Sunday 4 March 2012

Discorso alla Camera, 3 marzo 1930

Commemorazione del quadrumviro Michele Bianchi

di Benito Mussolini

Onorevoli Camerati!

Durante quindici anni Michele Bianchi ha collaborato con me, ha diviso la mia fatica, ha camminato verso la stessa mèta. È il quindicennio, glorioso e sanguinoso, della guerra e della Rivoluzione fascista. È tutta una vita o la parte più importante di una vita. Lascio ai biografi di professione il Bianchi di prima del 1914 e intendo, invece, di evocare dinanzi a voi il Bianchi dei Fasci di azione rivoluzionaria del 1915, dei Fasci di combattimento del 1919, così come mi è apparso nella consuetudine del lavoro comune e nelle vicende di una lunga battaglia, che ha duramente provato il fisico e il morale degli uomini che l'hanno sostenuta. La personalità politica e spirituale di Michele Bianchi si presenta nella mia memoria con contorni nettissimi, con caratteristiche precise.

Lo rivedo nella redazione tumultuaria di un giornale in via Paolo da Cannobio, alla tribuna per una adunata di popolo, come a Napoli, in una riunione di capi, come il 16 ottobre del '22 in via San Marco, a Milano, alla testa di un Ministero.

Che cosa lo distingue? La sua è una intelligenza meditativa. Il prorompere degli entusiasmi è frenato in lui dalla ragione e dal senso acuto di responsabilità. Più questa aumenta e meno egli parla o scrive. Mònito a quei fascisti, i quali talora sembrano dimenticare che quando un Partito è diventato Regime e governa un Popolo, ogni capo o gregario deve seriamente ponderare non solo gli atti, ma anche le parole.

Michele Bianchi è un fedele come tutte le Camicie nere che si sono battute disinteressatamente per il trionfo del Regime. Non mi ha mai presentato il conto delle sue benemerenze fasciste, pur grandissime e indiscutibili; non mi ha mai poste delle « condizioni » alla sua obbedienza, delle riserve alla sua disciplina; non ha mai preteso che la sua « prima ora » veramente autentica, la sua intransigenza sostanziale, e non formale, si convertissero in un privilegio o in una « carriera ».

Dopo la Marcia su Roma, che Egli aveva politicamente preparata e come Segretario del Partito e come Quadrumviro, Egli accetta tranquillamente un posto di secondo piano, a carattere piuttosto burocratico: quello di segretario generale del Ministero degli Interni; di lì passa al Consiglio di Stato. Lieto di servire il Regime quando lo chiamo al Sottosegretariato dei LL. PP., con lo stesso animo torna agli Interni; e quando, dopo il Sottosegretariato agli Interni, va a dirigere, come Ministro, il Dicastero dei LL. PP., Egli mi ringrazia con le laconiche righe di un uomo che, avendomi seguìto senza eclissi e pentimenti da 15 anni, può esprimere la sua devozione con una sillaba.

Dirigente del Partito e membro del Governo, Michele Bianchi è un lavoratore, tenace e metodico, che fa le lunghe ore di ufficio, che studia a fondo le questioni, che dà a tutti un luminoso esempio del come si debba compiere il proprio dovere senza calcoli e senza restrizioni.

Egli non si è risparmiato. Non ha voluto risparmiarsi nemmeno quando il male lo aveva preso e piegato.

Fascista integrale, uomo della Rivoluzione, Egli ha il senso, vorrei dire religioso, dello Stato, autorità suprema in cui tutto si accentra e si armonizza: individui e gruppi, passato e futuro, spirito e materia.

Egli sa che lo Stato ha bisogno di servitori leali, disinteressati e pronti anche alla fatica più oscura e più ingrata. Ognuno di noi è tratto più facilmente a ricordare Michele Bianchi giornalista, Segretario del Partito, Deputato e Ministro; ma quando saranno pubblicati i suoi scritti e i suoi discorsi si vedrà da quale maturata e profonda concezione fosse ispirata la sua diuturna attività organizzativa e politica.

In lui le ideologie del vecchio mondo erano tramontate, senza ritorni o rimpianti. Aveva bruciato i ponti: non ha mai avuto ricadute nel demoliberalismo. Talvolta, quantunque uccisa negli Istituti, la mentalità demoliberale rivive in alcuni stati d'animo e atteggiamenti mentali. Egli fu uno dei protagonisti della Rivoluzione fascista. Si comprende che l'antifascismo abbia vanamente tentato di morderlo. Ma la calunnia sordida sempre spuntò il suo dente avvelenato contro l'assoluta integrità morale di lui, poiché ben di Michele Bianchi si può sicuramente dire che non si servì mai del Fascismo, ma lo servì in umiltà, con tutte le forze, in tutti i momenti calmi o tempestosi, a seconda degli eventi, con le audacie rivoluzionarie o con le rinuncie silenziose, sino agli ultimi istanti della sua vita.

Voglio anche ricordare il « modo » della sua fine. L'uomo che aveva strenuamente combattuto per un decennio sotto i duri simboli delle verghe e della scure, volle cattolicamente morire nel conforto dei riti e delle speranze, della millenaria religione del Popolo italiano. Il Popolo di Roma e le Camicie nere di tutta Italia, ora è un mese, tributarono al Quadrumviro onoranze grandiose e indimenticabili. Esse ebbero un carattere severamente guerriero e rivoluzionario. All'appello rispose il grido affettuoso di una moltitudine e fu così alto da coprire per un istante il rombo potente dei motori.

Ora Michele Bianchi, l'amico, il camerata, dorme per sempre nella sua terra di Calabria, ma vive nei nostri spiriti e vivrà nella storia di questo secolo, che è il secolo del Fascismo.