Sunday 4 March 2012

Discorso di Roma, 27 ottobre 1930

Messaggio per l'anno nono

di Benito Mussolini

Camerati!

Otto anni or sono, - in questi giorni di fine ottobre, - il ritmo della storia italiana si era straordinariamente accelerato. Erano momenti di "alta tensione". Nel mio discorso alla "Sciesa" di Milano nell'agosto, nell'altro, - breve, ma preannunciatore, di Levanto, in quello di Udine del XX Settembre e successivamente nel discorso di Cremona le tappe erano state bruciate. Finalmente, con l'adunata nazionale di Napoli, la sorte del Governo di allora e il destino della Nazione cadevano nelle nostre mani. Fino dal 18 ottobre, immediatamente dopo la decisiva riunione di via San Marco, 48, a Milano, avevo preparato quello che più tardi fu il problema del Quadrumvirato e che le Camicie nere impazienti attendevano: l'ordine di marciare. Il 28 ottobre l'ordine fu lanciato. Da quell'istante una grande era cominciò nella storia del popolo italiano. Rievocando quelle giornate, l'animo nostro vibra ancora di emozione e di fierezza, e ringraziamo il Destino che ha consentito alla nostra generazione di vivere i due eventi che sono i più memorabili nell'esistenza degli individui , e delle Nazioni: la Guerra e la Rivoluzione. Un'onda di poesia sale al ricordo, nel nostro spirito: par di rivedere le squadre e i gagliardetti, di risentire gl'inni e il tumulto di quelle giornate: con un rimpianto virile facciamo l'appello delle Camicie nere che segnarono col sangue il trionfo del Fascismo. La Rivoluzione allora non incontrò nemici in campo aperto: quelli stessi che pochi mesi prima, nell'agosto, avevano giocato la carta suprema del cosiddetto sciopero generale legalitario, si ritirarono dalla circolazione; alcuni accennarono ad accettare il fatto compiuto. Il Fascismo esordì con un Ministero di coalizione; ma sin dal 16 novembre, nel discorso alla Camera, le posizioni ideali venivano prospettate con un discorso scudiscio, che sibila ancora nelle orecchie di chi lo ascoltò e sembra rimasto nell'atmosfera dell'aula come sospeso. Di lì a poco, io creavo due istituti originali che provocavano l'irreparabile frattura fra il vecchio mondo demoliberale e il nuovo mondo fascista: la Milizia, con la quale la Rivoluzione apprestava le sue specifiche e insostituibili difese, e il Gran Consiglio, la cui funzione di organo propulsore e coordinatore del Regime, in tutte le sue manifestazioni, è stata, nel tempo, fondamentale. Non è oggi il caso di rifare la storia di questi pieni e formidabili anni del Regime fascista. Chi fa la storia non sente affatto il bisogno di scriverla; tutt'al più può darne una spiegazione. E poi, non siamo che al principio. Guai se ci comincia a prendere la nostalgia delle date, di ciò che non può più tornare. Noi guardiamo invece con occhi accesi al futuro: quello che dobbiamo conquistare c'interessa molto di più del già conquistato. La vita e la gloria delle Nazioni è in questo spirito del futuro, è in questo proiettarsi oltre oggi: in questa "instancabilità" è il segno eroico della fede fascista. Naturalmente i conservatori, i poltroni, i pusillanimi, gli uomini del tempo che fu, non possono intenderci, e noi li dobbiamo respingere spietatamente dalle nostre file e anche dalle nostre vicinanze. Chi non è pronto a morire per la sua fede non è degno di professarla! Otto anni di vicende, otto anni di lavoro - talora grande, ma spesso anche amministrativo e minuto - ci hanno portato a una intransigenza politica e morale sempre più risoluta; ad un'assunzione di responsabilità sempre più netta e definitiva. Non mai come oggi vale la mia formula del 1925: tutto il potere a tutto il Fascismo, ed esclusivamente al Fascismo! La Rivoluzione, che risparmiò i suoi nemici nel 1922, li manda oggi, li manderà domani al muro, tranquillamente. È più forte, quindi, oggi di allora. Quanti fra i nostri nemici opinano non esservi rivoluzione sino a quando non funzionino i plotoni di esecuzione, possono prenderne atto. La Rivoluzione che fu unitaria sin dal Congresso di Roma del 1921, tale è rimasta, tale rimane, tale rimarrà: qui è la sua incomparabile forza. Giacobini, girondini, termidoriani, destra o sinistra, sono terminologie ignote nel Regime fascista. I personalismi, se affiorano, non oltrepassano un determinato traguardo. Le generazioni che sorgono nel segno del Littorio non devono assistere a spettacoli che turbino o gelino gli entusiasmi, i quali sono il lievito indispensabile nel pane della storia. Eccoci dunque alla fine dell'anno ottavo, alla soglia del nono. Anno duro quello che muore, ma tuttavia illuminato dalla grande luce del maggio toscano e milanese. Ricordate i miei discorsi a quelle adunate? Ecco che io li commento a distanza, ora che il tumulto degli altrui commenti sembra calmato. Con quei discorsi io intesi strappare la maschera a questa Europa ipocrita che balbetta la pace a Ginevra e prepara la guerra dovunque. Furono ritenuti