Sunday 4 March 2012

Discorso alla Camera, 10 giugno 1941


di Benito Mussolini

Camerati!

Giornata memorabile e solenne quella odierna. Si compie un anno dal giorno della nostra entrata in guerra. Un anno carico di eventi e di vertiginosi sviluppi storici, un anno durante il quale i soldati d'Italia della terra, del mare, del cielo si sono battuti eroicamente contro l'impero inglese sui multipli fronti, montagnosi o desertici; di Europa e di Africa. (Vivissimi, prolungati applausi).

Nel mio discorso ai gerarchi della Decima Legio, già accennai ai caratteri sempre più decisivi, agli aspetti sempre più vasti che l'attuale guerra avrebbe fatalmente assunto. Voi ricordate i discorsi del 18 novembre e del 23 febbraio. Rievocare tutte le vicende di questi primi dodici mesi di guerra è da ritenere forse superfluo: ognuno di noi le ha personalmente e collettivamente vissute. Desidero invece ragguagliarvi da vicino sulle fasi della guerra che si sono svolte, dal febbraio in poi, sul fronte d'Albania e su duelli africani.

Nessuno più mette in dubbio, alla luce degli inoppugnabili documenti pubblicati, che fra Italia e Grecia si dovesse venire a una resa dei conti. I giornali di Atene cominciano a rivelare finalmente i retroscena criminosi della politica greca. Sino dall'agosto 1940, io ebbi le prove che la Grecia non conservava più nemmeno l'apparenza della neutralità. Nello stesso mese si ebbe un periodo di tensione, che poi fu seguito da alcune settimane di relativa calma. Nell'ottobre la situazione si riacutizzò nuovamente. Mi convinsi che la Grecia costituiva veramente una posizione chiave dell'Inghilterra nel Mediterraneo centro-orientale e che anche la Jugoslavia aveva un atteggiamento quanto mai ambiguo. Era una situazione quella jugoslavo-greca, che aveva bisogno, per dirla nel linguaggio dei chimici, di essere « decantata », a scanso di temibili sorprese.

I « fatti », vero elemento determinante nel giudicare gli sviluppi della storia, i « fatti » hanno confermato in pieno che il mio punto di vista era giusto. Così il 15 ottobre fu deciso unanimemente di rompere gli indugi e di scendere in campo verso la fine del mese.

Iniziare una campagna alla fine di ottobre imponeva uno sforzo poderoso, mentre le truppe andavano incontro ai gravi disagi della stagione. Quelli sopportati, con disciplina che potrebbe dirsi stoica, dai reparti italiani nei mesi di novembre, dicembre, gennaio, febbraio furono veramente eccezionali.

Accanto a questi elementi negativi, l'inizio delle operazioni alla soglia dell'inverno presentava, tuttavia, due vantaggi: le notti lunghe, che facilitavano la navigazione dei convogli e ne aumentavano i coefficenti di sicurezza e la preservazione dalla malaria. Non saremmo sfuggiti a questo che è un vero e proprio flagello del litorale albanese, se avessimo dovuto iniziare la campagna a primavera inoltrata.

Il comandante superiore delle forze in Albania, generale Visconti Prasca, che tale comando aveva assunto fin dal 5 giugno, riteneva che la campagna dell'Epiro avrebbe avuto uno svolgimento favorevole e rapido.

Il suo piano, che fu approvato dagli Stati Maggiori di Roma e da me, era logico e convincente: manovra a tenaglia ad oriente con la Julia, che avrebbe dovuto raggiungere il passo di Metzovo, alle spalle di Janina, e a ponente con divisioni normali di fanteria, che, attraversato il Kalamas, spingendosi nella direttrice di Arta, avrebbero superato Janina, determinandone la caduta. La colonna del centro avrebbe agito in direzione di Kalibaki, per impegnarvi il nemico e smantellare le fortissime difese della linea Metaxas.

Il Comando superiore delle Forze Armate di Albania, che, nell'agosto, aveva soltanto cinque divisioni presenti, disponeva, al 28 ottobre, delle seguenti unità: divisione alpina Julia, divisione corazzata Centauro, divisioni Ferrara, Siena; Piemonte, Venezia, Arezzo, Parma, un reggimento granatieri, tre reggimenti cavalleria. Le divisioni erano binarie e talune di esse con due battaglioni di albanesi.

