Saturday 3 March 2012

Discorso di Abbadia San Salvatore, 31 agosto 1924

Agli operai del Monte Amiata

di Benito Mussolini

Vi prego di concedermi pochi minuti del vostro raccoglimento e della vostra attenzione.

Vi dichiaro subito che mi trovo perfettamente a posto fra voi: non soltanto per le mie origini, quanto per il fatto che tra voi la Milizia ha reclutato molte Camicie nere e che parecchi di voi, minatori, avete partecipato alla Marcia su Roma.

Poi mi trovo perfettamente a posto fra voi perché credo che il mio discorso sarà inteso da voi tutti e sarà utile. Io non vi dirò delle cose straordinarie perché oramai di straordinario al mondo non vi è più nulla.

Vi dirò quel che pensa il Fascismo dei rapporti tra capitale e lavoro, quale è la dottrina del sindacalismo fascista, che cosa vuole il Fascismo, che cosa si ripromette di compiere domani.

Il punto di partenza, o amici, è questo: la Nazione. Che cosa è la Nazione? La Nazione è una realtà, siete voi. Moltiplicatevi sino a diventare la cifra imponente di quaranta milioni di italiani che hanno lo stesso linguaggio, lo stesso costume, lo stesso sangue, lo stesso destino, che hanno gli stessi interessi: questa è la Nazione, è una realtà. Bisogna rispettarla. Che cosa in questo momento io vedo dinanzi a me? La Nazione. Vedo il popolo, il popolo che non ha più le classi e le categorie dai confini insuperabili. Qui siamo popolo: vedo degli ufficiali che guidano il nostro Esercito glorioso: vedo carabinieri che sono la espressione inflessibile del rispetto alla legge: vedo dei tecnici, dei signori, vedo dei lavoratori e delle Camicie nere; vedo la gagliarda gioventù fascista che mi dà l'idea di una primavera fiammeggiante.

Questo è il popolo. Malgrado gli egoismi individuali, vi sono degli interessi collettivi comuni. Il Fascismo insegna a subordinare gli interessi di categoria agli interessi della Nazione.

Voi specialmente, o lavoratori del Monte Amiata, di questo monte storico, voi siete i più indicati a comprendere l'essenza del sindacalismo fascista e ciò è non soltanto perché siete intelligenti, ma anche per la natura stessa del vostro lavoro. Voi vi affaticate ad estrarre un minerale prezioso, una delle poche ricchezze che abbiamo in Italia, ricca di tante cose: di cielo, di sole, di poesia, di fiori, di geni, di eroi e anche di politicanti, ma poverissima di materie prime. Mi richiamo a quello che diceva poco fa l'ing. Luzzatti: c'è un interesse comune ai datori di lavoro ed ai lavoratori.

Guai a chi varca certi limiti: i datori di lavoro non debbono volere che la massa dei loro dipendenti viva in condizioni di disagio e di povertà. Non è nel loro interesse né è nell'interesse della Nazione. D'altra parte i lavoratori non debbono chiedere all'industria ciò che l'industria non può sopportare.

Da appena tre anni si parla questo linguaggio in Italia e si sono fatti notevoli progressi.

Voi avete inteso la verità profonda di questa dottrina, e, soprattutto, avete inteso che il Fascismo non è contro il popolo che lavora. O perché dovrebbe essere il Fascismo contro il popolo che lavora? Perché? Mi sapete dare una ragione?

Prima di tutto voi siete degli italiani e io dichiaro che prima amo gli italiani e poi conservo un po' di simpatia per tutti gli altri popoli della terra. In secondo luogo voi siete dei lavoratori, cioè gente che produce, lavora e che accresce la ricchezza della Nazione. Poi, nel complesso, siete bravi. La popolazione lavoratrice italiana può dirsi all'avanguardia per probità, per onestà, per laboriosità, per diligenza, per intelligenza. Non c'è quindi nessuna ragione perché il Fascismo non debba andare fraternamente incontro al popolo che lavora. Ci va il Partito ed anche il Governo; la vostra presenza, il vostro entusiasmo, mi dimostrano che non siete tocchi da dubbi assurdi. Voi sentite che il Fascismo è solidissimo e che il Governo è piantato come una quercia nella roccia.