una dichiarazione di guerra, mentre si dimenticava che la guerra contro il Regime fascista, gli uomini, i gruppi, i partiti, le sette, cui allusi a Firenze, la conducono da otto anni. Uccidere i fascisti in quanto tali non è un atto di ostilità? Diffamare il Regime e danneggiarlo nel credito, non è atto di guerra? Quali calunnie, per quanto infami, non sono state lanciate nel mondo contro il Regime fascista? Ciò che è accaduto dopo le esecuzioni di Trieste non è la prova che la guerra contro il Regime fascista è in atto; guerra morale per ora, ma preparatrice della guerra militare? Le invenzioni calunniose sono un'arma di guerra: fra poco anche noi avremo tagliato le mani ai bambini, come si disse dei Tedeschi nel 1914, ma pare che di quei bambini mutilati si sia perduta ogni traccia. Tutto ciò per accrescere l'odio contro l'Italia fascista; odio che viene predicato e praticato da milioni e milioni d'individui. Odio controrivoluzionario; odio di reazione; odio di conservatori, che ci onora e ci esalta; è la Vandea universale, socialista, liberale, democratica, massonica, che teme per i suoi feticci, che vede crollare i suoi altari, che sente smascherare le sue mistificazioni. Noi lottiamo contro un mondo al declino, ma ancora potente perché rappresenta una enorme cristallizzazione di interessi. I fascisti se ne rendano conto. L'antifascismo non è morto, l'opposizione esiste ancora. Soltanto il terreno della lotta si è dilatato: ieri era l'Italia, oggi è il mondo, poiché dovunque si battaglia pro e contro il Fascismo. Dunque uno stato di guerra "morale" contro di noi esiste, ed è fatale che ciò sia, ed è fatale che ciò si accentui. È logico e provvidenziale che noi dobbiamo riconquistarci la vittoria giorno per giorno. Se così non fosse, a quest'ora il Fascismo sarebbe oltrepassato. Ma accanto alla guerra morale, i preparativi di guerre materiale vengono affrettati alle nostre frontiere. Vedete questo fascicolo? Qui sono notati giorno per giorno i preparativi militari degli anni '27, '28, '29, '30 fatti contro l'Italia, ben prima dei miei discorsi di Livorno, Firenze, Milano. Qui è l'elenco delle batterie postate, dei forti costruiti, degli armamenti predisposti e consegnati. Potevo tardare a suonare la sveglia al popolo italiano? Naturalmente coloro ai quali fu strappata la maschera tentarono di invertire le parti e di ripresentare ancora una volta l'Italia, unico pericolo per la pace europea, unica Nazione di lupi in mezzo al belante armento di pacifici agnelli. Questo giuoco è puerile. L'Italia fascista, relativamente, si arma perché tutti armano. Disarmerà, se tutti disarmeranno. Ripeto che finche ci saranno dei cannoni, essi saranno più belli delle belle, ma spesso vane, parole. Quando il "verbo" basterà da solo a regolare i rapporti fra i popoli, allora io dirò che la "parola" è divina. Sia chiaro, comunque, che noi ci armiamo materialmente e spiritualmente per difenderci, non per attaccare. L'Italia fascista non prenderà mai l'iniziativa della guerra. La nostra stessa politica di revisione dei trattati - che non è di ieri ma fu prospettata sin dal giugno del 1928 - è diretta ad evitare la guerra, a fare l'economia, l'immensa economia di una guerra. La revisione dei trattati di pace non è un interesse prevalentemente italiano, ma europeo, ma mondiale. Non è una cosa assurda e inattuabile, dal momento che è contemplata, questa possibilità di revisione, nello stesso patto della S. D. N. Di assurdo c'è soltanto la pretesa della immobilità dei trattati. Chi viola il patto della S. D. N.? Coloro che - a Ginevra - hanno creato e vogliono perpetuamente mantenere due categorie di Stati: gli armati e gli inermi. Quale parità giuridica e morale può esistere tra un armato e un inerme? Come si può pretendere che questa commedia duri all'infinito, quando gli stessi protagonisti cominciano ad averne stanchezza? Quanto alla politica danubiana e orientale dell'Italia, essa è dettata da ragioni di vita. Noi cerchiamo di utilizzare sino all'ultima zolla del nostro territorio. Ciò che facciamo è gigantesco. Ma il territorio a un certo punto sarà tutto saturato da una popolazione che cresce, il che noi vogliamo, del che siamo fieri, poiché la vita chiama la vita. Nel 1950 l'Europa avrà le rughe, sarà decrepita. L'unico Paese di giovani sarà l'Italia. Si verrà d'oltre frontiera a vedere il fenomeno di questa primavera di un popolo! È solo verso Oriente che può indirizzarsi la nostra pacifica espansione. Si comprendono quindi le nostre amicizie e le nostre alleanze. Amicizie e alleanze che hanno, oggi, un valore assoluto. Il mio dilemma fiorentino rimane: duri coi nemici, marceremo con gli amici sino in fondo. Noi facciamo una politica schietta, senza infingimenti o restrizioni mentali. Un impegno firmato, per noi, è sacro, qualunque cosa possa accadere. Né conosciamo altro modo perché un popolo aumenti il suo prestigio, accresca la fiducia degli altri in lui.