La marcia della Julia sui crinali del Pindo fu oltremodo difficile. La colonna motorizzata del centro, paralizzata dalla pioggia, dal fango, non poté sfondare a Kalibaki ; la piena del Kalamas fermò per cinque giorni la Siena. Il 6 novembre il Comando impartiva l'ordine alla Julia di ritirarsi su Konica. La Julia, che era a una tappa da Metzovo, ritornò sui suoi passi e dovette più volte aprirsi il cammino con asperrimi, sanguinosi combattimenti.

Con la ritirata della Julia ha inizio l'azione controffensiva dei greci, che, nel novembre, raggiunsero Coriza e, nel dicembre, Argirocastro. Si può considerare il periodo dell'iniziativa greca concluso con la conquista di Klisura e della cosiddetta linea dei Mali, dal Chiarista allo Spadarit.

Da quel momento ogni sforzo greco per raggiungere i veri obiettivi strategici (Elbassan, Berati, Valona, soprattutto Valona, come volevano gli inglesi), venne infranto dalla tetragona resistenza dei nostri. (Vivissimi applausi).

Si era fatto il « muro ». Il muro, per il coraggio e la decisione dei nostri soldati, era inespugnabile. Infatti, nei settore di val Sciusciza, diretta via di accesso a Valona, la battaglia arrestata ebbe il suo epilogo a fine dicembre con i brillanti contrattacchi del secondo alpini nella zona di Bolena e del settimo fanteria nella zona di Vranista.

Nel settore della Vojussa, allo scopo di alleggerire la pressione del fronte di Berati, le truppe del venticinquesimo Corpo d'Armata (alpini del Cismon e del Bolzano, sciatori del Cervino, bersaglieri del secondo) attaccarono in direzione di Klisura, e contribuirono allo stroncamento sullo Scialesi dell'offensiva greca per Berati.

Il 13 febbraio l'avversario iniziava l'offensiva su Tepeleni, attaccando il nostro schieramento sullo Scindeli. Attaccante era una divisione speciale, la Cretese, che fu quasi letteralmente distrutta dai fanti della Sforzesca e dalle camicie nere del raggruppamento Galbiati. (Vivissimi applausi).

Un tentativo di scendere in val Vojussa dal Golico, fu stroncato dai fanti della Legnano, della Ferrara e dagli alpini. Nella valle Desnizza l'attacco greco con obiettivo Berati, raggiunta Klisura il 12 gennaio, arrivava sino allo Spadarit, ma qui, nella prima decade di febbraio, veniva definitivamente arrestato dagli alpini della Julia, dai fanti della Pinerolo, dalle camicie nere della Leonessa.

In val Devoli, il Tomori era la cerniera a saldatura tra la nona d l'undicesima Armata. Nella terza decade di gennaio, allo scopo di rafforzare tale delicata saldatura, fu effettuato un balzo offensivo in val Tomorezza, occupando le posizioni di Bregu Saliut e Dobrei con gli alpini dell'Intra e del Susa, coi fanti della Parma, con le guardie di Finanza dei battaglioni primo e secondo.

In val Scumbini, dopo la terza decade di novembre (abbandono di Coriza), il nemico tentava di raggiungere, per la testata dello Scumbini, il nodo di Elbassan. Tali tentativi furono definitivamente stroncati dalla difesa facente pernio sul monte Kalase, difesa costituita dalle divisioni Arezzo, Piemonte, quarto bersaglieri. Nel settore di Pogradec (Ocrida), in dicembre fu fermato definitivamente ogni tentativo avversario dalla divisione Arezzo e dal primo reggimento bersaglieri.

Quando, ai primi di marzo, mi recai in Albania, sentii nell'aria il preludio della vittoria. Attraverso l'opera instancabile del generale Cavallero, che aveva assunto il comando delle Forze Armate il 30 dicembre, l'Esercito si era riorganizzato, fortificato, preparato all'offensiva. (Vivissimi, prolungati applausi).

