Saturday, 3 March 2012

Discorso di Dalmine, 20 marzo 1919


di Benito Mussolini

Dopo quattro anni di guerra terribile e vittoriosa, nella quale sono state impegnate le nostre carni ed il nostro spirito, mi sono spesso domandato se le masse sarebbero ritornate a camminare sui vecchi binari o se avrebbero avuto il coraggio di cambiare strada. Dalmine ha risposto. L'ordine del giorno votato da voi lunedì è un documento di valore storico enorme che orienta, che deve orientare il lavoro italiano.

Il significato intrinseco del vostro gesto è chiaro, è limpido, è documentato nell'ordine del giorno. Voi vi siete messi sul terreno della classe, ma non avete dimenticato la nazione. Avete parlato di popolo italiano, non soltanto della vostra categoria di metallurgici. Per gli interessi immediati della vostra categoria, voi potevate fare lo sciopero vecchio stile, lo sciopero negativo e distruttivo, ma pensando agli interessi del popolo, voi avete inaugurato lo sciopero creativo, che non interrompe la produzione. Non potevate negare la nazione, dopo che per essa anche voi avete lottato, dopo che per essa 500 mila uomini nostri sono morti. La nazione che ha fatto questo sacrificio non si nega, poiché essa è una gloriosa, una vittoriosa realtà. Non siete voi i poveri, gli umili e i reietti, secondo la vecchia rettorica del socialismo letterario; voi siete i produttori, ed è in questa vostra rivendicata qualità che voi rivendicate il diritto di trattare da pari cogli industriali. Voi insegnate a certi industriali, a quelli specialmente che ignorano tutto ciò che in questi ultimi quattro anni è avvenuto nel mondo, che la figura del vecchio industriale esoso e vampiro deve sostituirsi con quella del capitano della sua industria da cui può chiedere il necessario per sé, non già per imporre la miseria per gli altri creatori della ricchezza.

Voi non avete potuto provare per la brevità del tempo e le condizioni di fatto createvi dagli industriali la capacità a fare, ma avete provato la vostra volontà, ed io vi dico che siete sulla buona strada perché vi siete liberati dai vostri protettori, vi siete scelti nel vostro seno gli uomini che vi dirigono e che vi rappresentano e ad essi soli avete affidato il vostro diritto.

Il divenire del proletariato è problema di volontà e di capacità, non di sola volontà, non di sola capacità, ma di capacità e di volontà insieme. Vi siete sottratti al gioco delle influenze politiche. (Applausi). I vostri applausi me lo dimostrano. Ma io non appartengo alla genia di quei Maddaleni che ho frustato a sangue. Sono fiero di essere stato interventista. Se fosse necessario, vorrei incidere a caratteri di scatola sulla mia fronte la testimonianza per tutti i vigliacchi, che io sono stato tra quelli che nel maggio splendido del 1915 hanno chiesto a gran voce che la vergogna dell'Italia parecchista cessasse. (Acclamazioni).

Oggi che la guerra è cessata, io che sono stato in trincea, tra il popolo d'Italia, ed ho avuto per lunghi mesi e quotidianamente la rivelazione in tutti i sensi del valore dei figli d'Italia, oggi io dico che bisogna andare incontro al lavoro che torna e a quello che, non imboscato, ha nutrito le officine, non col gesto della tirchieria che non riconosce e umilia, ma collo spirito aperto alle necessità dei tempi nuovi. Coloro che si ostinano a negare le « novità » necessarie o sono degli illusi o sono degli stolti che non vedranno la sera della loro giornata.

Non ho mai chiesto, ed oggi meno che mai, nulla chiedo né a voi né a nessuno. E perciò non ho ansie o preoccupazioni circa l'effetto che faranno queste mie dichiarazioni su di voi. Io vi dico che il vostro gesto è stato nuovo e degno, per i motivi che l'inspirano, di simpatia. Ancora un rilievo: sul pennone dello stabilimento voi avete issato la vostra bandiera che è tricolore ed attorno ad essa ed al suo garrito avete combattuto la vostra battaglia. Bene avete fatto. La bandiera nazionale non è uno straccio anche se per avventura fosse stata trascinata nel fango dalla borghesia o dai suoi rappresentanti politici: essa è il simbolo del sacrificio di migliaia e migliaia di uomini. Per essa, dal 1821 al 1918, schiere infinite di uomini hanno sofferto privazioni, prigionia e patiboli. Attorno ad essa, quando era il segnale di raccolta, è stato versato nel corso di questi quattro anni di guerra il fiore del sangue dei nostri figli, dei nostri e vostri fratelli.

Mi pare di avere detto abbastanza.

Per i vostri diritti, che sono equi e sacrosanti, sono con voi. Distinguerò sempre la massa che lavora dal Partito che si arroga non si sa perché il diritto di volerla rappresentare. Ho simpatizzato con tutti gli organismi operai non esclusa la Confederazione Generale del Lavoro, ma più da vicino mi sento con l'Unione Italiana del Lavoro. Ma dichiaro che non cesserò la guerra contro il Partito che è stato durante la guerra uno strumento del Kaiser. Parlo del Partito Socialista Ufficiale. Esso vuole tentare sulla vostra pelle il suo esperimento scimmiesco, poiché non è che una contraffazione russa. Voi giungerete, in un tempo che non so se sia vicino o lontano, ad esercitare funzioni essenziali nella società moderna, ma i politicanti borghesi o semiborghesi non debbono farsi sgabello delle vostre aspirazioni per giocare la loro partita.

Di me possono avervi detto quello che si vuole. Non me ne importa. Sono un individualista che non cerca compagni nel suo cammino. Ne trova, ma non li cerca. Mentre infuria l'immonda speculazione politicante degli sciacalli che spogliano i morti, voi, oscuri lavoratori di Dalmine, avete aperto l'orizzonte. È il lavoro che parla in voi, non il dogma idiota o la chiesa intollerante, anche se rossa. E' il lavoro che nelle trincee ha consacrato il suo diritto a non essere più fatica, miseria o disperazione perché deve diventare gioia, orgoglio, creazione, conquista di uomini liberi nella patria libera e grande entro e oltre i confini.

(Il discorso di Mussolini è spesso interrotto da applausi generali, ripetuti, spontanei e cordiali).