Camerati!

L'anno VII è stato dominato dai problemi della economia. Il Regime li ha affrontati, questi problemi, con decisioni tempestive e audaci a un tempo. Mi limiterò a ricordare la libera contrattazione delle divise e quella non meno importante delle case. Per quanto concerne la situazione economica generale, confermo quanto dissi il 1° ottobre. I problemi specifici dell'economia italiana mi occupano quotidianamente. Il popolo deve saperlo e lo sa. Il popolo deve sapere che il Regime fascista non è il regime liberale che lasciava andare e passare, ma è un Regime che provvede e prevede. Le centinaia di migliaia di operai che lavorano in Italia lo sanno. Malgrado il disagio vi è un miglioramento nel loro stato d'animo. I contribuenti devono sapere che essi saranno lasciati tranquilli perché la mite ed obbediente pecora ha già dato tutta la sua lana preziosa. Restino tranquilli anche e soprattutto i portatori dei buoni novennali e degli altri titoli di Stato! Mentre il popolo che lavora guarda con accresciuta simpatia al Fascismo, gl'irriducibili sono i rottami della cosiddetta borghesia liberale e professionistica. Taluni di essi sono riusciti negli anni scorsi a infiltrarsi nel Partito o nelle istituzioni del Regime specialmente alla periferia. Camerata Giuriati, voi avete la consegna di snidarli! È zavorra che ci appesantisce la marcia. È gente che può tradire e che nell'intimo tradisce. È meglio averli di fronte che al fianco. Non sono oggi un pericolo, ma sono certamente una molestia, e in dati casi possono diventare una insidia. Il Fascismo è un esercito in cammino; deve essere dunque garantito con le più elementari misure di sicurezza. I massoni che dormono, potrebbero risvegliarsi. Eliminandoli, si è sicuri che dormiranno per sempre! Anche tutti i residui dei vecchi partiti distrutti vanno considerati con diffidenza e comunque respinti anche dai margini del Regime. Il Regime doveva estendersi e dilatarsi il più vastamente possibile; ora il Partito deve accentuare invece la sua fisonomia e la sua psicologia di combattimento, poiché il combattimento continua. Non solo, ma non avrà tregua. Più durerà il Regime e più la coalizione dell'antifascismo ricorrerà ai mezzi della disperazione. La lotta fra i due mondi non ammette compromessi, il nuovo ciclo che comincerà con l'anno IX pone ancor più in risalto la drammatica alternativa. O noi o loro. O le nostre idee o le loro. O il nostro Stato o il loro! Il nuovo ciclo è di maggiore durezza! Chiunque lo abbia diversamente interpretato, è caduto in un grave errore d'incomprensione o di fede!

Camerati!

