Sunday 4 March 2012

Discorso alla Camera, 12 dicembre 1930

Per la festa del patto lateranense

di Benito Mussolini

Non sono affatto sorpreso che l'on. Ezio Garibaldi abbia parlato: sarei invece rimasto sorpreso se l'on. Garibaldi avesse taciuto. E quantunque io abbia preparato questo discorso per l'altro ramo del Parlamento, dove talune sensibilità sono più raffinate, lo anticiperò. Bisogna subito sbarazzare il terreno dal raffronto stabilito dal camerata Garibaldi fra il 20 Settembre e l'11 Febbraio e il 24 Maggio e il 4 Novembre.

Siccome sono stato io a volere che fosse messo fra le solennità civili il 24 maggio, dirò subito perché. Il 24 maggio è importante, perché segna la data della nostra dichiarazione di guerra all'impero Absburgico; ma è importantissimo, perché segna il trionfo di quelle radiose giornate di maggio, che furono il primo atto della Rivoluzione fascista.

Non bisogna quindi svalutare la importanza del 24 maggio dal punto di vista interno nostro, perché sarebbe un errore. Non voglio, in questo momento, farvi l'oltraggio di una rievocazione storica del settembre del 1870. È mia profonda convinzione che, se a Roma vi fosse stato un solo plotone di soldati francesi regolari, molto probabilmente Cadorna non avrebbe dato l'11 settembre da Terni l'ordine di marciare su Roma. Non ho bisogno di ricordare che, quantunque l'impero di Napoleone III fosse caduto, il 4 settembre, la Repubblica francese, che ne segui, tenne ancora per 4 anni consecutivi, a Civitavecchia, una nave, quasi a dire che nella politica di difesa della Chiesa, nella figlia primogenita della medesima non vi era differenza di regime. Ed è positivo che quegli stessi « chassepots » che fecero meraviglie a Mentana nel 1867, il 3 novembre, le avrebbero fatte, dopo, lo stesso.

Fummo fortunati: ed il merito grandissimo della destra fu quello di avere colto al balzo la fortuna, la quale fortuna una volta sola viene nella vita degli individui e nella vita dei popoli. E giungemmo a Roma la mattina del 20 Settembre. Le truppe piemontesi si fermarono sulla riva sinistra del Tevere e non andarono al di là, perché al di là v'era la Città leonina, che aveva una popolazione di dieci o dodici mila abitanti.

Fin dal 29 agosto, con una circolare del Ministro degli Esteri Visconti Venosta, la: Città leonina era stata assegnata alla Santa Sede, che avrebbe dovuto costituire il territorio lasciato al Pontefice. Soltanto, essendo avvenuti dei disordini al di là del vecchio borgo, furono gli stessi pontificii che chiamarono Cadorna ad occupare anche il Trastevere. Però il Sovrano non fu scacciato; così come avvenne di tutti gli altri Sovrani, che noi dovemmo allontanare fin dall'ultimo loro palazzo, per rendere libera la Patria.

Il Pontefice fu lasciato in un territorio infinitamente più ristretto, sul quale, durante 60 anni, lo Stato italiano non ha mai fatto un atto di potestà. Il Sovrano spodestato non aveva più territorio. Però s'ebbe questa singolare anomalia: che le rappresentanze diplomatiche, gli ambasciatori ed i ministri, che prima erano rappresentati presso il Papa, continuarono a rappresentare i loro Stati anche dopo, quando egli non aveva più territorio. Cosa significa questo? Che lo consideravano ancora Sovrano. Perché un elemento specifico individuatore della sovranità dello Stato è il diritto di legazione attiva e passiva, cioè il diritto di mandare e ricevere ambasciatori.

Il camerata Garibaldi ha ricordato Alfredo Oriani. Se leggessimo le pagine di Alfredo Oriani sul modo con cui venimmo a Roma e leggessimo anche l'invettiva di Giosue Carducci, rinfrescheremmo le nostre cognizioni letterarie. Finalmente, nel 1871, ci decidemmo a portare a Roma la Capitale. Questo fu compiuto dalla destra. Bisogna levarsi tanto di cappello di fronte a questa destra storica, perché dal 1860 al 1876 è quella che, sia pure pungolata o sospinta dal partito di azione o dividendosi le parti insieme, ha politicamente e praticamente realizzata l'unità della Patria.

Erano gli uomini che si chiamavano Minghetti, Sella, Lanza ed altri minori. Tutta gente degna di rispetto, patrioti di sicura tempra, uomini di certissima fede, probi fino allo scrupolo. Ebbene, negli anni che vanno dal 1870 al 1876, non ci fu mai la proposta di festeggiare il 20 Settembre.