Il morale delle truppe era splendido. L'ordine nelle retrovie perfetto. I Comandi delle due Armate, la nona e l'undicesima, erano nelle mani di due generali, il Geloso e il Pirzio Biroli, di grande esperienza e di ferrea volontà. I Comandi dei Corpi d'Armata erano tenuti da mani validissime, quali il generale Rossi, il generale Gambara, il generale Mercalli, il generale Nasci, il generale Arisio. Tutti i divisionari erano all'altezza del loro compito: dal Piazzoni, al Gloria, al Girotti, al Santovito, al Zannini, al Berardi, Olearo, Magli, Ferrero, De Stefanis, e vorrei citarli tutti, perché tutti lo meriterebbero. (Vivissimi applausi).

L'esercito d'Albania contava, nell'aprile, le seguenti divisioni: Julia, Pusteria, Tridentina, Cuneense (alpine), Centauro (motorizzata), Arezzo, Cagliari, Modena, Pinerolo, Piemonte, Siena, Bari, Taro, Ferrara, Firenze, Casale, Messina, Legnano, Sforzesca, Cuneo, Forlì, Lupi di Toscana, Cacciatori delle Alpi, Puglie, Brennero, Acqui. A queste forze, bisogna aggiungere tre reggimenti di cavalleria (Milano, Aosta, Guide), quattro di bersaglieri, uno di granatieri, un gruppo di battaglioni di camicie nere. Un complesso di forze veramente imponenti.

Se la mia visita costituiva un premio per le truppe d'Albania, esse lo avevano pienamente meritato. I miei incontri coi soldati diedero luogo a manifestazioni di fede che non dimenticherò mai. Altrettanta dicasi per i trentamila operai che lavoravano lungo le strade e spesso sotto il fuoco nemico.

Un ultimo, disperato tentativo greco di offensiva nella Vojussa fu annientato sul nascere dai battaglioni della Julia. Nella settimana successiva ebbe inizio l'azione dell'ottavo Corpo d'Armata, che impegnava quattro divisioni: Pinerolo, Cagliari, Puglie, Bari.

Non furono, nella prima fase della battaglia, superati gli sbarramenti nemici, ma le perdite inflitte dalle nostre artiglierie (circa quattrocento cannoni) e dalla nostra Aviazione (circa quattrocento apparecchi) furono, a detta degli stessi greci, spaventose. Nella settimana che va dal 9 al 16 marzo e che segna la ripresa dell'iniziativa italiana, l'Esercito greco cessò praticamente di esistere come forza capace ancora di combattere. Ciò fu confessato in seguito dallo stesso Governo greco.

E’ assolutamente matematico che in aprile, anche se nulla fosse accaduto per variare la situazione balcanica, l'Esercito italiano avrebbe travolto ed annientato l'Esercito greco. (La Camera sorge in pieni al grido di « Duce! Duce! » fra vivissime acclamazioni),

Bisogna onestamente constatare che molti reparti greci si sono battuti valorosamente; bisogna aggiungere ancora una volta che su ciò influiva moltissimo l'odio diffuso, profondo, continuamente eccitato dagli ufficiali e che era il viatico di tutti i soldati.

Il « caso » greco dimostra che la valutazione degli eserciti non è immutabile e che le sorprese, se non frequenti, sono tuttavia possibili. È lecito, inoltre, affermare che l'Esercito greco non avrebbe tenuto per sei mesi senza l'aiuto dell'Inghilterra. L'Esercito greco era nutrito, equipaggiato, armato dagli inglesi. L'Aviazione era tutta inglese, l'artiglieria contraerea anche. Non meno di sessantamila erano gli inglesi dei vari servizi e specialità a fianco déll'Esercito greco. Modesti sono stati gli aiuti in materiali forniti dalla Turchia. Il valore non raggiunge i due milioni di lire turche.

Ed ora alcune cifre che riassumono ciò che l'Italia ha fatto in questa guerra d'oltremare, cifre che vanno attentamente meditate, ed in base alle quali un elogio va rivolto agli Stati Maggiori e ai ministeri delle Forze Armate.

L'opera della regia Marina per organizzare e proteggere il traffico fra i porti di Bari e di Brindisi e quelli di Valona, Durazzo, San Giovanni di Medua, è qui documentata.

I piroscafi hanno compiuto 1360 traversate. Le scorte effettuate dal nostro naviglio sottile sono state 1070. Sono stati trasportati 560.603 fra ufficiali e soldati, 15.951 automezzi, 83.072 quadrupedi, 704.150 tonnellate di merci. Perché le truppe in Albania potessero vivere e combattere, dovevamo sbarcare una media di quattromila tonnellate al giorno (escluso armi e munizioni).

