se vi dico che prendo la parola con molto rammarico, ma aggiungo subito che non voglio infliggervi il tedio di ascoltare un lungo discorso. Mi limiterò a dichiarazioni sommarie.

Voglio prima di tutto manifestare la mia intima soddisfazione per il modo alto con il quale questa discussione su un argomento così importante sI è svolta. Sono affiorate delle tesi interessanti: quella dei liberali integrali che dicono: neghiamo il regime e tutte le sue leggi; altri liberali invece, come il sen. Ricci, dicono che resistere è vana fatica, e io aggiungo, è alla fine antinazionale.

Quel polemista signore che è il sen. Crispolti mi ha vibrato un sottile colpo di fioretto. Io lo parerò, ricordando al sen. Crispolti che, pur non essendo io un feticista della coerenza formale ed ipocrita, posso attestare che ci sono nella mia vita delle coerenze di ordine fondamentale e una di queste coerenze è precisamente la mia avversione alla massoneria. Questa avversione è di data abbastanza antica.

Quando prima della guerra io mi accorsi che la massoneria tentava di snaturare quelle che dovevano essere le peculiarità caratteristiche del movimento socialista, ingaggiai una lotta decisa. e tenace contro la massoneria che culminò nel congresso di Ancona in un contraddittorio, forse non ancora dimenticato, che determinò l'incompatibilità tra l'appartenenza al partito e l'appartenenza alla massoneria.

Non è dunque vero, come ha sostenuto il sen. Corbino, che i fascisti siano diventati antimassoni solamente quando i nazionalisti sono entrati nel Fascismo. L'on. Corbino, che è versatissimo nelle discipline fisiche, probabilmente non conosce con altrettanta esattezza la storia politica, anche degli anni recenti. Dovrebbe allora sapere che il Fascismo ha impegnato, secondo la buona strategia, le sue battaglie a scaglioni. Prima ha demolito il bolscevismo, poi ha affrontato la massoneria, finalmente il regime demoliberale. Tanto è vero che il primo voto contro la massoneria è del Gran Consiglio del 1923. quando la fusione coi nazionalisti non era ancora avvenuta, od era avvenuta soltanto da pochissimo tempo.

Prima ancora, dunque. Voglio anche aggiungere che la fusione è stata perfetta nella forma e nella sostanza, negli uomini e nelle anime.

Voglio aggiungere ancora che gli elementi venuti dal nazionalismo sono tra i più disciplinati del partito nazionale fascista, e vi portano oltre alla loro esperienza politica un contributo di dottrina altamente rispettabile.

La mia esperienza politica mi induce ad esaminare un dato della questione sul quale forse non è stata sufficientemente diretta l'attenzione dell'assemblea: questo: dove recluta la massoneria i suoi aderenti? Dividiamo la società nazionale "grosso modo" in tre o quattro grandi classi. Voi vedete che la borghesia attiva, quella che conta solo sulle sue forze economiche e sullo spirito di iniziativa, rifugge dalla massoneria. Questa è completamente ignorata dall'ambiente rurale. Il popolo, il cosiddetto proletariato, ha sempre diffidato della massoneria. Io credo che, se si potesse fare una statistica, si vedrebbe che almeno l'80 per cento dei massoni sono tra i cittadini che esercitano le professioni liberali: ed allora c'è la speranza della carriera perché impiegati, medici, professori, avvocati, ingegneri, ritengono di camminare più rapidamente con l'appartenenza alla massoneria.

Io non discuto sul passato e non accetto neppure la tesi del sen. Corbino che essendo il regime ormai solidissimo non gli convenga premunirsi. Il sen. Corbino, che ha passato anch'egli delle giornate tristissime, ingiustamente, dovrebbe sapere che è meglio sempre essere premuniti; che è meglio avere le armi, anche se non dovranno servire, perché sarebbe triste trovarsi nella necessità di servirsene e non averle. Ed aggiungo che è diritto di ogni regime darsi le leggi che lo difendano. Non accetto l'immagine catastrofica che vi è stata prospettata di un'Italia isolata nel mondo civile. Non accetto lezioni di costituzionalismo dalla repubblica turca o dal ginepraio cinese. Io prego il sen. Ruffini di passare a Palazzo Chigi dove gli darò un incartamento che lo illuminerà sul costituzionalismo di uno di questi paesi. Dichiaro che, se anche fosse vero questo fenomeno di isolamento, io non ne sarei affatto sgomento, né coloro che mi seguono avrebbero trepidazioni o ansie eccessive. Ma aggiungo che, obbiettivamente, questo isolamento non esiste: non esiste nei Governi, coi quali in tutta l'Europa questo Governo ha stabilito decine di trattati di commercio e molti patti di amicizia e di collaborazione. Proprio oggi, mentre quest'assemblea è raccolta, 900 banchieri degli Stati Uniti lanciano ai 110 milioni di cittadini della Repubblica stellata le azioni del prestito italiano. Un paese isolato non ha questo credito, non soltanto finanziario ma morale; ed aggiungo che al disotto dei Governi i quali sono obbligati per le ferree regole della convivenza internazionale a disinteressarsi dei regimi interni, al disotto dei Governi c'è l'opinione pubblica dei popoli e presso questa opinione pubblica non è vero che l'Italia fascista sia isolata. L'Italia fascista è piuttosto invidiata.

Ci sono in tutti i paesi movimenti analoghi a quello che oggi è dominante in Italia. Né questo isolamento è all'interno. Tutte le parole che il Governo lancia alla Nazione trovano un popolo pronto a raccoglierle.

Qui ci sono dei senatori che si applicano alla materna arte dei campi. Dicano questi senatori quale immensa eco abbia avuto l'appello per la battaglia del grano. Non c'è casolare, dove la mia parola non sia stata accolta con alto senso di civismo e perfetto spirito di disciplina. Ma oggi, proprio oggi, questo popolo che si vuole diffamare dinanzi al mondo dipingendolo come un popolo avvinto nelle catene, questo popolo corre agli sportelli degli uffici pubblici e delle banche e versa il dollaro dando così prova di altissima disciplina e di mirabile patriottismo.

Questa è la realtà non camuffata dalla passione polemica. Con questa legge si chiude evidentemente un periodo della storia italiana ed io potrei modestamente dire che raccolgo i frutti di una lunga e tenace campagna. Votando questa legge, onorevoli senatori, rendete un alto e segnalato servigio alla Nazione.