Saturday 3 March 2012

Discorso alla Camera, 8 giugno 1923

I primi sei mesi di governo

di Benito Mussolini

Il discorso che ho l'onore di pronunziare dinanzi alla vostra alta assemblea potrà apparire analitico, perché si propone di toccare parecchie questioni, e di dire parole decisive su parecchi problemi, specialmente in materia di politica interna.

Con che non mi illudo di potere convincere quelli che sono gli oppositori di professione o per temperamento personale. Non vi stupirà se io comincio dalla politica estera anche se, per avventura, sia questa la materia in cui una opposizione seria e fondata non esiste, per cui si può legittimamente affermare che questa politica raccoglie la quasi unanimità nazionale.

Come già dissi altra volta, le direttive generali della politica estera dell'attuale Governo sono ispirate dalla necessità di una progressiva rivalutazione della nostra posizione diplomatica e politica nell'Europa e nel mondo.

Sta di fatto che, salvo le acquisizioni territoriali con confini al Brennero e al Nevoso, confini strappati dopo una lunga e sanguinosa guerra vittoriosa, l'Italia è stata esclusa, nella pace di Vesailles, e nelle altre successive, dai benefici di ordine economico e coloniale.

Patti solenni e firmati durante la guerra passarono in decadenza e non furono sostituiti.

La posizione di inferiorità fatta all’Italia ha pesato e pesa ancora molto sulla economia del nostro popolo. Ma è inutile ora insistere sulle recriminazioni del passato: bisogna piuttosto cercare di riguadagnare il terreno e il tempo perduto. Non vi è dubbio che dall’ottobre ad oggi, malgrado le vecchie nuove difficoltà, la situazione è notevolmente migliorata.

Le altre Potenze, alleate o non, sanno che l’Italia intende seguire una politica di energica, assidua tutela dei suoi interessi nazionali: intende essere presente dovunque siano direttamente o indirettamente in giuoco i suoi vitali interessi, perché questo è il suo diritto e il suo preciso dovere. Ma nello stesso tempo è favorevole a quella azione politica di ordine generale che tende a normalizzare il più sollecitamente possibile la situazione economica nel nostro continente.

L’Italia, che pure cammina alacremente verso il suo riassetto, vede continuamente turbata questa rinascita da elementi estranei di ordine generale. Giudico che ci sia un preciso interesse italiano nell’afrettare la soluzione pacifica della crisi europea. Ora tale crisi dal Trattato di Versailles in poi è dominata dal fatto riparazioni.
Innanzi a tale problema la posizione fondamentale dell’Italia è la seguente:

1) La Germania può e deve pagare una somma, che ormai appare universalmente precisata, e che è assai lontana dalle molte centinaia di miliardi, di cui si parlò all’indomani dell’armistizio.

2) L’Italia non potrebbe tollerare spostamenti o rivolgimenti di ordine territoriale che conducessero ad una egemonia di ordine politico, economico e militare.

3) L’Italia è disposta a sopportare la sua quota parte di sacrificio, se ciò si renderà necessario ai fini di quella che, ordinariamente, si chiama la ricostruzione della economia europea.

4) Il Governo italiano sostiene oggi più che mai, soprattutto di fronte all’ultima nota tedesca, che il problema delle riparazioni e quello dei debiti interalleati europei sono intimamente connessi ed in certo senso interdipendenti.

Non vi è dubbio che la occupazione della Ruhr ha portato alla acutizzazione strema la crisi delle riparazioni e quindi in un certo senso ne ha affrettata la soluzione.

Vale certamente la pena di precisare nelle loro linee essenziali i termini del progetto italiano, inglese e tedesco per avere il quadro della situazione nelle sue coincidenze, nele sue diversità e trarre qualche previsione circa la possibilità di un accordo.

Ciò verrà anche a spiegare come a Parigi l’Italia non abbia potuto accettare il progetto Bonar Law, e come abbia dovuto respingere il recente memorandum Cuno-Rosemberg.

Il progetto italiano di Londra riduceva il debito tedesco a cinquanta miliardi di marchi-oro. Proponeva una moratoria di due anni, durante la quale sarebbe continuata la consegna di riparazioni in natura da parte della Germania. Accettava la ripartizione dei pagamenti tedeschi, secondo le quote di Spa, per cui la quota italiana sarebbe stata di cinque miliardi di marchi–oro. Stabiliva il pagamento di una parte dei buoni C, mediante i valori corrispondenti, dagli altri stati ex nemici o mediante l’annullamento di una parte di una parte di detti buoni, uguale all’importo del debito verso l’Inghilterra che sarebbe rimasto così annullato.

La restante trancia dei Buoni C sarebbestata impiegata nei riguardi del debito verso l’America. Ammetteva la presa di pegni economici a garanzia dei pagamenti tedeschi.

Il progetto inglese, presentato da Bonar Law a Parigi, manteneva i cinquanta miliardi di riduzione del debito tedesco: ma ne ripartiva fra gli alleati solo quaranta, gli altri dieci dovevano servire al pagamento delle spese per le armate di occupazione eper il rimborso alla Francia, agli Stati Uniti ed all’Inghilterra del debito di guerra belga.

Lo stesso progetto cancellava il debito italiano vero il Tesoro inglese, ma domandava all’Itali aun miliardo e mezzo di marchi-oro di riparazioni sui quattro assegnatile e la rinunzia del mezzo miliardo di lire-oro che si trovava in deposito a Londra.

Concedeva alla Germania una moratoria di quattro anni e riduceva le forniture in natura a limitatissime quantità di carbone.

Prospettava un debito supplementare tedesco, capitalizzando al 1923, in una cifra di altri diciassette miliardi, gli interessi non pagati sui cinquanta durante i quattro ani di moratoria, ma sottoponeva la possibilità di questo debito sopplementare al giudizio di una commissione internazionale, di guisa che la sua consistenza appariva assai dubbia. Domandava indine l’impegno, per ciò che si riferisce al pagamento delle riparazioni dovute dall’Austria, dalla Bulgaria e dall’Ungheria, di accettare le proposte che l’Inghilterra si riservava di avanzare, proposte, cioè, di annullamento di quei debiti, come risultato dalle dichiarazioni successive.

La quota italiana di riparazioni che il progetto italiano fissava in cinque miliardi di marchi-oro, si riduceva così nel progetto inglese a ameno della metà; mentre annullando i buoni C si aboliva con nostro danno, da un lato, la solidarietà tedesca sui debiti minori ex-nemici, e si rendeva, dall’altro, impossibile l’esecuzione dell’accordo del marzo 1921, che assicurava seri vantaggi all’Italia sulla base, dei Buoni C. La maggiore percentuale sui 17 miliardi rappresentanti gli interessi di moratoria, capitalizzati al 1923, non poteva servire nei riguardi dei debiti americani, dato il carattere aleatorio di questo 17 miliardi. Non ricordo tutto ciò per aprire o riaprire polemiche, ma soltanto per precisare i termini di quello che fu e rimane un tentativo notevole di trovare una soluzione alla grave questione, tentativo che contiene elementi pregevoli, che potranno essere utilmente ripresi nel caso di una sistemazione definitiva.

Alla presentazione del progetto inglese seguì a breve distanza la conclusione di accordi tr al’Inghilterra e l’America sul progetto dei debiti ad opera dell’allora Cancelliere dello Scacchiere ed oggi Primo Ministro britannico.

Esula da questa sistemazione ogni idea di cancellazione del debito tedesco o anche di una semplice compensazione attraverso la riscossione delle riparazioni: l’obbligo del pagamento, sia pure con agevolazioni, e per il numero degli anni in cui esso deve avvenire e per gli interessi da corrispondere, vi viene solennemente affermato e tradotto in atto.