L'ammiraglio Sportiello da una parte e il generale Scuero dall'altra hanno assolto brillantemente questo difficile compito. (La Camera si alza acclamando all'indirizzo della tribuna dell'Esercito).

Che noi fossimo a lungo padroni quasi incontrastati dell'Adriatico, è dimostrato dalle cifre modeste delle nostre perdite: piroscafi affondati dal nemico diciassette, per un tonnellaggio di sessantasettemila tonnellate; torpediniere affondate tre, con un tonnellaggio di duemilaquattrocento tonnellate; piroscafi sinistrati cinque, per complessive ventimila tonnellate; torpediniere sinistrate sei, per un tonnellaggio complessivo di cinquemila tonnellate; morti e dispersi fra truppe ed equipaggi duecentonovantacinque unità, pari al 0,05 per cento della massa trasportata.

Anche per ciò che ha fatto nel basso Adriatico e per il suo essenziale contributo alla vittoria, la Marina merita la profonda ammirazione del popolo italiano. (Grida generali di « Viva la Marina! ». La Camera, in piedi, acclama a lungo all'indirizzo della tribuna della Marina).

Non meno degna di ammirazione è la regia Aeronautica per l'attività svolta durante la guerra contro la Grecia: attività di trasporto e attività di combattimento.

I velivoli italiani hanno trasportato in Albania, compiendo 7102 ore di volo, 30.851 persone e 3016 tonnellate di materiale. I velivoli da trasporto tedeschi, con 13.312 ore di volo, hanno trasportato in Albania 39.816 persone e 2923 tonnellate di materiale.

Durante tutti questi voli, un solo incidente si è verificato, alla partenza da un aerodromo delle Puglie, con la perdita di venti uomini. Nelle operazioni di guerra, sono state compiute dalla quarta squadra e dalle forze aeree dislocate in Albania 35.079 ore di volo, gettate 4829 tonnellate di bombe, sparati settecentomila colpi, abbattuti 261 velivoli nemici, danneggiati 118. Nostre perdite: novantasette velivoli abbattuti, settantuno danneggiati, duecentotrentatré fra deceduti e dispersi, centoventotto feriti. (Grida ripetute di « Viva l'Aeronautica ». La Camera sorge in piedi acclamando all'indirizzo della tribuna dell'Aeronautica).

Dal 28 ottobre al 31 maggio, i caduti sui fronti terrestri nella guerra contro la Grecia sono stati 13.502. (Il Presidente, i ministri, i consiglieri nazionali e il pubblico nelle tribune si alzano e rimangono alcuni istanti in reverente raccoglimento). I nomi di questi gloriosi combattenti, che hanno dato la vita alla patria, sono stati mensilmente pubblicati, com'è nostro costume. Tale cifra non può considerarsi definitiva fino a quando non si conosca il destino di quelli dati come dispersi o prigionieri.

I feriti sono stati 38.768, come risulta dai sette elenchi fin qui pubblicati. Tale cifra può variare, in seguito a ritardate segnalazioni. I congelati di primo grado, cioè guariti completamente dopo una breve cura; sono stati 4564; i congelati di secondo grado, anch'essi completamente guariti, sono stati 8592; i congelati di terzo grado sono stati 4391, in massima parte salvati.

Nel totale dei caduti, ci sono 1528 camicie nere; nei totali dei feriti le camicie nere sono 3296.

Le perdite dei reparti albanesi sono state di cinquantanove caduti, e di settantotto feriti.

Le perdite dei greci non le conosciamo esattamente, ma tutto fa presumere che siano state di gran lunga superiori alle nostre.

Mentre le truppe italiane si accingevano a liquidare l'Esercito greco, la Jugoslavia rivelò attraverso il colpo di Stato quali erano i suoi sentimenti reali. La guerra dell'Asse contro la Jugoslavia si rese, quindi, inevitabile. Gli Eserciti dell'Asse agirono di conserva, con rapidità fulminea. Mentre la seconda Armata delle Alpi scendeva lungo il litorale dalmatico, con marce forzate, che hanno saggiato la resistenza dei nostri soldati, i greci si ritirarono con combattimenti di retroguardia e cercarono, all'ultimo, con un trucco di autentico stile ulissidico, di fermarci ai confini dell'Albania, offrendo l'armistizio ai tedeschi e non a noi. Furono da me richiamati energicamente alla ragione e finalmente si arresero senza condizioni. (La Camera balza in piedi fra grida appassionate di « Duce! Duce! » e vibranti, lunghissime acclamazioni).