Nel 1876 avvenne quella che fu chiamata erroneamente la rivoluzione delle sinistre. Sulla piattaforma prima erano gli uomini della destra, glabri, segaligni, che avevano qualche cosa dell'inglese nel loro modo di essere; poi, dopo il 1876, abbiamo la barba fluente di Agostino De Pretis, il quale inizia il trasformismo, cioè un regime di compromesso, che non ha dottrina e che praticamente si limita alla ordinaria amministrazione.

Chi abbia letto la storia politica e diplomatica del Cilibrizzi, si sarà fatta un'idea pietosa di quella che sia stata la politica italiana dal 1876 in poi. Anche allora le sinistre non pensarono che si potesse festeggiare il 20 Settembre. Finalmente, nel 1895, siamo al venticinquennio; e allora nell'aula, il 6 di luglio, il deputato Vischi propone un disegno di legge, con un solo articolo così concepito:
« Ai giorni che dalla legge 23 giugno 1874, n. 1968, serie seconda, sono dichiarati festivi per gli effetti civili, è aggiunto il 20 Settembre ». 
Devo dire che la discussione della Camera non fu molto interessante. Parlarono Mazza Pilade, grande dignitario di tutte le massonerie del Mondo. Colajanni, Andrea Costa. Parlò anche Imbriani e disse testualmente:
« Che andiamo facendo? Aumentando feste ogni giorno? Perché non la festa di ogni plebiscito? E perché non la festa dei fatti che hanno preparato la Patria? Ma se una festa nazionale ci deve essere, riserviamola come premio di un dovere compiuto. Quando ai piedi delle Alpi Giulie noi avremo riaffermata veramente l'integrità della Patria, quando avremo conquistate Pola e Trieste, allora, sì, decreteremo la nostra festa nazionale ». 
Devo tuttavia convenire col camerata Garibaldi che, in questo atteggiamento di Imbriani, si vede il polemista, l'uomo che, non amando quel governo, prendeva pretesto anche da quella legge, per votargli contro. Ma vediamo quale fu l'atteggiamento di Crispi. Credo che nessuno in questa Camera e nemmeno fuori di questa Camera, possa dubitare del patriottismo di Francesco Crispi. Né si può pensare che Francesco Crispi avesse delle simpatie clericali. Credo di non dire nulla di straordinario se aggiungo che Francesco Crispi appartenne alla massoneria.

Udite, l'uomo in imbarazzo, Francesco Crispi!
« Certo, o signori, il 20 Settembre è stato sempre festeggiato dal popolo, ed una prescrizione, un ordine a festeggiarlo, non sarebbero necessari. Parrebbe che noi volessimo imporre quello che è nella coscienza di tutti. Nulla di meno, una volta che la legge fu portata alla Camera, il rifiuto alla medesima sarebbe una offesa alla coscienza nazionale. Vogliate, on. Deputati, rientrare nelle vostre coscienze e comprendere quale triste impressione produrrebbe in Italia e all'estero la notizia che voi avete respinta la legge! »
E Crispi aveva perfettamente ragione! Evidentemente avrebbe preferito che non se ne fosse fatto nulla; ma dal momento che la legge era avanti alla Camera, la legge doveva essere approvata, perché altrimenti si sarebbe potuto pensare che dopo 25 anni noi non fossimo ancora sicuri di rimanere in Roma e di avere soprattutto la volontà di rimanere a Roma.

Si fece l'appello nominale, i votanti erano 278, i « sì », cioè per la festa, furono 249; i contrari 26. Si fece poi lo scrutinio segreto: i favorevoli diminuirono, aumentarono i contrari: 204 favorevoli, 62 contrari. Ma ben più importante fu la discussione al Senato, perché al Senato parlarono uomini come Gaetano Negri, Giosue Carducci, Gaspare Finali, Lampertico, Gabba e Crispi.

Gaetano Negri, in quell'epoca, apparteneva a quella che si chiamava la consorteria lombarda: erano uomini della vecchia destra, ma rafforzati (allora si chiamavano « forcaioli »!). Però Gaetano Negri era uno spirito di primo ordine, ed un volume lo raccomanda alla posterità: Giuliano l'Apostata, uno dei libri più interessanti che si possano leggere. Si può forse definirlo « il libro classico della materia », perché è il libro nel quale Gaetano Negri, valendosi di un'erudizione fortissima, spiega, dimostra, prospetta la tragedia di questo ultimo Imperatore, che, circa quattro secoli dopo Cristo, credeva ancora di tornare al culto degli antichi Dei della vecchia Grecia. E naturalmente, ad un certo punto, trafitto, dopo avere bruciato i vascelli, dal dubbio, più che dalle frecce nemiche, finiva col proclamare: « Galileo, hai vinto! ».