Il discorso della Corona inglese mise d’accordo in speciale rilievo: né esso, pure fatta la debita parte alla diversità di potenza economica ed alla somma di sacrifici sopportati, poteva rimanere senza effetto sulla va lutazione della intera questione da parte delle altre Potenze europee.

Se all'esame del progetto italiano ed inglese si fa seguire quello del progetto tedesco, la inaccettabilità dell'ultimo appare evidente. Come è noto, gli elementi fondamentali del penultimo progetto tedesco sono i seguenti: consolidamento del debito attuale della Germania, specie in natura, nella cifra di venti miliardi marchi oro, più altri dieci il cui pagamento è subordinato al giudizio di una Commissione internazionale.

Detratti gli interessi, gli stessi venti miliardi si riducono a quindici e le somme occorrenti devono essere date da prestiti internazionali; nel caso molto probabile che per il 1927 i venti miliardi non siano sottoscritti, si effettuerà il pagamento di una annualità rappresentante il quindici per cento di interesse più l'uno per cento di ammortamento. Manca infine nel progetto tedesco ogni disposizione e norma nei riguardi della garanzia richiesta.

Il debito capitale tedesco che nel progetto inglese ed in quello italiano veniva fissato nella cifra di cinquanta miliardi, nel progetto tedesco è ridotto a meno di un terzo.

Difficile, se non impossibile, determinare la quota italiana in un simile progetto ed il sacrificio che all'Italia si domanda.

Date le sollecitatorie, specialmente dell'Inghilterra e dell'Italia, la Germania ha riconosciuto insufficienti le sue proposte, e ieri sera l'ambasciatore Neurath mi ha presentato la nuova nota tedesca, sul contenuto e natura della quale non posso pronunciarmi per motivi evidenti di riserbo; dovendo, attorno alla medesima nota, iniziarsi e svolgersi un'attività diplomatica fra tutti gli Alleati. Mi limiterò a dire soltanto che nella nota tedesca non si richiede più, per trattare, la preventiva evacuazione della Ruhr, il che potrebbe far credere ad una rinunzia da parte della Germania a quella resistenza passiva la cui utilità, anche ai fini tedeschi, appare sempre più dubbia, la cui cessazione gioverebbe forse a un più rapido raggiungimento della soluzione.

Ma il problema delle riparazioni non è soltanto francotedesco: è anche ungherese, bulgaro ed austriaco. è inutile precisare a che punto sia la situazione nei confronti di questi tre paesi ex-nemici.

L'ammontare delle riparazioni ungheresi, che non fu fissato dal trattato di pace del Trianon, non è stato ancora determinato dalla Commissione delle riparazioni e l'Ungheria a tutt'oggi non ci ha dato che limitate forniture in natura.

Il Governo ungherese, allegando le disagiate condizioni economiche e finanziarie del paese, denunciate dalla grave svalutazione della corona, ha di recente prospettato la necessità di contrarre un prestito all'estero che per riuscire dovrebbe essere garantito sulle dogane, sul monopolio dei tabacchi e all'occorrenza su altri cespiti di entrata. Da qui il bisogno che tali cespiti siano liberati per un adeguato periodo di tempo dal vincolo delle riparazioni.

Un memoriale appunto in tal senso è stato presentato recentemente dal Ministro d'Ungheria in Parigi alla Commissione delle riparazioni.

Il Governo italiano, esaminata la questione dal punto di vista tecnico, ha ritenuto che fosse indispensabile concedere all'Ungheria la temporanea liberazione di alcuni cespiti, affinché essa possa procedere alla propria restaurazione economica, mediante prestiti da contrarre all'estero.

Si è mostrato quindi in massima favorevole da parte sua all'anzidetta domanda ungherese, circondando la concessione di alcune condizioni necessarie a garantire i propri diritti. Ed in ciò si è trovato d'accordo col Governo britannico.

La Commissione delle riparazioni, che ha negli ultimi giorni del maggio scorso discusso quella domanda, ha accettato a maggioranza la tesi francese della Piccola Intesa, nel senso di non opporsi alla richiesta inglese di sospensione temporanea del privilegio sui redditi ungheresi, necessari per garantire i prestiti autorizzati: ma di non accordare tale facilitazione se non a condizione che una parte del ricavato dei prestiti fosse destinata alle riparazioni. L'Italia e l'Inghilterra non hanno creduto di aderire a tali condizioni, perché risultava in modo positivo che i prestatori esteri non avrebbero in alcun modo consentito l'operazione, se il ricavo del prestito non fosse stato destinato unicamente alla restaurazione economica del paese debitore.

La Commissione delle riparazioni ha stabilito inoltre di inviare subito in Ungheria una Commissione, per esaminare sopra luogo la situazione finanziaria ed economica del paese.

L'Ungheria ora insiste nel far presente che a tali condizioni non le riesce di contrarre il prestito e che di conseguenza la sua posizione va ognor più aggravandosi. Mentre la Commissione suddetta prepara il suo responso, non è escluso che la Commissione delle riparazioni possa esaminare contemporaneamente alcune transazioni complementari.

Nei riguardi delle riparazioni bulgare l'Italia, la Gran Bretagna e la Francia il 31 marzo scorso sono addivenute ad un accordo con il Governo bulgaro, per facilitargli il modo di pagamento del suo debito di duemila duecentocinquanta milioni di franchi oro, fissato dal Trattato di Neuilly, col dividerlo in due parti, l'una di cinquecentocinquanta milioni da pagarsi ratealmente a cominciare dall'ottobre di quest'anno e l'altra di mille settecento milioni da reclamarsi non prima di 30 anni. La Bulgaria si è obbligata con questo accordo a riservare al regolamento del suo debito i proventi delle sue dogane, ed ha già all'uopo emesso una legge.

L'accordo è stato approvato anche dalla Commissione delle riparazioni, con la riserva dei nostri diritti per il rimborso delle spese delle armate di occupazione italiane.

In effetto sono in corso negoziati col Governo bulgaro per il regolamento di detto nostro credito, che gode del privilegio della priorità sulle stesse riparazioni.

Il Regio Governo, animato da favorevoli disposizioni in tutto quanto concerne la sistemazione degli obblighi dipendenti dalla guerra, non ha avuto difficoltà ad accettare un tale accordo, che costituisce una forma di impegno concreto, garantito da un reddito sufficiente ad assicurarne l'esecuzione.

Mantenendo l'impegno assunto dai suoi predecessori, coi protocolli di Ginevra del 4 ottobre 1922, il Governo italiano ha dato opera coi Governi firmatari dei protocolli stessi, che il prestito a favore dell'Austria avesse una pronta e larga realizzazione.

A tal uopo ha consentito a postergare per 20 anni, quanto è la durata del prestito, il privilegio verso l'Austria per ricuperi di danni e per buoni di rifornimento alimentare; ha dato nella misura del 20,5 per cento la propria fideiussione ad un prestito massimo di cinquecentottantacinque milioni di corone oro ed ha autorizzato le banche italiane a concorrere direttamente al prestito, sino al limite massimo di duecento milioni di lire, ivi compresi i settantotto milioni di lire che l'Italia aveva antecedentemente prestati all'Austria e che a termini del protocollo di Ginevra avrebbero dovuto essere rimborsati in contanti.

Per il servizio del prestito sono stati pignorati, oltre quelli delle dogane e altri minori, i redditi lordi dei tabacchi austriaci, e perché essi fossero realmente rimunerativi e tali da non fare possibilmente appello alla fideiussione degli Stati garanti, i Governi di Inghilterra e di Francia hanno consentito che l'Amministrazione dei tabacchi venga dal Commissario generale affidata ad un italiano, riconoscendo con ciò implicitamente l'eccellenza della nostra Regia.