Quanto alla Jugoslavia, essa rivelò quasi immediatamente l'inconsistenza, e potrebbe dirsi la falsità, del suo organismo statale e, quale terzo Stato mosaico creato artificiosamente a Versaglia in funzione esclusivamcnte antiitaliana cadde al primo urto in frantumi.

L’esercito jugoslavo, cui gli ambienti parigini e piccolo intesisti avevano creata una reputazione di invincibilità tale che, secondo un giornale svizzero, avrebbe sbalordito il mondo, si liquefece alle prime battute. Gli inglesi fecero qualche apparizione sui campi di battaglia, ma poi, travolti dalle divisioni alpine e da quelle corazzate di von List, trovarono che anche il suolo ellenico scottava sotto i piedi e abbandonarono, fuggendo al solito via mare, la Grecia.

Le conseguenze politiche e militari scaturite dall'eliminazione dell'Inghilterra dalle ultime sue basi europee, sono state di una portata strategica e politica eccezionale. Hanno cioè provocato un profondo mutatamento della carta geografica di quella regione; un mutamento in meglio, specie se tutti avranno il senso della misura, cioè verso una più logica, razionale sistemazione secondo giustizia, tenuto conto di tutti gli elementi che compongono e spesso aggrovigliano i problemi.

Anche qui non si è potuto raggiungere una sistemazione per ogni verso perfetta, ma oramai bisogna rinunciare in siffatta materia all'assoluto. (Approvazioni). La Bulgaria si annette la Macedonia, che è prevalentemente bulgara e la Tracia occidentale, corridoio esiguo e assurdo, che impediva alla Bulgaria di affacciarsi all'Egeo. L'Albania si allargherà con la regione del Cassavano a nord e con la Ciamuria al sud. Il Montenegro riacquista la sua indipendenza ed entra nell'orbita italiana. (Vivissimi, generali, prolungati applausi). L'Ungheria, i cui accordi politici con l'Italia risalgono al 1926, ha allargato i suoi confini e la Germania ha portato i suoi sulla sinistra della Sava. Il resto della Slovenia è diventato una provincia italiana, con un regime speciale.

Ma il fatto più importante è la resurrezione, dopo dieci secoli, dello Stato croato. L'artefice di questa resurrezione è il Poglavnik Ante Pavelic, che visse per dodici anni esule in Italia insieme con molti pionieri del suo movimento. (Vivissimi applausi). Il Poglavnik sa di poter contare sulla operante solidarietà dell'Italia fascista.

Gli accordi conclusi con la Croazia vi sono noti. Sia quelli politici, come quelli territoriali.

Fiume ha oggi un retroterra e con l'occupazione di tutte le isole del Carnaro ha una consistenza che le mancava. Il porto di Fiume ha dinanzi a sé sicure prospettive, poiché è destinata a servire il retroterra croato e magiaro.

Con l'annessione di quasi tutte le isole dell'arcipelago dalmata, con la creazione delle due nuove provincie di Spalato e Cattaro e l'allargamento della vecchia di Zara, fedelissima (vivissimi, prolungati applausi), il problema dalmata può considerarsi risolto, specie tenendo conto che esso deve essere inquadrato nella soluzione del problema della sicurezza adriatica, che considero definitiva, e in quello dei rapporti stabiliti fra il regno d'Italia e quello di Croazia, la cui corona è stata offerta a un Savoia Aosta. (La Camera si alza fra vivissimi, generali applausi).

Noi avremmo potuto, volendo, spingere i nostri confini dai Velebiti alle alpi albanesi, ma avremmo, a mio avviso, commesso un errore; senza contare il resto, avremmo portato entro le nostre frontiere parecchie centinaia di migliaia di elementi allogeni, naturalmente ostili. Ora, la storia antica, ma soprattutto la recente, dimostra che gli Stati devono tendere a realizzare il massimo della loro unità etnica e spirituale (approvazioni), in modo da far coincidere a un certo punto i tre elementi razza, nazione, Stato. (Vivissimi, prolungati applausi).

