Monday 5 March 2012

Discorso di Firenze, 19 marzo 1944

All'Accademia d'Italia

di Giovanni Gentile

Dall'ultima volta che l'Accademia si è riunita e ha parlato al pubblico molti mesi sono passati e sono avvenuti gravi rivolgimenti: tragici avvenimenti, che l'animo rifugge dal rammentare e che pure è dovere civile di ogni Italiano ricordare, ora e sempre, per aver viva e intera coscienza delle nostre colpe, del severo gastigo meritato, dell'aspra fatica che ci tocca di affrontare per espiare il passato e riconquistare il posto a cui ci danno diritto il sacrificio dei morti, la nostra intelligenza, le virtù del nostro popolo sano e laborioso. Dico delle nostre colpe, perché nessuno degli italiani che voglia lavorare alla ricostruzione e quindi alla concordia del Paese, vorrà declinare la sua parte di responsabilità; ed è giustizia che tutti, in virile raccoglimento di dolore e di dignità umana, soffriamo le conseguenze, quantunque sia anche giusto che l'onta e il danno maggiormente ricadano su coloro che abusarono della fiducia in loro riposta e nell'ombra tradirono la Patria, e ne vollero dissennatamente lo sfacelo: annientato l'esercito, consegnata al nemico la flotta, sfasciata la compagine nazionale, spenta nei cuori ogni fede negli stessi istituti fondamentali, fiaccata e distrutta la coscienza e la volontà della stirpe, l'Italia, già fiera della sua antica e nuova storia, e soprattutto della gloriosa parte avuta nella precedente guerra mondiale e del vigoroso impulso quindi impresso al ritmo di tutte le sue energie, ridotta un gregge senza capo, sbandata moltitudine senza un'anima, umiliata e spregiata dallo straniero, vile a' suoi propri occhi, come se il disonore d'un gesto avesse cancellato venticinque secoli di storia scintillante di genio, di virtù, di lavoro e di ardimenti.

Un'Italia « libera », a sentire una bugiarda ed empia leggenda; quando, in verità, non c'era più un'Italia, e le sue terre, e i suoi uomini, i suoi tesori d'arte erano preda o ludibrio degli invasori, a cui erano state aperte le porte.

E senza l'Italia, ci poteva essere più un'Accademia d'Italia? Era logico che se ne chiedesse sguaiatamente la soppressione, come una delle tante rinunzie a cui gl'Italiani percossi dalla sventura e rinsaviti dovevano affrettarsi per abbandonare le folli pretese di un'Italia mai esistita e destinata a non esistere mai se non nei cervelli esaltati e pericolosi.

Se non che la voce di Mussolini, che s'era creduto e fatto credere scomparso per sempre con la grande Italia che egli aveva fatto vivere nell'animo degli Italiani e fatto lampeggiare negli occhi degli stranieri come un'oscura minaccia, a un tratto, quasi per un miracolo, fu riudita: e riecheggiò per tutte le contrade d'Italia e pel mondo. E questa voce restituiva un capo alla moltitudine dispersa, e la chiamava alla riscossa, alla vita, alla coscienza di sé.

Miracolo? No. La risurrezione di Mussolini era necessaria come ogni evento che rientri nella logica della storia. Logico l'intervento della Germania, che i traditori avevano disconosciuta, poiché quos deus perdere vult dementat, ma la sua fede e forza e audacia furono sempre riconosciute e tenute presenti dall'Italia di Mussolini. Così questa fu subito ritrovata attraverso Mussolini e aiutata a rialzarsi dal Condottiero della grande Germania che quest'Italia aspettava al suo fianco dove era il suo posto per il suo onore e per il suo destino, accomunata nella battaglia formidabile per la salvezza dell'Europa e della civiltà occidentale al suo popolo animoso, tenace, invincibile.

Con Mussolini è risorta l'Italia di Vittorio Veneto: l'Italia giovane, leale, generosa, ardita, fidente nelle proprie forze, ansiosa di giustizia per sé e per tutti e la voce del suo capo non si è spenta perché era quella della Patria immortale. Di cui il corpo era distrutto ma sopravviveva l'anima per rifarlo; e rifarlo poteva perché con Mussolini restava per l'Italia all'interno una idea e all'esterno la forza intatta del Tripartito. E risorta l'Italia, degna di vivere e di combattere per riscattare il suo onore e il suo diritto alla vita e alla vittoria.

Dilaniata da intestine discordie fratricide, devastata senza pietà anzi con cinica furia sprezzante dei sommi valori umani che solenni impegni internazionali predisposti a Parigi nel 1937, durante la guerra di Spagna, da un Comitato alla dipendenza della Società delle Nazioni, intendevano salvaguardare; essa vede abbattuti e distrutti monumenti insigni della sua arte e della sua religione, innanzi ai quali s'eran piegate da secoli o da millenni le fronti pensose degli uomini colti di ogni terra e sente nella brutale minaccia e nella offesa abominevole del patrimonio sacro dell'Italia romana e cattolica il gretto spirito protestante bramoso di vendicarsi nella sua impotenza contro la maggiore religione costruttiva del mondo. Pure l'Italia non si sgomenta e sta in campo, risoluta di mantenere il suo posto fino alla vittoria. Sente di essere tornata ad essere l'Italia, ancorché molto diversa da quella che era nel giugno passato.

Oh, per questa Italia noi ormai vecchi, siamo vissuti; di essa abbiamo parlato sempre ai giovani accertandoli ch'essa c'è stata sempre nelle menti e nei cuori; e c'è, immortale. Per essa, se occorre, vogliamo morire; perché senza di essa non sapremmo che farci dei rottami del miserabile naufragio; come già non ci regge più il cuore a cercare in quell'ombra vagolante tra le imprecazioni del popolo tradito e i sorrisi ironici e i disdegni altezzosi dello straniero il nostro Re che fu già in cima ai nostri pensieri, perché agli occhi nostri incarnava nella sua persona la Patria che non avremmo mai sospettato potesse proprio da lui essere consegnata al nemico.

Perciò l'Accademia intende ora sopravvivere all'onta dell'8 settembre; e vivere con l'Italia e per l'Italia. Si potrà trasformare; e già si rinnova, come dimostra la recente fondamentale riforma approvata nel Consiglio dei Ministri dell'11 corrente per la quale si restituiscono alla ripristinata Accademia dei Lincei le funzioni che le erano proprie e che essa egregiamente assolveva; e si libera questa Accademia dalle superfetazioni con cui s'era alterato il suo carattere essenziale originario, riducendo a metà il numero degli Accademici. Riduzione che sarà un rinnovamento della nostra Accademia e un risanamento di tutto il mondo accademico italiano. L'Accademia rimane e rimarrà a presidio della grande Italia, che agli Italiani sarà sempre presente come una tradizione di gloria e come un'alta missione da mantenere. Insegnerà a onorare i grandi morti che sono e saranno sempre vivi. E così starà alla custodia del fuoco sacro della Patria: per custodirlo e aumentarlo, favorendo in ogni modo e promovendo l'alta cultura, ossia la vita artistica, letteraria e scientifica degli Italiani.