Concedendo le accennate facilitazioni per le riparazioni austriache ed accordando una fideiussione ad un concorso diretto e cospicuo al prestito a favore dell'Austria, il Governo italiano ha voluto offrire il suo concorso a quell'indipendenza politica ed integrità territoriale della Repubblica d'Austria a cui accennano i protocolli di Ginevra, ed a cui, voglio notare, hanno anche contribuito gli Stati Uniti d'America, sottoscrivendo fiduciosi per la prima volta ad un prestito europeo.

L'azione politica dell'Italia verso gli Stati della Piccola Intesa, e in genere verso gli Stati successori, è ispirata sostanzialmente dall'opportunità di eseguire il rispetto e l'osservanza scrupolosa dei trattati, perché, nelle attuali contingenze, solo tale politica può recare buoni e rapidi frutti per una sistemazione economica degli Stati danubiani che contribuirebbe a quella più larga dell'Europa Centrale. In varie occasioni l'azione amichevolmente moderatrice dell'Italia si è svolta in tal senso con utili risultati.

Nei riguardi di tale politica hanno speciale importanza i rapporti dell'Italia con la Jugoslavia. L'atteggiamento netto assunto dal Governo nei riguardi della Jugoslavia, col procedere alla definitiva applicazione del Trattato di Rapallo, avendo fortificata la nostra posizione di fronte al diritto, ci ha messo in grado di poggiare su una solida base ogni ulteriore sviluppo della nostra politica.

L'esecuzione delle convenzioni di Santa Margherita, naturalmente laboriosa per la vastità della materia che investe, può dirsi che procede, in generale, in modo soddisfacente.

Malgrado le difficoltà iniziali in ogni regime eccezionale, funziona, già dal tempo dello sgombero degli ultimi territori dalmati, il regime economico della cosiddetta « zona speciale » di Zara, e sono stati costituiti vari organi pel regolamento di tutta la complessa materia, oggetto delle convenzioni.

Ma, naturalmente, la questione più importante da sistemare è quella di Fiume. Essa, come è noto, presenta le più gravi difficoltà, implicando, per assicurare l'avvenire della vita economica della città, la soluzione di molti complessi problemi di carattere economico, spesso contrastanti con quelli di carattere politico. Certo, sulla speditezza della soluzione di tale questione ha gravemente pesato la recente lunga crisi parlamentare jugoslava, che per molto tempo ha dovuto raccogliere quasi esclusivamente sui problemi interni l'attenzione del Governo di Belgrado. Quel Governo ci ha fatto ripetutamente conoscere i suoi intendimenti di risolvere la questione in modo soddisfacente per i sentimenti e per gli interessi dell'Italia e ci ha anche francamente manifestato quali siano le reali difficoltà che esso incontra per far accettare alle popolazioni interessate la soluzione consona al punto di vista italiano.

Nell'intento di assicurare ai lavori della Commissione paritetica un ambiente di maggior serenità, il Governo di Belgrado ha intanto consentito a trasferirne la sede a Roma.

La delegazione jugoslava è giunta; tra essa e la delegazione nostra, che agisce con alto senso di patriottismo e di probità politica, sono ora in corso preliminari conversazioni allo scopo di concretare alcune basi fondamentali, prima di riprendere le discussioni ufficiali; in modo che queste possano procedere con la maggior possibile speditezza, senza soggiacere a deplorevoli ristagni, altrimenti inevitabili in così ardua materia.

La Conferenza di Losanna che, dopo la nota interruzione del febbraio scorso ha ripreso i suoi lavori il 23 aprile, li va lentamente ultimando, attraverso le non lievi difficoltà di varia natura, dipendenti dalla delicatezza e complessità delle questioni sottoposte al suo esame.

L'azione svolta in ogni circostanza dalla delegazione italiana, è stata sempre improntata alla più serena ed equanime obbiettività, e l'efficacia di essa è stata riconosciuta e generalmente apprezzata al suo giusto valore.

L'Italia non può non considerare quali suoi vitali interessi il pronto ritorno alla normalità dei liberi traffici in Levante, lo sviluppo economico e il civile progresso di tutti i popoli abitanti sulle sponde del Mediterraneo orientale. Quantunque non ancora tutte le questioni in discussione siano state risolte a Losanna, pure, per alcune di quelle che più direttamente interessavano il nostro Paese, si è raggiunta una soluzione in complesso soddisfacente.

La riserva sollevata dal Governo di Angora circa l'attribuzione all'Italia dell'isola di CasteIrosso, il cui possesso da parte nostra non potrebbe in alcun modo giustificare un eventuale sospetto di nostre mire aggressive nei riguardi della Turchia, è stata esplicitamente da questa ritirata.

La nostra bandiera, già salutata fin dal suo apparire nell'isola, come simbolo di tranquillo benessere, continuerà a proteggere nell'avvenire una popolazione, che a noi plebiscitariamente si è affidata. Per la nostra marina mercantile, che attraverso secolare tradizione è la più interessata nei mari del Levante, contribuendo così efficacemente allo sviluppo dei traffici della Turchia, si è potuto ottenere da questa che per due anni, dopo i quali sarà possibile concludere diretti accordi con il Governo turco, siano rispettati i diritti acquisiti in materia di cabotaggio, lungo le coste di quello Stato.

E così, del pari, gli alleati si sono assicurati il rispetto dei diritti acquisiti dai rispettivi connazionali alla data del 1° gennaio 1923, per ciò che concerne l'esercizio delle professioni liberali in Turchia, col riconoscimento dei diplomi da essi conseguiti nei rispettivi paesi di origine.

Tale questione interessava particolarmente gli italiani colà residenti, e per la sua soluzione favorevole la colonia italiana di Costantinopoli mi aveva, con ragione, fatto le più vive premure.

Il Governo italiano ha ottenuto anche che cadessero quelle clausole di interessamento formale del Sultanato, che gli accordi, che chiusero la guerra libica, avevano lasciato sussistere nelle nostre colonie dell'Africa settentrionale, e nello stesso tempo sono stati opportunamente tutelati gli interessi dei sudditi libici residenti in Turchia, i quali sono stati parificati nei. diritti a cittadini italiani.

Della maggiore importanza per la Turchia si dimostrò, fin dall'inizio della conferenza, la questione relativa alla tutela giuridica degli stranieri; la conferenza è stata d'accordo nel definire i termini di tale tutela, concretandola in una formula che stabilisce per un periodo di cinque anni l'assunzione al proprio servizio, da parte del Governo turco, di giureconsulti esteri, a cui è data facoltà di ricevere reclami sui giudicati e sull'operato dei magistrati turchi.

Con tale soluzione, così ampiamente benevola, che accompagna quell'abolizione delle capitolazioni da tanto tempo e tanto insistentemente dai turchi invocata, le Potenze europee hanno, in sostanza, aperto il più largo credito morale alla Turchia, sperando che essa sappia mostrarsi col fatto capace di organizzare rapidamente una.

Amministrazione giudiziaria al livello di quelle europee, e specialmente sappia imporre alle proprie autorità di polizia e giudicanti uno spirito di giustizia superiore ai piccoli interessi, quale Roma seppe insegnare al mondo.

Restano a Losanna tuttora in discussione alcune importanti questioni di interesse generale, quali quelle riferentisi al servizio del debito pubblico ottomano ed altre di natura economica, che mi auguro possano essere rapidamente risolte.