Gli Stati che si caricano di troppi elementi alloglotti hanno una vita travagliata. Può essere talvolta inevitabile di averli, per ragioni supreme di sicurezza strategica. Bisogna adottare verso di essi un trattamento speciale, premesso, beninteso, la loro assoluta lealtà di cittadini verso lo Stato. Comunque, quando la etnia non va d'accordo con la geografia, è l'etnia che deve muoversi. Gli scambi di popolazioni e l'esodo di parti di esse sono provvidenziali, perché portano a far coincidere i confini politici con quelli razziali.

Secondo gli accordi col Comando germanico, quasi tutta la Grecia, compresa Atene, sarà occupata dalle truppe italiane. Questo ci pone dinanzi a problemi molto seri, specie dal punto di vista alimentare; ma li affronteremo, cercando di alleviare, per quanto ci sarà possibile, le miserie inflitte al popolo greco dai suoi governanti infeudati a Londra e tenendo presente che la Grecia rientra nello spazio vitale mediterraneo dell'Italia. (La Camera scatta in piedi. Vivissime, generali, lunghissime acclamazioni).

Più volte gli inglesi, dopo Cheren, hanno annunciato che la campagna nell'Africa Italiana poteva dirsi, più o meno virtualmente, conclusa. Ma, dopo Cheren, hanno dovuto cozzare contro Amba Alagi, dove, per la seconda volta, la resistenza degli italiani ha raggiunto le vette dell'epopea. (La Camera sorge in piedi fra vibranti acclamazioni).

Il Duca d'Aosta (nuove fervide acclamazioni) è stato durante questa battaglia, sviluppatasi su migliaia di chilometri fra deserti e montagne, un grande capo, degno della stirpe sabauda, dalla quale discende. Dopo la caduta di Amba Alagi, gli inglesi riproclamarono che ormai tutto era finito. Invece, si combatte ancora. Tre sono le zone dove le nostre truppe asserragliate danno ancora del filo da torcere agli inglesi la Dancalia, il Gimma, Gondar. Quanto tempo possa durare, non si può dire, ma è certo che la resistenza sarà protratta sino ai limiti delle possibilità umane.

Gli inglesi si sono giovati della superiorità dei loro mezzi, della possibilità praticamente illimitata di rifornirsi, e dalla defezione quasi generale delle nostre truppe coloniali, che non avevamo avuto il tempo di fortemente inquadrare e che erano quindi impreparate a una guerra di mezzi meccanici, soprattutto aerei.

Ai fini della guerra anche la conquista totale dell'impero da parte degli inglesi non ha alcun valore decisivo: si tratta di una vendetta di carattere strettamente personale (si ride), che non può influire sui risultati della guerra e che ha scavato un solco ancora più profondo fra Italia e Gran Bretagna. (La Camera in piedi acclama lungamente all'indirizzo del Duce).

Io non posso oggi dire quando e come, ma affermo nella maniera più categorica che noi torneremo (voci generali: « Sì! Sì! ») in quelle terre bagnate dal nostro sangue (ardenti ovazioni; grida ripetute di « Duce! Duce! »); terre che in pochi anni avevamo trasformato costruendo ospedali, scuole, case, acquedotti, fabbriche e quelle grandi strade, meraviglia dell'intero continente africano, sulle quali hanno potuto celermente marciare le forze meccanizzate nemiche.

I nostri morti non rimarranno invendicati! (Voci generali: « No! No! ». Vivissimi, prolungati, entusiastici applausi).

Quando parlai, nel febbraio, esposi quanto era accaduto in Cirenaica e non nascosi nulla. Da allora la situazione è cambiata. La Cirenaica è tornata all'Italia. L'azione è stata condotta dalle forze corazzate germaniche, che hanno lottato, strenuamente, insieme con quelle italiane. (La Camera ancora una volta in piedi applaude lungamente).

La conquista di Creta mette a disposizione delle Forze aeree e navali dell'Asse basi appropriatissime per attacchi in massa sulle coste egiziane. La vita diventerà sempre più difficile per le forze navali inglesi stazionanti nelle basi dell'Egitto e della Palestina.

Lo scopo che consiste nell'espellere la Gran Bretagna dal Mediterraneo orientale, sarà raggiunto, e, con ciò, un passo gigantesco sarà compiuto verso l'epilogo vittorioso della guerra.

