Sunday, 4 March 2012

Discorso di Brescia, 6 marzo 1945

A quattrocento ufficiali della Guardia nazionale repubblicana

di Benito Mussolini

Questo, camerati ufficiali della Guardia, può essere il primo di una serie di rapporti attraverso i quali io intendo riprendere contatto non soltanto morale, ma vorrei dire fisico, con voi e con i vostri legionari.

Prima di dirvi alcune cose che vi potranno in qualche guisa interessare, desidero, non per una mera formalità, ma per un impulso profondo del mio spirito, sicuro di interpretare anche il vostro sentimento, rivolgere un commosso saluto ai duemilasettecentosessantatre legionari (tutti i presenti scattano sull'« attenti! ») che sono caduti dal settembre 1943 a oggi per tenere fede all'idea fascista, per tenere fede all'alleanza con la Germania, per tenere fede soprattutto ai destini della patria. E ricordo anche i tremilasettecentosette feriti.

Saluto anche qui, non per una vuota formalità, i nostri camerati che sono in Balcania da mesi e anni. Essi hanno ragione di ritenersi dimenticati, perché molti di essi da quaranta mesi non vedono più l'Italia. Durante questo periodo di tempo hanno avuto scarse notizie dai loro familiari, mai un giorno di licenza, hanno subito, ben più di coloro che sono stati in Italia, tutte le conseguenze del tradimento del settembre. Hanno visto con i loro occhi lo scherno delle popolazioni che noi avevamo amministrate, hanno assistito con profonda umiliazione all'ammainare delle nostre bandiere in territori che erano stati bagnati dal sangue dei soldati italiani, mentre i civili italiani venivano abbandonati alle rappresaglie di gente primitiva.

Credo che la loro sofferenza sia stata tale da lasciare un solco indelebile nelle loro anime. Di quando in quando essi mi scrivono e hanno tuttavia un morale altissimo. Hanno combattuto con i camerati germanici in circostanze sempre straordinariamente difficili, hanno lasciato centinaia di camerati caduti nelle contrade di quella infida Balcania che sarà sempre una terra di torbida razza.

Camerati ufficiali!

Voi dovete tenere il contatto continuo con i legionari. L'epoca dell'ufficiale distante dai suoi uomini è terminata. Bisogna stare con i legionari, vivere con i legionari, assisterli, interpretarli, anche quando non sanno esprimersi, essere dei curatori di anime, non soltanto degli uomini che impartiscono degli ordini. L'obbedienza deve essere sempre pronta, cieca, assoluta, ma oggi deve essere anche intelligente. Colui che obbedisce deve essere convinto che il suo dovere è quello di obbedire. Così voi potrete avere alla mano i vostri uomini e potrete loro chiedere quello che essi devono dare. Ma, soprattutto, l'esempio, o camerati.

Il soldato si specchia nel suo ufficiale e il legionario deve trovare nel suo ufficiale la sua guida, il suo maestro, l'uomo che è animato da una fede indomita.

Dovete essere i propagatori di questa fede assoluta, dogmatica, nella vittoria. Colui che, dubita è già un vinto che si prepara a piegare il ginocchio davanti al vincitore. Nessuno è mai vinto fino al giorno in cui si dichiara vinto. Da quel giorno c'è un vinto e un vincitore; mai prima.

Secondo. La collaborazione con i camerati germanici deve essere quotidiana, schietta, leale, senza riserve. Qualche volta le difficoltà della lingua, dei temperamenti, possono farsi sentire, ma bisogna ricordarsi che siamo sulla stessa nave e vogliamo insieme raggiungere vittoriosamente il porto.

Terzo. Io non amo, ve lo dico con la massima schiettezza, coloro che fanno sempre i conti su quello che essi o gli altri ricevono. Quando un legionario fa questo, non è più un legionario, ma un mercenario. Con questo non voglio dire che i bisogni della vita non devono essere soddisfatti, che non si debba pensare alle famiglie, alle vostre famiglie, ma i confronti sono sempre odiosi e forse inattuali, perché le disuguaglianze saranno riparate.

Ottima cosa lo spirito di corpo. Ognuno deve essere fiero di militare sotto il proprio reparto, ma questo spirito non deve diventare esclusivismo di corpo, assumere cioè aspetti grotteschi, che lo rendono ridicolo; mentre, viceversa, deve essere la coscienza di un dovere che si compie con purezza di spirito, una tradizione sempre più profonda, che diventa il patrimonio spirituale del corpo cui si appartiene.

Ancora. Non vi è dubbio che la tecnica del colpo di Stato del 25 luglio fu perfetta. Fu un capolavoro. Tutto era stato predisposto fino nei più minuti dettagli di uomini, di luogo, di tempo. Se lo Stato Maggiore regio avesse preparato con la stessa finitura le sue battaglie, a quest'ora io vi parlerei in una piazza del Cairo, non in un sobborgo di Brescia. (Segni di consenso e di vivissima approvazione). Evidentemente il fascismo fu sorpreso. Ebbene, bisogna intendersi. Il tradito può essere ingenuo, ma il traditore è sempre un infame. (Vivissime acclamazioni).

Molti capi tradirono, ma le masse dei fascisti furono sorprese. Già da tempo gli autori che prepararono il tradimento ponevano sempre il dilemma: che fa la Milizia ? Se la Milizia resta nell'interno per vigilare, si dirà: la Milizia è imboscata, non fa la guerra. Ed effettivamente fra lo stare all'interno o l'andare al fronte, tutti i legionari preferirono di gran lunga la seconda soluzione. Ma i traditori intanto raggiungevano il loro scopo di allontanarli. Così i migliori della Milizia erano altrove, oltre le frontiere metropolitane. Il fascismo si trovò quindi nell'impossibilità quasi pratica di operare una resistenza immediata.