Gli attuali rapporti con la Russia sono regolati dagli accordi preliminari italo-russo ed italo-ukraini del 26 dicembre 1921. Proprio di questi giorni sono stati presentati al Parlamento progetti per la conversione in legge dei Regi decreti del 31 gennaio 1922, con i quali i detti accordi erano stati approvati, e che avevano trovato qualche ostacolo nella loro applicazione pratica, dando pretesto ai russi di violare gli accordi.

Noi non intendiamo così di rimuovere questi ostacoli per rendere più facili i rapporti economici fra i due paesi, e preparare il terreno alla eventualità di una in tesa a base più larga senza soverchie illusioni, ma senza prevenzioni dannose. I contatti tra i due paesi a sistema economico diverso, evidentemente presentano gravissime difficoltà che non sono però insormontabili, se dalle due parti ci sia la buona volontà di rimuoverle. La politica dell'Italia verso la Russia è chiara e non può dar luogo ad equivoci.

La presentazione al Parlamento dei decreti in parola è una prova di più delle nostre intenzioni e ci dà il diritto di attenderci dal Governo di Mosca la scrupolosa osservanza dei patti firmati, e fra i patti firmati è bene che il Governo russo ricordi l'impegno assunto di astenersi da ogni atto o iniziativa ostile al Regio Governo; ed a qualsiasi propaganda diretta o indiretta contro le istituzioni del Regno.

Non credo, per l'economia di questo discorso, scendere ad ulteriori dettagli. Dirò solo che particolarmente cordiali sono i rapporti fra Stati Uniti e Italia, e sono lieto di aggiungere che tanto il Governo quanto il popolo americano hanno pienamente compreso la nuova situazione politica italiana.

L'iniziativa presa dall'Italia, per il definitivo regolamento della frontiera della Polonia, ha sempre più cementati i vincoli di cordiale amicizia che uniscono da secoli i due paesi. Oltre che sul terreno politico, la loro collaborazione continua ad affermarsi anche su quello economico.

In questi stessi giorni il Governo polacco ha fatto all'industria italiana nuove importanti ordinazioni.

1 colloqui ed i contatti da me avuti coi ministri di Austria, Romania, Ungheria, il viaggio recente di S. M. il Re d'Inghilterra, i trattati commerciali conclusi e da concludere sono altrettanti elementi di quella progressiva rivalutazione della nostra posizione diplomatica cui accennavo in principio. Il Governo fascista, sempre ai fini di questa rivalutazione, non appena insediato, an nunciò alle Regie rappresentanze all'estero di ispirare l'azione politica fuori dei confini del paese alla rinnovata coscienza della Patria ed affrontò immediatamente il problema degli strumenti e degli uomini.

Effettivamente l'Amministrazione degli esteri, già di fronte a tante difficoltà esterne, ne trovava una grandissima al suo interno per l'insufficienza numerica dei suoi elementi. Gli strumenti della nostra opera così delicata all'estero dovevano essere rinsaldati, resi atti, come quantità e come spirito, al gran lavoro che da essa si richiede.

Si è quindi disposto fin dai primi di novembre per l'apertura dei concorsi alle carriere diplomatica e consolare ed alla carriera degli interpreti, e si è provveduto poi a circondare il personale di concetto di un servizio amministrativo e d'ordine che esonerasse il primo dalle cure assorbenti della contabilità, della custodia dei documenti e della cifrazione dei telegrammi, tutti cómpiti, che per le responsabilità minute che importano, finiscono col distogliere i funzionari dalle responsabilità più alte e più ampie.

Allo spirito delle carriere si è dedicata particolare attenzione, allargando la base del reclutamento, mediante l'abolizione del requisito della rendita, e riformando la carriera diplomatico-consolare in guisa da darle un reclutamento unico per dividerla poi in due ruoli separati, uno dei quali - il diplomatico - trarrà costantemente un terzo dei suoi elementi da quello consolare mediante passaggi laterali, in qualsiasi grado della carriera.

Al miglioramento dei servizi si è fatta corrispondere una diversa distribuzione di essi per quello che riguarda la rete consolare. Infatti, mentre immense regioni ove affluisce e si è stabilita da tempo la emigrazione italiana, sono state trovate prive di adeguata rappresentanza consolare, in quasi tutte le capitali accanto all'ufficio diplomatico esisteva un ufficio consolare di carriera, il quale, malgrado la sua diversa natura, pur rappresentava una duplicazione nei rispetti della presenza di una diretta tutela del nostro connazionale all'estero.

Senza disconoscere l'utilità di tali consolati nelle capitali, pure, di fronte alla necessità che si risentiva in altri luoghi, è sembrato inevitabile provvedere alla soppressione di essi, per poter invece provvedere alla creazione di altri, senza perdere di mira gli interessi dell'erario.

I nuovi consolati, ché sono in corso di creazione, sorgeranno in maggior parte nel Brasile, negli Stati Uniti, nel Messico e nell'India.

Concludendo, mi piace ripetere che la politica estera italiana, mentre intende salvaguardare gli interessi nazionali, vuole anche costituire nello stesso tempo un elemento di equilibrio e di pace in Europa. Credo, con questa politica, di interpretare le tendenze ed i bisogni del popolo italiano.

Vengo alla politica interna. I problemi dell'ordine pubblico sono i problemi dell'autorità dello Stato. Non v'è autorità dello Stato solida se l'ordine pubblico non è perfettamente normale; quindi ordine pubblico e autorità dello Stato sono i due aspetti dello stesso problema. Io domando a voi, domando alla Nazione: le condizioni dell'ordine pubblico sono migliorate o sono peggiorate dall'ottobre scorso?

Voci. - Migliorate!

Sento che qualcuno di voi dà già una risposta affermativa. Dico anch'io che sono migliorate quantunque io sia per temperamento piuttosto portato al pessimismo, e quindi al malcontento. Non si va mai abbastanza bene! Ma, o signori, quando si parla di ordine pubblico, bisogna stabilire dei raffronti: anche se sia odioso, essi sono necessari. L'inquietudine, il disagio, lo spirito di faziosità non sono soltanto un fenomeno italiano.

Se noi gettiamo l'occhio al di là delle nostre frontiere, abbiamo motivo di ripetere che se Messene piange Sparta non ride.

Prendetemi i popoli vinti e guardate quello che accade in Austria, e in Germania; prendetemi i popoli vittoriosi: è di ieri uno sciopero dei funzionari pubblici nel Belgio che è costato all'erario e all'economia belga centinaia e centinaia di milioni di franchi; se poi rivolgete lo sguardo ai paesi neutrali (Spagna) troverete che anche là la vita non è eccessivamente comoda e brillante. Questo dico per coloro che ad ogni piccolo sparo di rivoltella in uno dei ventimila villaggi d'Italia credono di esser feriti da un colpo di 420. Ma poi soprattutto vale la pena di fare il raffronto in Italia e mettere da una parte la situazione dell'Italia nel biennio 1919-1920 e nel biennio successivo 1921-22. Il fatto dominante del biennio 1919-20 è costituito dall'occupazione delle fabbriche, dallo sciopero rotativo e permanente dei funzionari dei servizi pubblici, da un disgregamento di tutte le funzioni dell'autorità statale; e quantunque sia sommamente ingrato, bisogna pur ricordare che lo stesso nostro gloriosissimo esercito ebbe un episodio, ad Ancona, che dimostra come qualmente il tarlo fosse giunto assai profondo nell'organismo dello Stato italiano.