La collaborazione fra le potenze del Tripartito è in atto, ma è soprattutto in atto la collaborazione fra la Germania e l'Italia. (Vivissimi, generali, prolungati applausi all'indirizzo della rappresentanza diplomatica del Reich).

È detto tutto quando vi dico che noi lavoriamo insieme, marciamo insieme, combattiamo insieme, e insieme vinceremo. Il cameratismo delle Forze Armate sta diventando cameratismo fra i due popoli. Nei suoi recenti discorsi, il Fuhrer (la Camera sorge in piedi fra lunghe acclamazioni) ha esplicitamente riconosciuto quali e quanti sacrifici di sangue l'Italia ha affrontato per la causa dell'Asse.

Già si delinea quella riorganizzazione del continente che è lo scopo di guerra dell'Asse, riorganizzazione ispirata dai postulati ideali e dalle esperienze vissute dalle due rivoluzioni. Le voci ridicole che speculavano su eventuali frizioni o dissensi, i deficienti che si spinsero anche più in là, come il primo ministro inglese (rumori vivissimi) nella sua allocuzione inutile di Natale, sono ridotti al silenzio. Due popoli, una guerra! Questa è la formula lapidaria che sintetizza l'azione dell'Asse, azione che continuerà anche dopo la vittoria (Vivissimi, prolungati applausi).

L'atteggiamento del Giappone (vivissimi, generali, prolungati applausi all'indirizzo della rappresentanza diplomatica giapponese), attraverso a quanto il ministro degli Esteri Matsuoka dichiarò a Roma e più recentemente a Tokio, è in perfetta linea col Tripartito.

Il giapponese è un popolo fiero e leale, che non rimarrebbe indifferente davanti all'aggressione americana contro le potenze dell'Asse. (Vivissimi, generali, prolungati applausi).

Il Giapponese sa che anche il suo avvenire è in gioco. Malgrado le enormi distanze, anche col Giappone le relazioni si approfondiscono. Non vi è dubbio che la numerosa e scelta missione militare giapponese, ospite gradita in questo momento dell'Italia, potrà constatare che la simpatia dell'Italia fascista per il Giappone è spontanea e profonda.

Con le altre Potenze aderenti al Tripartito (vivissimi, generali, prolungati applausi) e cioè Ungheria, Slovacchia, Romania, Bulgaria, i rapporti sono più che cordiali, anche laddove non esistono speciali accordi politici.

Tra i paesi che si trovano ancora fuori della mischia, uno merita particola re considerazione, ed è la Spagna.

Malgrado lusinghe alternate a ricatti, è chiaro che la Spagna non può rinunciare a cogliere l'occasione unica che le è offerta di sanare ingiustizie subite in altri tempi. Noi non sollecitiamo in alcun modo una decisione della Spagna, decisione che deve essere presa dai fattori responsabili, in piena libertà di esame: ci limitiamo a pensare e a credere che la Spagna sa da quale parte stanno i suoi amici provati e da quale stanno i suoi non meno provati nemici. (Vivissimi applausi).

La rivoluzione della Falange, portatrice del nuovo destino storico della Spagna, non può affiancarsi alle forze della plutocrazia, del giudaismo, della massoneria, tutte forze che, aiutando i rossi, cercarono e cercano di impedire al Caudillo di portare a termine il suo sforzo di rinnovazione nazionale e sociale. (Applausi).

Quanto alla Turchia, essa ha declinato sinora tutte le sollecitazioni inglesi. Il Presidente Ineonu ha veduto che un tragico destino attende tutte le nazioni che in qualsiasi guisa si affidano alla Gran Bretagna. (Si ride). Ma io voglio cogliere quest'occasione per dire al Presidente Ineonu che l'Italia intende seguire nei confronti della Turchia quella politica di comprensione e di collaborazione che fu inaugurata nel 1928 e che per noi è ancora e sempre attuale.

Se Spagna e Turchia sono fuori della mischia, vi è uno Stato transoceanico che si ripromette di entrarvi. È bene si sappia che l'intervento americano non ci turba eccessivamente. (Applausi). Una dichiarazione esplicita di guerra non modificherebbe la situazione attuale, che è di guerra de facto se non de jure. L'intervento americano, anche quando si dispiegasse al completo, sarebbe tardivo, e anche se non fosse tardivo, non sposterebbe i termini del problema.