Ora Gaetano Negri diceva:
« Il punto veramente essenziale è di provare l'opportunità di una legge, per la quale dopo 25 anni noi, ad un tratto, ci svegliamo senza nessuna causa impellente, per decretare che il giorno 20 Settembre sia giorno festivo ». 
Aggiungeva:
« Il diritto nazionale, per il quale l'Italia è venuta a Roma, è un diritto assolutamente indiscutibile, come è indiscutibile il diritto per il quale l'Italia è andata a Napoli o a Firenze. Ma appunto perché questo diritto è indiscutibile, appunto perché noi non dobbiamo ammettere che da nessuno sia stato posto anche lontanamente in dubbio, appunto per questo noi non dobbiamo continuamente illuminarlo coi fuochi artificiali della nostra esultanza, quasi che si trattasse di una cosa anormale, che esce dalla legge comune, la quale fu la norma della costituzione politica del nostro paese ». 
La tesi che egli sosteneva era questa: dal momento che l'Italia è una, dalle Alpi alla Sicilia, non può avere che Roma per Capitale.
« E siccome - Gaetano Negri aggiungeva - questo è un fatto normale, storicamente provato, è inutile che ne facciamo un avvenimento eccezionale da celebrare ogni anno ». 
Ancora:
« Ebbene, o signori, coloro che credono di poter combattere di rappresaglia col Papa, cadono nel medesimo errore in cui sono caduti tutti i nemici del Papato, da Re Desiderio a Bismarck, nell'errore di non riconoscere che il Papa è un nemico diverso da ogni altro nemico, un nemico che si rafforza quanto più si indebolisce ». 
Ometto gli altri discorsi favorevoli, come quello del Mariotti, come quello del Delzio, ma si ascolti che cosa disse Giosue Carducci:
« Io non nego che molte delle cose osservate dal senatore Negri sono osservate rettamente e profondamente. Anch'io sono nemico delle feste. Ma se una festa si ha da eliminare, si elimini quella della prima domenica di giugno: nobilissima commemorazione anche quella, ma segna il principio, segna la mossa pratica ed effettiva dell'Italia verso Roma. La prima domenica di giugno porta al 20 Settembre, e questo raccoglie, compie, corona in sé quella. L'acquisto di Roma non è una tendenza, è un'aspirazione di questo partito piuttosto che di quello, è un'idea più antica di Garibaldi e di Mazzini. Lasciamo la storia classica; ma íl popolo italiano, appena svegliato ad un crepuscolo di libertà nei comizi cispadani nel dicembre 1796 in Reggio Emilia cantò l'andata a Roma. » 
Risparmio il Gadda e cito il Lampertico, che nel suo discorso diede quasi l'impressione che antivedesse gli avvenimenti del febbraio 1929. Ma si veda che cosa disse il relatore Gaspare Finali e si vedrà come il senatore Gaspare Finali volle togliere a questa discussione ogni carattere di misticità. « Che cosa fa la legge? » diceva il senatore Gaspare Finali, relatore al Senato di questo disegno di legge.
« Dispone soltanto che quel giorno sarà considerato festivo agli effetti civili. Vuol dire che in quel giorno saranno chiusi i Tribunali e la più gran parte dei pubblici uffici. Vuol dire che, in quel giorno, l'esattore non potrà andare a domandare le tasse al povero, vuol dire che in quel giorno non si potranno fare né citazioni, né atti esecutivi, che nessuno sarà impedito da civili negozi. C'è un rimpicciolimento delle cose. » 
Si veda Crispi. Il Senato sa che questo progetto è d'iniziativa parlamentare. Crispi ci teneva ed insisteva su questo.
« Quando l'11 luglio fui chiamato nella Camera dei Deputati ad esprimere la mia opinione sul progetto medesimo, la dissi chiara ed esplicita: dissi ai Deputati che, una volta presentata la legge non si poteva né si doveva votare contro. » 
Ed in seguito:
« In tale stato di cose e ricordando che. ai miei tempi qualunque siano le condizioni del Vaticano e qualunque siano le ostilità continuamente praticate contro l'unità italiana, qualunque sia il linguaggio dei giornali cattolici, qualunque sia l'opposizione che dal Papa venga alle nostre istituzioni, l'on. senatore Negri non troverà un atto del mio Governo che abbia risposto a queste provocazioni. Ma abbiamo dal tempo quel trionfo a cui miriamo, cioè la pace tra la Chiesa e lo Stato. Questa pace (è sempre Crispi che parla) tra la Chiesa e lo Stato non può venire se non dalla libertà esercitata largamente e senza alcuna difficoltà, senza alcuna imposizione. A questo mira il Governo italiano. Dopo ciò nulla ho da aggiungere, sicuro che il Senato vorrà votare senza obiezioni questa legge che oggi a tutti si impone. Ed è proprio così - continua Francesco Crispi -. Se la legge non fosse stata presentata, le cose sarebbero andate altrimenti; ma una volta presentatà nelle condizioni di lotta tra Vaticano e Stato italiano, pel modo come ci trattano i giornali cattolici di tutto il mondo, sapete quale significato avrebbe un voto contrario? Che noi retrocediamo o per lo meno che abbiamo paura di mantenere lo stato attuale delle cose. Ebbene, il Senato, corpo eminentemente conservatore, non potrà essere di questo avviso, e sono sicuro che voterà a favore della legge che gli fu presentata. » 
E fu votata a notevole maggioranza, con ottantasette voti favorevoli, ventotto contrari. Così il 20 Settembre entrò nel novero delle solennità civili. E lo abbiamo festeggiato tutti. Si capisce. Dal 1895 in poi ebbe un valore. Siccome dal Vaticano si protestava contro Colui che detiene, si rinnovava la protesta continua contro il possesso di Roma da parte dell'Italia, era giusto che si facesse la controprotesta, che si dicesse:
« voi ritenete che noi siamo qui pro tempore, noi vi diciamo, invece, che ci siamo, perché intendiamo restarvi. » 
Aggiungo che la festa a poco a poco era divenuta popolare, perché in essa confluivano due elementi: il primo, l'elemento dirò così nazionale; il secondo, l'elemento anticlericale. Venne la guerra. La guerra finì con la Vittoria: venne il Fascismo, ed è stato il Fascismo che ha cominciato a smobilitare il 20 Settembre. Il 20 Settembre, negli ultimi tempi, era diventato una parata massonica, inutile e malinconica. Certamente qualcuno lo ricorda, come tutti i cortei democratici che si rispettano, con tube, grembiulini ed insegne. I fascisti hanno sentito l'insincerità di questa cerimonia. Tanto è vero che, a poco a poco, essa andò decadendo. Fu prima soppresso, tra questi numeri, il telegramma rituale a S. M. il Re, perché oramai appariva superfluo - dal momento che non solo eravamo a Roma da 60 anni ma eravamo nel frattempo giunti anche sul Brennero e sul Nevoso - che si dicesse, ogni anno, che eravamo a Roma e che a Roma volevamo restare. Poi fu la volta del manifesto del sindaco governatore, che era sempre il medesimo. A un certo punto, anche il corteo non fu più organizzato. Restavano le bandiere sui trams e alle finestre.