Fatto dominante di questo biennio, che chiameremo dell'orgia demagogica, l'occupazione delle fabbriche; fatto dominante del biennio successivo è la spedizione punitiva fascista. Vedete che io sono di una obbiettività straordinaria! I fascisti, per necessità di cose, sono andati all'assalto delle città a vaste masse e armati. Oggi tutto ciò è finito, oggi i funzionari dei servizi pubblici non fanno e non faranno sciopero.

Quando i postelegrafonici fascisti sono venuti da me per protestare, perché in seguito ad un telegramma di protesta al mio collega Di Cesarò erano stati puniti, ho detto loro che se fossi stato il collega delle Poste li avrei puniti due volte, e ho detto che, perché fascisti, essi avrebbero dovuto riconoscere la necessità di questa severa disciplina.

La situazione dell'ordine pubblico nel secondo semestre dell'anno decorso raggiunge il suo apice di disintegrazione; c'è nell'agosto uno sciopero: lo sciopero antifascista, sciopero che paralizza completamente lo Stato.

Lo Stato non agisce, agiscono, in vece delle forze dello Stato, le forze del Fascismo. È allora, o signori, che io ho detto che di due bisognava fare uno, è da allora che io ho detto che dal momento che c'era uno Stato inattuale, uno Stato svuotato di tutti gli attributi della sua virilità, e c'è uno Stato in potenza che sorge, fortissimo, che saprà imporre una disciplina alla Nazione, è necessario che ci sia la sostituzione, mediante un atto rivoluzionario dello Stato che sorge allo Stato che declina inesorabilmente.

Lo sciopero antifascista dell'agosto fu seguito dall'occupazione fascista delle città di Bologna e di Bolzano.

L'autorità dello Stato presentava lo spettacolo di macerie, di rovine infinite. Ora la rubrica dei conflitti non appare più sui giornali; e la rissa domenicale non può farsi passare come conflitto: perché conflitto ci sia, deve essere collettivo e politico.

Vi ripeto, onorevoli senatori, sono tosi imparziale da dirvi che in questi ultimi giorni c'è stata una leggera recrudescenza: da che cosa essa dipende? Ve lo dico con franchezza: dalla riapertura della Camera! La sede delle interrogazioni con lo spettacolo che offre alla Nazione, è quella che riverbera e che getta in mezzo alle masse im pulsive, eccitabili, sentimentali, i germi di conflitti e di discordie.

In secondo luogo, l'atteggiamento di una corrente del liberalismo italiano è una grandissima bazza per i sovversivi, perché essi trovano in costoro degli alleati insperati, inopinati, i quali sollevano delle enormi vesciche, che io mi riprometto di bucare con lo spillo della mia logica e della mia sincerità prima di finire il discorso! Poi, forse forse, c'è questo: che certi signori, quando si sono accorti che non hanno più da temere l'illegalismo fascista e il legalismo governativo che è lento, perché deve rispettare tutte le procedure, hanno ripreso baldanza e fanno quell'illegalismo che richiamerà in vita un altro illegalismo fascista.

Quali misure sono state adottate per ristabilire l'ordine pubblico? Prima di tutto il rastrellamento degli elementi così detti sovversivi: si è gridato alle retate in grande stile, ma in realtà è stata cosa assai modesta; su 2000 arrestati quelli che si trovano ancora in carcere non arrivano a 150. Sono affidati completamente alla magistratura: erano degli elementi di disordine e degli elementi sovversivi: può essere che la pratica liberale consenta di lasciar mano libera a questi elementi, ma io non mi sento di seguire questa pratica!

All'indomani di ogni conflitto io davo l'ordine tassativo di rastrellare il maggior numero possibile di armi d'ogni specie e qualità; questi rastrellamenti hanno dato risultati discreti.

Sono stati sequestrati, nel periodo dal marzo alla fine di aprile, armi lunghe da fuoco da guerra, 29.257; armi corte da fuoco 1048; armi da punta e da taglio 7228; armi diverse 249. Munizioni per armi lunghe da fuoco, cartucce 1.110.000; munizioni per armi corte da fuoco, 82.000. Esplodenti diversi 1086 (e cioè bombe, petardi e simili aggeggi). Sono state sequestrate 29 scatole di dinamite; mezza cassetta di gelatina e chilogrammi 30 della stessa gelatina. Ci sono anche le armi comuni sequestrate e cioè: armi lunghe da caccia 2655; corte 2444; armi comuni da punta e da taglio 1089.

Va da sé che questo rastrellamento continua con la maggiore energia.

Poi ho dovuto reprimere ogni atto di illegalismo: si dice che qualche bicchiere di olio di ricino viene ancora distribuito qua e là; ma ho già detto all'altro ramo del Parlamento che i colpevoli di questi reati vengono severamente puniti.

Tutti questi provvedimenti sarebbero stati insufficienti se io non avessi restituito la piena autorità ai prefetti delle provincie. Ripeto ancora una volta che il Prefetto e il Questore sono gli unici legittimi autorizzati rappresentanti dell'autorità dello Stato nelle provincie del Regno. Poi, vincendo le resistenze legittime del mio amico De Stefani, ho migliorato le condizioni dei funzionari di P. S., i quali sono oggi validamente tutelati in senso morale e politico dal Governo.

Ma il problema più spinoso, che ho dovuto affrontare e risolvere e l'ho risolto, è il problema degli squadrismi. Ognuno di questi squadrismi era un grandissimo colpo di piccone all'autorità dello Stato e siccome io penso, per assioma, che lo Stato ha il diritto e il dovere di avere forze armate, ho detto che queste multicolori camicie, ad un dato momento, dovevano essere completamente bandite dalla circolazione. E ce ne erano delle nere, delle azzurre, delle cachì, delle rosse, delle grigie, delle verdi, e delle bianche.

Vi ripeto che non era un problema facile, perché molti di questi squadrismi agivano sul terreno nazionale, comprendevano patrioti, excombattenti, feriti, mutilati e decorati. Ma bisognava finirla, ed allora un decreto del Consiglio dei Ministri ha deciso che dal 1° febbraio tutti gli squadrismi erano aboliti, non si permettevano che squadrismi di gente di età inferiore ai 12 anni. La misura è stata generalmente osservata, ma c'era uno squadrismo speciale che mi poneva avanti ad un problema con riflessi di ordine morale e storico: il problema dello squadrismo fascista. Bisognava disperderlo, dire a questa gente: « andate a casa, tutto è finito »? Non si poteva! Prima di tutto perché sarebbe stata una ingratitudine enorme, in secondo luogo perché sarebbe stato pericoloso; e d'altra parte dovevo trasformare questo squadrismo, che aveva agito sul terreno dell'illegalismo, in un organo che fosse alle dipendenze dirette dello Stato. Ci sono riuscito, non completamente, ma dovete pensare che gli squadrismi sono stati aboliti al 1° febbraio di quest'anno di grazia e non si può in tre mesi prendere dei giovani, che erano stati abituati per due anni ad una ginnastica specialissima, e farne dei soldatini di piombo.

E si è detto: « Perché questa milizia non ha prestato giuramento di fedeltà a S. M. il Re? ». Voi credete che non abbiamo pensato a questo. Errore! Ci siamo decisi in senso negativo, perché abbiamo pensato che la persona del Re, simbolo della Patria, simbolo della perpetuità della patria, non può essere messa a capo di una milizia, che aveva, per necessità di cose, più che per volontà di uomini, un carattere spiccatissimo di partito. Ora questa milizia sta continuamente raffinandosi; si procede ad un'opera severissima di selezione. Del resto la cronaca quotidiana documenta tutto ciò.

