Sunday 4 March 2012

Discorso di Roma, 4 novembre 1929

Ai mutilati d'Italia

di Benito Mussolini

Camerati! Commilitoni!

Dopo una notte temporalesca, durante la quale il tuono sordo rotolante lontano ricordava i preparativi delle grosse artiglierie prima delle azioni, questa fulgida mattinata di sole è d'ottimo auspicio per il vostro Congresso, il quale trae il suo particolare significato dal fatto che si riunisce in Roma e nell'annuale della Vittoria.

Non vi parlerò a lungo, non solo perchè in questi ultimi tempi ho dovuto pronunciare ben quattro discorsi; e ne ho quasi un grandissimo rimorso, ma anche perché il vostro capo, l'on. Delcroix ha parlato in modo suggestivo, vibrante, commovente, che ci ha preso tutti. Egli ha rievocato la storia della vostra gloriosa Associazione, anno per anno.

Io sono un po' di casa vostra, perché ho visto nascere la vostra Associazione a Milano nell'aprile del 1917, e subito dopo, quando un'ora triste passò nel cielo della Patria, i mutilati di guerra, rispondendo all'appello del dovere, corsero verso le trincee, ridiedero il morale alle fanterie italiane e collaborarono alla Vittoria.

Negli anni successivi, l'Associazione dei mutilati e invalidi è stata sempre al suo posto e ha resistito a tutte le lusinghe dei Governi che avevano rinnegata la Vittoria, ha stroncato in pieno un movimento di secessione per cui, davanti al sacrificio, si voleva fare una ridicola e grottesca distinzione di borghesi e di proletari, di ufficiali e di soldati. Dopo la Marcia su Roma, è una di quelle che io considero le forze fondamentali del Regime fascista.

Il vostro cómpito non è finito: oserei dire che comincia adesso, perché, man mano che si allontanano l'epoca della guerra e l'epoca della Rivoluzione fascista, vengono su nuove generazioni che non hanno vissuto questi avvenimenti, dei quali hanno un'eco più o meno esatta, più o meno lontana. Grande sventura sarebbe per la Patria il giorno nel quale queste giovani generazioni cedessero allo scetticismo, al materialismo, all'edonismo, che mortificano l'anima di altri popoli contemporanei. Solo in Italia, o camerati, c'è ancora il culto della Vittoria; solo in Italia, Combattenti e Mutilati sono forze unitarie che rinverdiscono la gloria della Vittoria: in altri Paesi, - non parlo solo dei Paesi vinti, ma anche dei vincitori -, tutto ciò ormai è lontano ed è annegato in un vacuo letterario pacifondismo, contro il quale, nel nostro indimenticabile maggio 1915, noi scagliammo tutfi i nostri fulmini e gettammo tutta la nostra passione. Questi giovani noi li dobbiamo curare attentamente, perché non avvenga che si guastino nello spirito.

Chi, meglio di voi, può compiere quest'opera di educazione? Nelle città e nei villaggi voi rappresentate il sacrificio compiuto. La vostra mutilazione, la vostra invalidità è un discorso che tutti comprendono, è una eloquenza che arriva al cuore di tutti. Voi potete raccontare che cosa è stata la guerra, voi potete dire quanti e quali sacrifici siano stati necessari per raggiungere la Vittoria, voi potete confermare a tutti questi giovani e a tutto il popolo italiano che quando si è tanto sofferto e combattuto, la Vittoria diventa un patrimonio sacro, intangibile e inviolabile, che tutte le generazioni devono rispettare e aumentare. Dovete essere in questo senso i maestri e gli educatori del popolo italiano, e sono sicuro che adempirete questo compito.

La vostra offerta d'oggi ha un particolare significato; voi offrite una somma che è ingente: date quattro milioni all'Erario, e questo avviene - e ciò va sottolineato - mentre molti poltroni, molti vociferatori e molti disfattisti pretenderebbero che l'Italia nuotasse nell'abbondanza, quando tutti i Paesi del mondo, non esclusi i più ricchi, attraversano delle crisi formidabili.

Si tratta sempre più di quei disfattisti che noi incontrammo e flagellammo durante la guerra e dopo la guerra, si tratta di coloro che non hanno fede; di coloro che non hanno coraggio, di quelli che hanno paura della propria ombra. Ma oggi c'è un Governo che prende questi dubitosi eterni, questi scettici incorreggibili e potentemente li spinge avanti.

Tutte le volte che nella meccanica sociale si giunge a quello che i fisici chiamano il punto morto, ci vuole lo spintone della violenza per mandare avanti sia gli individui, sia il popolo.

Il vostro presidente vi ha detto che se ci fossero stati dei Governi differenti le fasi della guerra sarebbero state diverse. Lo credo anch'io. Non vi dico nulla di misterioso, nulla di stupefacente, se vi dico che se io avessi avuto la grande e terribile veùtura di dirigere la Nazione durante la guerra, avrei, tra l'altro, applicato i miei convincimenti, le mie dottrine: prima di tutto avrei spazzato inesorabilmente dalla circolazione tutti i seminatori di panico e di discordia e li avrei cacciati al muro, esempio ammonitore e salutare a tutto il popolo. Finalmente avrei dato anche alla popolazione del retrofronte la necessaria, severa 'disciplina di guerra: avrei tolto quel divario che ci faceva tanto male, quando ritornavamo per i 15 giorni di licenza, fra la trincea dove si soffriva, si faticava, si sanguinava nel fango, e le città dove si conduceva la vita brillante, leggera, e insultatrice dell'esercito che si batteva. Poi avrei rastrellato dagli stabilimenti e dalle officine tutti gli uomini validi, che s'erano troppo facilmente abituati a fabbricare dei proiettili, pensando che era molto più difficile e pericoloso spararli.

Ma i popoli e gli individui non avrebbero avvenire se non facessero tesoro prezioso dell'esperienza del passato; quindi è evidente che noi non ripeteremmo quegli errori perché li abbiamo vissuti e li documentiamo oggi nella nostra coscienza: siamo fermamente decisi a non ripeterli.

Camerati!

Si parla molto di pace nel mondo: oserei dire troppo. Ma questo non ci deve minimamente illudere, anche perché nessuno francamente ed effettivamente disarma. Noi siamo un popolo che sale: ne ho la profondissima convinzione. In questi ultimi tempi, dall'esame attento dei dati della nostra vita nazionale, mi sono convinto che noi stiamo veramente diventando quegli Italiani che Massimo d'Azeglio augurava all'Italia.

Di quest'Italia siete la parte più eletta, siete la vera e propria aristocrazia. Da questa vostra adunata sale un monito, ed è questo: che, se necessario, tutti i combattenti sono pronti a combattere e a vincere ancora.