Ciò vi spiega come la lotta si svolga ormai sopra un terreno mondiale e come il Fascismo sia all'ordine del giorno in tutti i paesi, qua temuto, là implacabilmente odiato, altrove ardentemente invocato. La frase che il Fascismo non è merce d'esportazione, non è mia. È troppo banale. Fu adattata da qualcuno a lettori di giornali che per capire hanno bisogno di espressioni della pratica mercantile. Comunque va corretta. Oggi io affermo che il Fascismo in quanto idea, dottrina, realizzazione, è universale; italiano nei suoi particolari istituti, esso è universale nello spirito, né potrebbe essere altrimenti. Lo spirito è universale per la sua stessa natura. Si può quindi prevedere una Europa fascista, unì Europa che ispiri le sue istituzioni alle dottrine e alla pratica del Fascismo. Una Europa cioè che risolva, in senso fascista, il problema dello Stato moderno, dello Stato del XX secolo, ben diverso dagli Stati che esistevano prima del 1789 o che si formarono dopo. Il Fascismo oggi risponde ad esigenze di carattere universale. Esso risolve infatti il triplice problema dei rapporti fra Stato e individuo, fra Stato e gruppi, fra gruppi e gruppi organizzati. Per questo noi sorridiamo quando dei profeti funerei contano i nostri giorni. Di questi profeti non si troverà più non solo la polvere, ma nemmeno il ricordo, e il Fascismo sarà vivo ancora. Del resto ci occorre del tempo, moltissimo tempo, per compiere l'opera nostra. Non parlo di quella materiale, ma di quella morale. Noi dobbiamo scrostare e polverizzare, nel carattere e nella mentalità degli italiani, i sedimenti depostivi da quei terribili secoli di decadenza politica, militare, morale, che vanno dal 1600 al sorgere di Napoleone. È una fatica grandiosa. Il Risorgimento non è stato che l'inizio, poiché fu opera di troppo esigue minoranze; la guerra mondiale fu invece profondamente educativa. Si tratta ora di continuare, giorno per giorno, in questa opera di rifacimento del carattere degli italiani. Si deve, ad esempio, al costume di quei due secoli la leggenda che gli italiani non si battessero. Ci volle il sacrificio e l'eroismo degli italiani, durante le guerre di Napoleone, per dimostrare il contrario. Gli italiani del primo Rinascimento, infatti, gli italiani dei secoli XI, XII e XIII, erano nature ferrigne, che nel combattimento portavano tutto il loro coraggio, il loro odio, il loro furore. Nessun popolo ha, come l'italiano, il coraggio di rischiare la vita. Ma l'eclissi dei secoli della decadenza pesa ancora sul nostro destino. Poichè ieri, come oggi il prestigio delle nazioni è determinato in linea quasi assoluta dalle loro glorie militari, dalla loro potenza armata. Accanto a quest'opera che è il mio tormento e la mia meta e che potrebbe prendere a motto i verbi: lavorare, odiare, tacere - procede l'altra. Nel 1932, decimo annuale della Rivoluzione, lavori di grande mole saranno compiuti. Cinquanta Battaglioni di Camicie Nere si aduneranno a Roma insieme con 50.000 giovani fascisti e i novemila gagliardetti dei novemila Fasci di Combattimento. Roma vedrà la più grande adunata di armati dei suoi tre millenni di storia. Altre grandi adunate saranno tenute a Milano, Perugia, Napoli. Ma per il 1932, camerata Giuriati, voi mi avrete aumentato ancora di più la forza morale e materiale del Partito. L'opera di epurazione deve continuare. A questo proposito, le attenuanti devono essere sempre accordate alle Camicie Nere della vigilia, ai camerati che sono ancora pronti a rischiare la vita per il Fascismo, non agli eroi della sesta giornata, che sono venuti al Fascismo quando oramai le ore di tempesta erano passate, capaci di tagliare la corda se quelle ore tornassero!

Camerati!

Questo è il consuntivo dell'anno VIII. Questo è il viatico per l'anno IX. Viatico di combattimento, come sempre. E il combattimento esige la concordia, la disciplina, lo spirito di sacrificio, la fraternità grande di coloro che hanno la stessa fede e combattono contro gli stessi nemici. Data l'ampiezza e la durezza crescente della lotta fra Fascismo e antifascismo, tutto ciò che può appesantire o diminuire il Partito dev'essere evitato. Non è più il momento delle piccole cose: le questioni locali non devono assorbire più tempo ed energie di quanto non sia strettamente necessario. Chi non intende o non si piegherà a questa inderogabile esigenza, si pone automaticamente al di fuori della mentalità e dei ranghi del Fascismo. L'anno IX comincia con un atto di fede il cui significato è imponente. I battaglioni della M. V. S. N. - prima di conoscere le decisioni del Gran Consiglio - hanno preso l'impegno di servire per dieci anni e praticamente per tutta la vita. Vi é oggi, nel mondo, una gioventù che abbia una fede più pura e più alta? V'è nel mondo qualche cosa che rassomigli anche da lontano a questa dedizione? Le avanguardie dell'Italia di domani sono già pronte. Recentemente uno scrittore straniero, dopo aver assistito alle prove di una squadriglia di nostri intrepidi aviatori, così ha raffigurato l'Italia Fascista: "La Penisola oggi è un immenso campo in cui milioni di uomini si allenano silenziosamente sulla terra, sul mare, nel cielo, nelle scuole, negli stadii, nelle chiese, per il grande sacrificio della vita, per la rigenerazione della stirpe, per l'eternità latina, per la grande battaglia che avrà luogo o domani, o mai. Si ode un sordo rumore simile ad una immensa legione che marcia". Esatto. L'Italia Fascista è una immensa legione che marcia sotto i simboli del Littorio verso un più grande domani. Nessuno può fermarla. Nessuno la fermerà.

Questo è il messaggio per l'anno che comincia domani: IX dell'Era Fascista.