C'era un altro problema a proposito dei quadri della milizia. Il problema di contemperare la necessità dei qua dri superiori, che dovevano essere affidati ad uomini provenienti dall'Esercito e con una vasta esperienza militare e personale, col riconoscimento e la gratitudine che si doveva ai piccoli capi dello squadrismo fascista il quale aveva domato, lasciando centinaia di morti gloriosissimi, il sovversivismo demagogico. Abbiamo risolto questo problema. Tutti i gradi di ufficiali superiori a Seniore sono assegnati ad ufficiali che vengono dall'Esercito; tutti i gradi inferiori, quelli che potrebbero essere chiamati i gradi subalterni, e i sottufficiali, sono stati assegnati ad elementi dello squadrismo elle hanno sempre un passato militare e che sempre debbono avere delle qualità morali ineccepibili.

Del resto le statistiche valgono sempre più dei discorsi.

Gli ufficiali superiori della milizia, di grado superiore a Seniore, vengono, per il 97 per cento dagli ufficiali del Regio Esercito. Gli altri rappresentano il 3 o 4 per cento.

Su circa 230 ufficiali superiori al grado di Seniore vi sono 20 ricompensati nei vari gradi dell'Ordine militare di Savoia, 12 medaglie d'oro, 130 medaglie d'argento, 80 medaglie di bronzo.

E bisogna, anche a costo di abusare della vostra pazienza, e siccome questa è una giornata di chiarimenti, che vi legga lo stato di servizio dei capi della milizia nazionale:

Generale De Bono (generale di corpo d'armata dell'Esercito) tre medaglie d'argento, una promozione straordinaria per merito di guerra, croce di guerra;
Generale Gandolfo (generale di corpo d'armata) 2 medaglie d'argento, promozione straordinaria per merito di guerra;
De Vecchi: 4 medaglie d'argento; 2 medaglie di bronzo; 2 croci di guerra;
Balbo: medaglia d'argento, croce di guerra;
Fara (il generale conosciutissimo in tutta Italia) una medaglia d'oro, due medaglie d'argento, promozione per merito di guerra;
Stringa (altro maggior generale dell'Esercito): 3 medaglie
d'argento, una medaglia di bronzo, mutilato di guerra;
Perol Clemente (altro maggior generale dell'Esercito): 2 medaglie d'argento, croce di guerra;
Ceccherini (maggiore generale dell'Esercito) : 3 medaglie d'argento, 2 medaglie di bronzo;
Zamboni (maggior generale dell'Esercito) : una medaglia d'argento, una di bronzo;
Guglielmotti (maggior generale dell'Esercito: 2 medaglie d'argento.
Seguono poi: maggiore Giuriati: 2 medaglie d'argento; Acerbo: 3 medaglie d'argento; Caradonna: 3 medaglie d'argento; Finzi: una medaglia d'argento e due croci di guerra, ecc., ecc.

E non voglio, per non confondere la modestia dei miei amici, continuare a leggere l'elenco di questi ufficiali della milizia nazionale.

Ho letto tutto ciò per dimostrarvi che la milizia è una cosa seria, e lo sta diventando ogni giorno di più, perché così io voglio, perché tutti i capi questo vogliono.

Ci si domanderà: perché la milizia resta? Ve lo dico subito: per una ragione molto semplice,; per difendere la Rivoluzione fascista all'interno ed anche all'estero.

La frase « estero » può impressionarvi. Ebbene c'è all'estero un ambiente difficile per il Fascismo italiano.
Difficile a destra e difficile a sinistra. Difficile a destra; in quanto l'elemento destro è un elemento nazionale, il quale non può essere entusiasta di un movimento che esalta i valori nazionali. D'altr aparte l'elemento sinistro ci è avverso dal punto di vista sociale, perché sa che il movimento fascista è nettamente antisocialista. Allora è bene che si sappia che a difendere la Nazione, a difendere quella speciale forma di reggimento politico che si chiama Fascismo, vi è una potentissima armata di volontari.

Secondo: per permettere all'Esercito di fare il suo mestiere: l'Esercito deve fare la guerra, deve prepararsi alla guerra, non deve fare della polizia, specialmente politica, se non in casi assolutamente eccezionali, che in questo momento non voglio assolutamente presentare nemmeno come ipotesi.

Stanotte, per mio ordine personale, si è bloccato un intero quartiere di Livorno.

Ebbene, 100 carabinieri e 300 camicie nere sono bastati. L'Esercito, le truppe e gli ufficiali dormivano tranquillamente nelle loro caserme, come era loro diritto e dovere. Eppoi, credetemi, finché in Italia si sa che, oltre ad alcune decine di migliaia di carabinieri fedelissimi, c'è questa enorme forza, i conati rivoltosi, i conati di sedizione non saranno mai osati.

Se dopo questi sei mesi di Governo, io mi volgo indietro e abbraccio con un colpo d'occhio, come si abbraccia un panorama, quello che è successo in sede politica, vedo tre fenomeni interessanti: tre fenomeni che io chiamerei tentativi di aggiramento del Fascismo.

Ad un certo momento, nel novembre, si comincia a parlare di unità operaia: bisogna mettersi tutti insieme sotto una bandiera vagamente nazionale, che doveva coprire parecchie merci di contrabbando. Il nome di Gabriele D'Annunzio era una carta che veniva frequentemente giuocata da questi ambigui zelatori dell'unità operaia.

Ci voleva poco a capire che si trattava di una mistificazione, ttraverso la quale parecchi elementi, che si ritenevano espulsi dalla scena politica, volevano rientrarvi.

Bastò dire che le Corporazioni assumessero il nome di fasciste e questa speculazione cessò d'incanto.

Secondo: il contraltare nazionalista. Bisogna dire che da Roma in su nazionalisti e fascisti sono andati sempre d'accordo; erano due corpi in un'anima sola. A Milano, dove ho vissuto e lottato, non si è mai avvertita questa differenza. Ora va a succedere che dopo la marcia su Roma c'è una primavera enorme di nazionalismo, soprattutto da Roma in giù. Evidentemente, elementi dubbi volevano, attraverso questo contraltare, fare o preparare una opposizione al Governo fascista.

Anche questo ostacolo è stato superato con la fusione e mi sia concesso di rendere omaggio solenne allo spirito di lealtà assoluta e di ferma disciplina, allo spirito, cioè, con cui i nazionalisti sono entrati nelle file del Fascismo. Finalmente, ed è manovra di quest'ultimi giorni, sono spuntati in Italia i fieri difensori dello Statuto, della libertà e del Parlamento. Sembra, a sentire questi signori che avevano dimenticato da parecchio tempo l'esistenza dello Statuto, anche a semplice titolo di documento storico, che lo Statuto corra supremo pericolo e che non si possa nemmeno discuterlo, nemmeno esaminarlo.

Credo che nessuno di voi possa ritenere Camillo conte di Cavour un bolscevico o un fascista del 1848. Ebbene ognuno di voi sa che il moto costituzionale del Piemonte è stato opera di Camillo Cavour; ognuno sa come venne largita la costituzione politica. Ci fu un tumulto a Genova contro i gesuiti ritenuti assertori dell'assolutismo; una commissione di genovesi parte, va a Torino e chiede la cacciata dei gesuiti e la guardia civica; ma Camillo Cavour dice: « Questo è poco, i tempi sono maturi per ben altro ».

Scrive Cavour nel suo giornale Il Risorgimento: «Bisogna chiedere la costituzione », e questa fu promulgata il 4 marzo.

