Sunday 4 March 2012

Discorso di Genova, 14 maggio 1938


di Benito Mussolini

Camerati Genovesi!

È con grandissima gioia che stamane, venendo dal mare, ho riveduto i lineamenti stupendi della vostra città, che non mai come in questa epoca merita il titolo di « Dominante ». (Applausi).

Non meno profonda è la mia gioia di riprendere, dopo trascorsi dodici anni (la moltitudine grida « Troppi! ») un immediato diretto contatto con voi.

Ed è con emozione che io parlo a voi, innanzi all'Arco che voi avete dedicato alla Vittoria e al ricordo degli Eroi che con il loro purissimo sangue la conquistarono e l'hanno tramandata a noi e alle venture generazioni, come un retaggio sacro e immortale. (Applausi vivissimi).

Non vi stupirete, o camerati, se, come quasi sempre è avvenuto nelle memorabili adunate del popolo fascista, io parlerò a voi di talune questioni di carattere internazionale.

Alle ore 18 del giorno 11 marzo l'Italia si trovò ancora una volta innanzi a un bivio, che imponeva una decisione. Dalla scelta poteva dipendere il disordine, la pace o la guerra, quindi il destino d'Europa. Ma, poiché gli avvenimenti non venivano a noi di sorpresa ed erano stati previsti nel loro logico sviluppo, noi rispondemmo immediatamente e nettissimamente: No! dinanzi a un passo diplomatico che, nel caso concreto, era assolutamente più inutile di molti altri. (Calorosissimi applausi).

I nemici dell'Italia, gli antifascisti di tutte le risme rimasero tremendamente delusi e si abbandonarono ad uno scoppio di autentico, per quanto imbelle furore. Essi avrebbero evidentemente desiderato l'urto fra i due Stati totalitari, e peggiori complicazioni, non esclusa la guerra, anche e se, soprattutto, avesse spalancato le porte al trionfo del bolscevismo in Europa. (Applausi).

Non dunque la necessità, come fu detto, ma la nostra volontà ci guidò nel nostro atteggiamento; e tutto quanto è accaduto da allora in poi, dimostra che esso fu ispirato dalla saggezza. (Acclamazioni altissime).

A coloro i quali, oltre i monti, hanno ancora la non ingenua melanconia di ricordarci quanto facemmo nel 1934, noi rispondiamo ancora una volta, dinanzi a voi e dinanzi a tutto il popolo italiano in ascolto, che da allora al marzo del 1938 molt'acqua era passata sotto i ponti del Tevere, del Danubio, della Sprea, del Tamigi e anche della Senna. (Grandi applausi). E, mentre quest'acqua più o meno tumultuosamente fluiva, all'Italia, impegnata in uno sforzo sanguinoso e gigantesco, venivano applicate quelle sanzioni che noi non abbiamo ancora dimenticato. (Applausi prolungati).

Nel frattempo tutto ciò che di diplomatico e di politico passava sotto il nome globale di Stresa era morto e sepolto e, per conto nostro, non risusciterà mai più. Né l'Italia poteva permettersi il lusso veramente eccessivo di mobilitare allo scadere regolare di ogni quadriennio, per impedire l'epilogo fatale di una rivoluzione nazionale.

Queste sono le ragioni di ordine contingente. Ma ve n'è una di carattere ancora più alto, e che mi piace di proclamare qui nella città che ha avuto il privilegio e ha il legittimo orgoglio di aver dato i natali a Giuseppe Mazzini. (Applausi vivissimi). L'Italia fascista non poteva assumersi indefinitamente quello che fu il cómpito odioso e inutile della vecchia Austria degli Absburgo e dei Metternich: contrastare il moto delle Nazioni verso la loro unità.

Non è dunque per la tema di complicazioni che noi abbiamo così agito, perché questa tema, quando è necessario, non ha mai albergato, non alberga e non albergherà mai nell'animo nostro. Ma era la nostra coscienza, il senso dell'onore e l'amicizia alla Germania, che ci consigliava di fare quanto abbiamo fatto. Ora i due mondi, il mondo germanico e il mondo romano, sono in immediato contatto. La loro amicizia è duratura. La collaborazione fra le due Rivoluzioni, destinate a dare l'impronta a questo secolo, non può essere che feconda.

Questo ha voluto significare il popolo italiano accogliendo il Cancelliere germanico. (Alte acclamazioni). Le parole che furono pronunziate nella notte del 7 maggio a Palazzo Venezia sono state accolte dall'entusiasmo consapevole dei due popoli. Esse non rappresentano una dichiarazione diplomatica o politica. Esse sono qualche cosa di solenne e di definitivo nella storia. (Acclamazioni).