Si tratta di stare fermi, solidi. Vi assicuro che il clamore degli altri è molesto, ma perfettamente innocuo. Le opposizioni, tutte insieme, non dirò, come disse Bismarck, che non valgono le ossa di un granatiere della Pomerania; ma vi assicuro che sono perfettamente impotenti. Il giorno in cui uscissero dalla vociferazione molesta, per andare alle cose concrete, quel giorno noi di costoro faremmo lo strame per gli accampamenti delle Camicie nere.

Con questo non intendiamo di agitare attraverso questa nostra adorabile penisola fiaccole di guerra e di inquietudini. Affatto. Noi ripetiamo qui, in questo luogo così suggestivo, che vogliamo dare la pace al popolo italiano, la pace all'estero. E l'abbiamo data senza rinuncie inutili e vogliamo darla anche all'interno, contemperando gli interessi di tutte le categorie e rispettando tutti gli elementi sinceramente devoti alla causa della Nazione.

Sono molto lieto, ad esempio, di avere qui accanto a me nel pubblico, il mio collega dei Lavori Pubblici, il vostro conterraneo Sarrocchi, di fede liberale. Egli collabora con me da qualche mese; egli può dire che la collaborazione con me non è pesante, perché io non ho borie di padrone.

Il Fascismo italiano nel suo animo è incorruttibile e non disposto a vendere, per un piatto di lenticchie miserabili, i suoi diritti ideali, ma non intende nemmeno di chiudersi in una torre d'avorio aristocratica e inaccessibile.

Questa è la collaborazione che io ho sempre sostenuta, che ho sempre vagheggiata. Ho detto che non cercavo nessuno e che non respingevo e non respingo nessuno. Però coloro che vogliono fare la strada con me debbono essere prima di tutto gente di buona fede e al di sopra degli interessi più o meno essenziali dei partiti, debbono avere in vista l'interesse comune della Nazione.

Di questa mia rapida esposizione, voi, o lavoratori del Monte Amiata, vi ricorderete tre cose: primo: che il sindacalismo fascista è molto migliore, molto più utile a voi e alle vostre famiglie del sindacalismo rosso che, colla pratica della lotta di classe, diventata norma di azione quotidiana, scava un abisso insuperabile tra cittadini e cittadini, fra figli della stessa terra; secondo: che il Governo è solido e che non demorde a nessun costo; terzo: che il Fascismo vuol fare una politica di pace, ma con dignità, con fierezza, con senso di disciplina.

Io vedo su una di quelle antenne tutti gli strumenti del vostro lavoro: strumenti antichi e moderni, comunque venerabili: sono gli strumenti della civiltà. La civiltà si misura anche e soprattutto dal progresso degli strumenti di lavoro.

Son lieto di avere trascorso qualche ora fra voi. Voi avete dinanzi il Capo di un partito, il Capo del Governo e anche un uomo come voi, con le vostre qualità, con i vostri difetti, con tutto ciò che costituisce l'elemento essenziale di quella speciale natura umana che è la natura italiana. Questo uomo vi porge il saluto fraterno, il suo attestato di simpatia e vi dice che voi non avete nulla da temere dal Fascismo, che voi avete tutto da sperare e da guadagnare dal Fascismo, che voi dovete tendere alla vostra elevazione materiale e morale per essere sempre più degni di questa Italia che noi tutti stiamo costruendo giorno per giorno, con tenacia, con fatica, fra sacrifici, fra dolori, fra penitenze; ma così è la vita; così è la storia; questo si deve fare per rendere grande e potente il popolo italiano.