Nel preambolo è detto: « Lo Statuto è la legge fondamentale perpetua e irrevocabile della Monarchia ». Quattro giorni dopo si formò il primo ministero costituzionale di coalizione col moderato Balbo e il democratico Pareto, e poiché la frase: « lo Statuto è la legge fondamentale perpetua e irrevocabile della Monarchia » aveva ferito le orecchie dei democratici, Camillo Cavour si affrettava ad interpretarla, in senso relativo o relativista. Vale la pena di ascoltare attentamente questo brano di Camillo Cavour: «Come mai - affermava - si può pretendere che il legislatore abbia voluto impegnare sé e la Nazione a non mai portare il più leggero cambiamento diretto ad operare il menomo miglioramento di una legge politica? Ma questo sarebbe voler far sparire il potere costituente dal seno della società, sarebbe privarla dell'indispensabile potere di modificare le sue forme politiche a seconda delle nuove esigenze sociali, sarebbe un concetto talmente assurdo, che non poteva venir concepito da nessuno di coloro che cooperarono alla redazione di questa legge fondamentale. Una Nazione non può spogliarsi della facoltà di mutare con mezzi legali le sue leggi comuni ».

Non passò molto tempo che la cronaca dovette registrare una prima violazione dello Statuto, il quale presumeva e presume che per essere deputato bisogna essere cittadino italiano. Il giorno 16 ottobre si era verificata una divisione tra la Destra e la Sinistra. Nella prima vi erano i moderati ed i municipali, nella seconda i democratici, così detti « Teste bruciate », ed i repubblicani.

Il 17 questi due partiti si trovarono uniti per proclamare, al disopra dello Statuto, che potevano far parte del Parlamento Subalpino tutti gli italiani di qualunque regione; e ciò all'unanimità. Il primo a beneficiare di questa violazione dello Statuto sarebbe stato Alessandro Manzoni, se il grande scrittore non avesse declinato il mandato con una lettera che è un monumento di castigatezza e di probità politica.

Nessuno, o signori, nessuno di noi vuole abbattere o distruggere lo Statuto. Lo Statuto è piantato solidamente nei suoi muri maestri; ma gli inquilini di questo edificio, dal '48 ad oggi, sono cambiati; vi sono altre esigenze, altri bisogni, non vi è più l'Italia piemontese del 1848. Ed è oltremodo strano vedere fra i difensori dello Statuto quelli che lo hanno violato nelle sue leggi fondamentali; quelli che hanno diminuito le prerogative della Corona, quelli che volevano render la Corona totalmente estranea alla politica della Nazione, facendone una cosa morta e lontana nello spazio e nel tempo.

Si dice che questo Governo non ami la Camera dei Deputati. Si dice che si vuole abolire il Parlamento o svuotarlo di tutti i suoi attributi essenziali. Signori, sarà tempo di dire che la crisi del Parlamento non è una crisi voluta dal sottoscritto o da quelli che seguono le mie idee: il parlamentarismo è stato ferito non a morte, ma gravemente, da due fenomeni tipici del nostro tempo: da una parte il sindacalismo, dall'altra il giornalismo; il sindacalismo, che raccoglie in determinate associazioni tutti quelli che hanno interessi speciali e particolari da tutelare e che vogliono sottrarli alla incompetenza manifesta dell'assemblea politica; ed infine il giornalismo, che è il parlamento quotidiano, la tribuna quotidiana, dove uomini venuti dall'Università, dalle scienze, dall'in dustria, dalla vita vissuta, vi sviscerano i problemi con una competenza che si trova assai difficilmente sui banchi del Parlamento. Ed allora questi due fenomeni tipici dell'ultimo periodo della civiltà capitalistica sono quelli che hanno ridotto la importanza enorme che si attribuiva ai Parlamenti. Insomma il Parlamento non può più contenere tutta la vita di una Nazione, perché la vita delle Nazioni moderne è eccezionalmente complessa e difficile.

Dire questo non significa dire che vogliamo abolire il Parlamento. Affatto; anzi vogliamo migliorarlo, perfezionarlo, correggerlo, farne una cosa seria, se è possibile, una cosa solenne. E del resto, se volessi abolire il Parlamento, non avrei presentato una legge elettorale.

Questa legge elettorale, a lume di logica, presuppone delle elezioni: si sa già fin da questo momento che, attraverso a queste elezioni, vi saranno dei deputati i quali comporranno il Parlamento; per cui nel 1924 vi sarà un Parlamento.

Si dice che il Fascismo ha creato dei duplicati. Signori, questi duplicati non esistono. Il Grande Consiglio fascista non è un organo duplicato del Consiglio dei ministri o superiore al Consiglio dei ministri. Il Grande Consiglio del Fascismo si è riunito quattro volte. Il Grande Consiglio, non ha mai affrontato i problemi che sono di pertinenza del Consiglio dei ministri. Di che cosa si è occupato il Grande Consiglio del Fascismo? Nella sessione di febbraio il Grande Consiglio del Fascismo si è occupato della Milizia Nazionale e della Massoneria; ha fatto un omaggio ai dalmati e fiumani; si è occupato dei Fasci all'estero. Nella sessione di marzo ha predisposto le cerimonie per il Natale di Roma e si è occupato di sindacalismo. Nella quarta sessione di aprile si è occupato del Congresso di Torino ed ancora del sindacalismo.

Voi vedete che tutti i grandi problemi dell'amministrazione dello Stato, della riorganizzazione delle nostre forze armate, della riforma delle circoscrizioni giudiziarie, della riforma delle scuole medie, tutte le misure di ordine finanziario, dalla nominatività dei titoli all'introduzione dell'imposta sul reddito agrario, sono tutte misure che sono state adottate dall'ente responsabile e diretto: il Consiglio dei ministri.

Ed ora che cosa è il Grande Consiglio del Fascismo? È l'organo di coordinazione, fra le forze responsabili del Fascismo. E fra tutti gli organi creati dopo la rivoluzione di ottobre il Gran Consiglio del Fascismo è il più originale, il più utile, il più efficace. Ho abolito gli alti commissari perché erano un duplicato dei prefetti, perché angustiavano l'esercizio dell'autorità dei prefetti, i quali soli hanno diritto di esercitarla; ma non saprei mai abolire il Gran Consiglio del Fascismo neppure se, per ipotesi, il Consiglio dei ministri si componesse domani di tutti membri fascisti.

Questo Governo, che è dipinto come -liberticida, è stato forse troppo generoso. Non è stata una rivoluzione incruenta per noi quella dell'ottobre: noi abbiamo lasciato decine e decine di morti, o signori. E chi ci avrebbe impedito in quei giorni di fare quello che han fatto tutte le rivoluzioni? Di liberarci, una volta per sempre, da tutti coloro che, abusando della nostra generosità, rendono difficile ora il nostro cómpito? Soltanto i socialisti d.ella Giustizia di Milano hanno avuto il coraggio di riconoscere che, se essi sono ancora in vita, lo debbono a noi, che non abbiamo voluto nei primi momenti della Marcia su Roma che le Camicie Nere si macchiassero di sangue italiano.

Ma, o signori, non bisogna abusare di questa nostra generosità. Non mi pongo il problema se sia stato un bene o un male non avere agito in quei termini. Perché non me lo pongo? Ve lo dico con schiettezza che parrà brutale.

Non me lo pongo perché, se domani fosse necessario, ho il coraggio, la volontà e i mezzi per poterlo fare ancora. E non speri qualcuno nella crisi del Fascismo e non la distenda sulle colonne dei capaci giornali. Essa è finita; era una bega di piccoli capi. E si capisce; non si può sistemare tutto il mondo. Io ho sempre detto che la rivoluzione non può essere una sistemazione in cui ognuno trova la sua casella... e ci mangia dentro.