L'intervento americano non darà la vittoria alla Gran Bretagna, ma prolungherà la guerra; non limiterà nello spazio la guerra, ma la estenderà ad altri oceani; tramuterà il regime degli Stati Uniti in un regime autoritario e totalitario, a paragone del quale, i regimi europei precursori, fascista e nazista, si sentiranno di gran lunga superiori e perfezionati. (Si ride, applausi).

Quando si vuole ricordare un dittatore nella pura espressione classica del termine si cita Silla. Ebbene Silla ci appare un modesto dilettante in paragone a Delano Roosevelt. (Applausi e ilarità).

Camerati!

In questi dodici mesi di alterne, ma sempre dure vicende, il popolo italiano ha dato un incomparabile esempio di disciplina. Non si è sgomentato quando le notizie erano cattive e le giornate buie; non si è esaltato quando le notizie erano buone e luminose le giornate. Malgrado il sole, il popolo italiano è un popolo a sangue freddo, realistico, sensibile e riflessivo ad un tempo, dotato di una memoria formidabile, temprato e collaudata da trenta secoli di storia. Solo chi non conosce il popolo italiano, può farsene una immagine diversa.

La guerra non ha fatto che consacrare queste virtù che sorgono dalle profondità rurali della razza e da molteplici, millenarie esperienze.

Col durare della guerra, la tensione spirituale e materiale cresce e il disagio aumenta. Le classi popolari hanno una vita sempre più difficile. Le recenti punte critiche della nostra situazione alimentare sono in relazione con l'esaurirsi delle scorte e con l'aumento delle popolazioni, che coi nuovi territori tocca forse il milione. Problemi economici sorti dalle contingenze saranno risolti con misure adeguate di carattere positivo e negativo. I profittatori della guerra saranno sempre più duramente puniti. (Vivissimi, generali applausi).

Malgrado questo, non è nelle file del popolo che si trovano i bigi e i dubitanti. (Applausi).

Il popolo « sente » questa guerra come una fase necessaria e cruenta di una grande rivoluzione, che deve eliminare le assurde posizioni di privilegio, detenute dalle grandi democrazie, prone davanti al vitello d'oro e a Giuda. (Applausi).

Questo spiega come le giornate del popolo italiano trascorrano nel lavoro, nella calma, nell'ordine, che non è stata mai minimamente turbato.

La gioventù degli Atenei è accorsa in massa nelle caserme, per la necessaria preparazione al combattimento. Centoventisei universitari hanno già consacrato col sangue quella dedizione alla patria che sempre ha acceso i cuori della nostra gioventù universitaria. (Vivissimi, generali, prolungati applausi all’indirizzo della rappresentanza dei Gruppi universitari fascisti).

Coloro che si attendono sfaldamenti del nostro fronte interno; attendono ciò che non avverrà mai. (Applausi).

Il nemico è tenace, perché sa che la posta del gioco è veramente suprema, ma noi siamo più tenaci di lui. I colpi che l'Asse gli ha inferto lo hanno umiliato sino ad invocare disperatamente il soccorso d'oltremare.

Anche se la guerra durasse più del prevedibile, anche se complicazioni nuove sorgessero, l'Inghilterra non può vincere, perché tutte le sue posizioni e possibilità europee sono state distrutte, e l'America, per quanto faccia, non può sostituirla. (Applausi vivissimi).

L'Asse, espressione rivoluzionaria della nuova Europa, vincerà. Nel primo annuale della guerra è la certezza della vittoria, certezza orgogliosa e dogmatica che noi riaffermiamo.

Io credo, fermamente credo, che in questa immane battaglia fra l'oro e il sangue, l'Iddio giusto che vive nell'anima dei giovani popoli ha scelto. Vinceremo!

(La fine del discorso del Duce è salutata da un'ardentissima, interminabile ovazione e da grida generali e sempre più alte di « Duce! Duce! ». Il Duce lascia la tribuna. L'Assemblea intona « Giovinezza ». Il Presidente ordina il « Saluto al Duce! ». La Camera risponde come un sol uomo: « A noi! ». Il Duce si avvia all'uscita, mentre i consiglieri nazionali scesi dai loro banchi si affollano intorno a lui gridandogli la loro fede e la loro devozione).