Ma intanto è venuto l'11 Febbraio. Ora io spero, credo, che gli italiani e i fascisti in particolare modo, finiranno per realizzare l'importanza enorme dell'11 Febbraio, quando non solo il Sovrano del '70 ci riconosce la legittimità del possesso di Roma, ma questo accade per la prima volta nella storia, talché la rinunzia è definitiva, irrevocabile. Potrebbe essere revocata solo in un'ipotesi che non si vuole nemmeno affacciare allo spirito, cioè che l'Italia ritornasse a brandelli, calpestata dallo straniero!

Ma finché l'Italia resterà un solo popolo e un solo cuore, Roma è dell'Italia, e l'Italia è di Roma! Quindi portiamo l'accento sull'1t Febbraio, cioè sull'avvenimento, sull'atto che ci riconosce il legittimo pacifico possesso di Roma, perché questo non era mai accaduto prima. Ora, se si continuasse a festeggiare il 20 Settembre, noi saremmo semplicemente illogici. Noi quindi festeggiamo la Vittoria e la pace, la quale ha già dati i suoi risultati benefici.

Festeggiando il 20 Settembre, noi potremmo mostrare o far nascere il sospetto che non siamo ancora sicuri di noi stessi, mentre noi invece lo siamo, in doppio modo: primo, per i trattati; secondo, per nostra volontà.

Allora si dirà: « Dunque il 20 Settembre si cancella? » Niente affatto! Il 20 Settembre è una data; una data che nessuno cancella e nessuno può cancellare, perchénella storia si può discutere sulla interpretazione del fatto, ma il fatto è là, delineato, sagomato, individuato. Il fatto si chiama 20 Settembre, legato ad un evento, ad una cronologia, ad un periodo storico.

Io credo che dopo queste dichiarazioni la Camera possa, con tranquillità, con italianità, con fascistica coscienza, dare il proprio suffragio all'attuale disegno di legge.