Il Fascismo è ancora e rimarrà per lungo tempo un partito semplicemente formidabile. Non fate come faceva il borghese dell'occidente che, ogni minuto, quando saltava su un Wrangel o un Judenic, pensava che quelle piccole bande disarmate e scalze potessero demolire il Governo dei Sovieti. L'altro giorno Lloyd George diceva che è un Governo assai solido.

E così, se vedrete che in una delle tante Peretole d'Italia c'è un dissidio, non argomentatene che il Fascismo è in crisi. Bisogna, o signori, introdurre nell'esame dei fenomeni della storia l'elemento durata, l'elemento tempo. E quando un partito ha il Governo nelle mani, lo tiene, se lo vuol tenere, perché ha delle forze formidabili da utilizzare per stabilire sempre più saldamente il suo dominio. Il Fascismo è un movimento sindacale che raccoglie un milione e mezzo di operai e contadini i quali - debbo dirlo a titolo di lode - sono quelli che non mi dànno imbarazzi di sorta. Poi è un movimento politico che ha 550.000 iscritti e io ho chiesto di esser liberato di almeno 150.000 di questi signori. Quindi è un movimento militare: 300.000 camicie nere che esistono, che non attendono che d'esser chiamate. Poi finalmente c'è in tutto ciò un amalgama, un cemento che si potrebbe chiamare mistico e religioso, per cui, battendo su certi tasti, domani si avrebbe il suono di certe fanfare.

Ci si domanda: « Vorrete dunque accamparvi in Italia come un esercito di nemici che opprime il resto della popolazione? » Siamo alla filosofia della forza e del consenso.

Intanto ho il piacere di annunziare che al Fascismo hanno aderito masse imponenti di uomini, che meritano tutto il rispetto della Nazione. Al Fascismo hanno aderito l'Associazione dei mutilati e degli invalidi; al Fascismo ha aderito l'Associazione Nazionale dei combattenti; nell'orbita del Fascismo marciano anche le famiglie dei caduti in guerra. C'è molto popolo in queste tre Associazioni c'è molto consenso in questi mutilati, combattenti e famiglie di caduti. Sono milioni di persone. E davanti a questa collaborazione debbo proprio io andare a cercare tutti i frammenti, tutte le reliquie dei vecchi partiti tradizionali?

E debbo vendere la mia primogenitura ideale per il piatto di lenticchie che mi potrebbero offrire questi signori che non hanno séguito alcuno nel Paese? No, non farò mai questo!

Ma se uno vuole collaborare con me, io l'accolgo nella mia casa. Però se questo collaboratore mi ha l'aria dell'inquisitore che controlla o dell'erede che aspetta, dell'uomo che sta in agguato per potere, a un certo momento, fare l'obliquo ragioniere dei miei errori, allora io dichiaro che di questa collaborazione non voglio assolutamente saperne di che cosa ha sofferto la vita italiana negli anni passati? Ha sofferto del fenomeno del trasformismo. Non c'erano mai dei confini precisi. Nessuno aveva il coraggio di essere quello che doveva essere. C'era il borghese che aveva delle arie socialistoidi, c'era il socialista che si era già imborghesito fino al midollo spinale. Tutta l'atmosfera era un'atmosfera di mezze tinte, d'incertezza; non si vedevano mai dei contorni nettamente tagliati e definiti. Ebbene il Fascismo nella vita italiana compie proprio questa funzione; prende gl'individui per il collo e dice: « Dovete essere quello che siete. Se siete dei borghesi, dovete essere dei borghesi, dovete avere l'orgoglio della vostra classe, perché la vostra classe è la classe che ha dato il tipo della civiltà mondiale al secolo decimonono; se siete dei socialisti, dovete avere il coraggio di esserlo, affrontando gli inevitabili rischi che questa professione può portare ».

Lo spettacolo della Nazione in questo momento è soddisfacente, soddisfacente perché il Governo fa una politica dura, una politica crudele, se volete. Deve licenziare a migliaia i suoi funzionari: sono magistrati, sono ufficiali, sono ferrovieri, sono arsenalotti; e ogni licenziamento è un motivo di turbamento, di dolore, di disagio di migliaia di famiglie. Ho dovuto mettere delle tasse che feriscono certamente vasti strati della popolazione italiana. Questo popolo italiano non ha ancora avuti quelli che si potrebbero chiamare i vantaggi di ordine materiale; non li ha avuti. Il Governo non ha dato proprio nulla che si possa tradurre in contanti, niente: ebbene questo popolo è disciplinato, questo popolo è silenzioso, questo popolo è tranquillo, questo popolo lavora. Come vi spieghereste questo fenomeno, se non pensaste che questo popolo è tranquillo perché sa che c'è un Governo che governa e sa soprattutto che, se questo Governo colpisce con misure crudeli, strati della popolazione italiana, non lo fa perché si alzi al mattino con il capriccio di dire: "Oggi voglio colpire i ferrovieri, gli arsenalotti o i postelegrafonici". Lo fa perché ciò risponde ad una necessità suprema di ordine nazionale. Al di sopra di questa massa che si cifra a decine di milioni ci sono i gruppi irrequieti di politicanti di professione. Bisogna parlar chiaro: c'erano, prima di questo, parecchi Governi in Italia, i quali tremavano sempre davanti al giornalista, davanti al banchiere, davanti al gran maestro della Massoneria, davanti al capo più o meno clandestino del partito popolare; e bastava che uno di questi ministri in partibus battesse alla porta dell'anticamera del Governo, perché il Governo fosse colto da improvvisa paralisi.

Ebbene, tutto ciò è finito: molti signori che si prendevano delle arie con i vecchi Governi, non li ho ricevuti e li ho fatti piangere perché il Governo è uno solo, il Governo della Nazione, e non conosce altri Governi all'infuori del suo e vigila attentamente. Non bisogna mai dormire quando si governa, non bisogna trascurare nessuno dei sintomi, ma tenere innanzi agli occhi tutto il panorama, vedere tutte le composizioni, le scomposizioni, le deformazioni dei partiti e degli uomini. Qualche volta è necessario per la tattica avere degli adattamenti, ma la strategìa politica, la mia almeno, è intransigente e assoluta.

Avrei finito, anzi ho finito, se non dovessi dire ancora una parola che mi riguarda un po' personalmente. Io non nego ai cittadini quello che si potrebbe chiamare il jus murmurandi, ma non bisogna esagerare, non bisogna essere con le orecchie ritte, nella tema di pericoli che non esistono, e, credetemi, io non mi ubriaco di grandezza; vorrei, se fosse possibile, ubriacarmi di umiltà. E credete ancora, onorevoli senatori, che non mi passa nemmeno per la controcassa dell'anticamera del cervello quello che può balenare nei crocchi misteriosi, pieni di sospetti, di paure e calunnie. Io mi contento semplicemente di essere ministro; nessuno deve essere spaventato dal fatto che io vado a cavallo. Ci andavano anche D'Azeglio e Minghetti; e del resto se ciò si deve alla mia gioventù, questo è un male divino di cui si guarisce ogni giorno. Non ho ambizioni che oltrepassino la cerchia nettamente definita dei miei doveri e delle mie responsabilità. Eppure, un'ambizione l'ho anch'io: più conosco il popolo italiano, più m'inchino dinanzi a lui; più m'immergo anche fisicamente nelle masse del popolo italiano, più sento che questo popolo italiano è veramente degno del rispetto di tutti i rappresentanti della Nazione. La mia ambizione, o signori, sarebbe una sola: non m'importa per questo di lavorare 14 o 16 ore al giorno, non m'importerebbe nemmeno di lasciarci la vita, e non lo riputerei il più grande dei sacrifici! La mia ambizione è questa: vorrei rendere forte, prosperoso, grande e libero il popolo italiano!