L'Asse, al quale resteremo fedeli, non ci ha impedito di fare una politica di accordi con coloro i quali tali accordi sinceramente vogliono.

Così, nel marzo dell'anno scorso, abbiamo realizzato l'intesa con la Jugoslavia e da allora la pace regna sovrana sulle sponde dell'Adriatico. (Applausi).

Così recentemente abbiamo realizzato gli accordi con la Gran Bretagna. (Applausi). Al fondo del dissidio che pose a severo repentaglio i rapporti fra le due Nazioni c'era molta incomprensione, e diciamolo pure ignoranza, nel senso che a questa parola si deve dare dal verbo "ignorare".

Per troppi stranieri l'Italia è il Paese malamente dipinto da una mediocre letteratura coloristica. È tempo, è gran tempo di conoscere l'Italia delle armi e del lavoro; è tempo, è gran tempo di conoscere questo popolo che in venti anni ha fornito prove formidabili, culminate tutte nella volontà e nella conquista dell'Impero.

L'ultimo discorso pronunziato dal Primo Ministro inglese è un tentativo per uscire dal ginepraio dei luoghi comuni e riconoscere in tutta la sua maestà e la sua forza questa che è la nostra Italia, l'Italia del Fascismo e della Rivoluzione delle Camicie Nere.

L'accordo fra Londra e Roma è l'accordo di due Imperi, e si estende dal Mediterraneo al Mar Rosso, all'Oceano Indiano.

Poiché è nella nostra volontà il proposito di rispettare questo accordo scrupolosamente e poiché pensiamo che altrettanto faranno i governanti della Gran Bretagna, si può pensare che questo accordo sia duraturo. Il consenso col quale è stato accolto in tutti i Paesi del mondo è la riprova della sua intrinseca portata storica. (Applausi).

Voi mi consentirete di essere circospetto per quanto concerne le conversazioni con la Francia perché esse sono in corso. Non so se arriveranno a una conclusione, anche perché in un fatto estremamente attuale, cioè la guerra di Spagna, noi siamo ai lati opposti della barricata. Essi desiderano la vittoria di Barcellona; noi, viceversa, desideriamo e vogliamo la vittoria di Franco. (Acclamazioni altissime).

Camerati Genovesi!

Durante questi dodici anni l'Italia ha velocemente camminato, e Genova del pari. Ma quello che abbiamo fatto non può essere considerato che come una tappa. Nella lotta delle Nazioni e dei continenti non ci si può fermare: chi si ferma è perduto. Ecco perché il Regime fascista farà tutto quanto è necessario per potenziare i vostri traffici marittimi e le vostre iniziative industriali. (Vivi applausi).

Sono in errore coloro i quali credono che la lotta per l'autarchia, che noi continueremo con estremo vigore, diminuisca i traffici. Ne può variare la qualità, non ne altera nel complesso il volume. Altrettanto falso è il ritenere che il Regime voglia sacrificare le medie e piccole attività industriali e commerciali. È esattamente vero ìl contrario. Gli operai della grande Genova, che hanno dato tante prove della loro disciplina e del loro attaccamento al lavoro, sanno per mille dati di fatto che le loro condizioni sono sempre presenti alla mia intelligenza e soprattutto al mio cuore. (Alte e prolungate acclamazioni).

Le direttive della nostra politica sono chiare: noi vogliamo la pace, la pace con tutti. E vi posso dire che la Germania nazionalsocialista non desidera meno ardentemente di noi la pace europea. (Applausi). Ma la pace, per essere sicura, deve essere armata.

Ecco perché io ho voluto che a Genova si raccogliesse tutta la flotta: per mostrare a voi e agli Italiani delle due regioni più continentali, che sono il Piemonte e la Lombardia, quale è la nostra effettiva forza, sul mare.

Noi vogliamo la pace, ma dobbiamo esser pronti con tutte le nostre forze a difenderla, specie quando si odono discorsi, sia pure d'oltre Oceano, sui quali dobbiamo riflettere.

È forse da escludere che le cosiddette grandi democrazie si preparino veramente ad una guerra di dottrine. Comunque, è bene che si sappia che, in questo caso, gli Stati totalitari faranno immediatamente blocco e marceranno fino in fondo. (Acclamazioni altissime).

Camerati genovesi!

L'Italia fascista vi segue e vi onora perché sa di poter contare sul vostro coraggio, sul vostro spirito di iniziativa, sul vostro non mai smentito patriottismo e sulla vostra tenacia veramente ligure, più dura delle rocce che voi avete frantumato per allargare il respiro della vostra città, più paziente delle lunghe navigazioni alla vela.

La mia visita chiude un periodo della vostra storia e ne apre un altro. Durante questo periodo la vostra, la nostra Genova deve compiere e compirà un nuovo poderoso balzo verso il suo più grande futuro.