Ci fu la fase dell'annebbiamento. La gente rimase confusa: « La guerra continua ». L'altro traditore, il sabaudo, che continuava una lunga tradizione, che va da Carlo Alberto in poi, proclamava che non bisognava fare recriminazioni. I capi del fascismo delle provincie furono richiamati. La confusione fu grande. Evidentemente eravamo di fronte a una immaturità di almeno una parte del popolo italiano. Né si può pretendere che in vent'anni di regime si trasformi profondamente la struttura morale di un popolo. Ci vogliono alcune generazioni. Bisogna pensare che dal 1530 in poi, dalla caduta della Repubblica fiorentina, ci furono due secoli di imbellicosità, durante i quali, con l'esclusione del Piemonte, nessuna parte dell'Italia aveva Forze Armate. E un granduca di Toscana aveva anche trovato una formula che giustificava in un certo senso la sua imbellicosità. Egli diceva: « Principoni, caserme e cannoni, - principini, ville e casini ». (Si ride).

La Germania era stata frantumata, col trattato di Westfalia del 1648, in trecentotrè Stati: un vero rompicapo, parole incrociate. E quando Napoleone fece in Italia la prima leva, si trovò di fronte a una massa di uomini dai quali pensava che non avrebbe potuto cavare mai una massa di soldati degni di questo nome. Eppure Napoleone stesso, nelle sue memorie di Sant'Elena, dopo aver visto i soldati italiani battersi con lui in Russia - e sarà bene che voi sappiate che gli unici reparti che non abbandonarono Napoleone durante la ritirata della Russia furono alcuni squadroni di cavalleria napoletani e reparti di esploratori toscani (i francesi lo mollarono) - dopo aver visto i piemontesi battersi ad Austerlitz, scrisse che dalla vecchia razza italiana era possibile in determinate circostanze trarre fuori dei soldati valorosi, poiché il popolo italiano, individualmente preso, quanto a coraggio personale non ha nulla da invidiare a nessun altro popolo della terra.

Gli italiani che non hanno paura di giocare la loro pelle sono numerosi; più di quanto non si pensi. (Approvazioni).

Dicevo dunque che fummo sorpresi; aggiungo però che non saremo più sorpresi. (Acclamazioni).

Noi abbiamo promesso - l'ho dichiarato nel discorso di Milano - che difenderemo la valle del Po città per città, casa per casa. Questo è un impegno sacro che dobbiamo prendere e che prenderemo, e bisogna preparare i legionari per questa difesa. (Applausi). Io sono sicuro che ognuno di voi sarà fiero soprattutto se potrà portare i legionari al combattimento.

La Guardia ha già dato una divisione, che si batte con l'artiglieria contraerea e anticarro. Questi ragazzi dapprima ebbero qualche esitazione, ma oggi sono lieti di stare al cannone, la gran bocca che parla con voce intelligibile a tutti.

Noi fummo sorpresi alla fine di un periodo che definisco il periodo del fascismo che aveva accettato la monarchia, noi non possiamo e non vogliamo essere sorpresi nella fase del fascismo che è repubblicano. (Approvazioni).

Se poi gli avvenimenti ci permettessero di irrompere oltre l'Appennino - nessuno può escluderlo - io credo che troveremmo un'ondata di entusiasmo come forse non supponiamo nemmeno. (Vivissime approvazioni).

Non vi ho detto stasera cose di eccezionale interesse. L'importante, o camerati ufficiali, è quello di tenere duro. E finisco al punto in cui ho cominciato: mettetevi bene in testa che la Germania non può essere battuta. Non può essere battuta per una ragione molto semplice: che si tratta per lei, come per noi del resto, di vita o di morte. Si gioca a carte scoperte. Non si dice alla Germania, come all'epoca dei famosi quattordici punti di Wilson: se cambi regime, tu avrai delle facilitazioni, che poi non ci furono nemmeno allora. Oggi si dice chiaramente, dopo Yalta, che la Germania deve essere distrutta in quanto popolo.

È chiaro che il popolo tedesco, dal più alto dei cittadini, che è il Fuhrer, all'ultimo dei suoi operai, è impegnato in una lotta per la vita e per la morte. Oggi lo Stato Maggiore tedesco e il popolo tedesco sono storicamente giustificati, dinanzi a Dio e agli uomini, se ricorrono a tutte le armi pur di non soccombere. (Applausi prolungati).

Quanto vi ho detto sarà per voi una guida e un viatico per quella che è la vostra missione quotidiana. È appunto nei tempi difficili e straordinari che si misura la tempra delle anime. In tempi di bonaccia ognuno è capace di navigare.

Voi dovete rimeditare le mie parole e trasfonderle nei vostri legionari, fare di quanto vi ho detto uno strumento per il vostro orientamento quotidiano e soprattutto essere convinti che il fascismo non può essere cancellato dalla storia d'Italia. (Si grida: « Mai! »). Faranno, nell'Italia invasa, tutto quello che vorranno e dimostrano ancora di essere poco intelligenti, ma tutto ciò che è entrato nella storia non si cancella e noi abbiamo lasciato tracce troppo profonde nelle cose e negli spiriti degli italiani per pensare che questi resuscitati dalle tombe, nelle quali erano fino ad ieri vissuti e nelle quali avremmo dovuto definitivamente cacciarli (vivissime approvazioni), possano combattere e vincere le nostre generazioni e le nostre idee, che rappresentano e rappresenteranno la vita e il futuro della patria.