Saturday 3 March 2012

Discorso di Livorno, 29 dicembre 1918

All'inaugurazione di una lapide in memoria di Guglielmo Oberdan

di Benito Mussolini

Cittadini livornesi!

Voi mi avete lungamente e fedelmente atteso. Alla terza occasione non sono mancato. Non so se la mia oratoria vi attrarrà; sappiate in ogni modo che io vi dirò cose lungamente meditate, perché ho la consuetudine prima di portare i problemi al pubblico di porli a me stesso.

Sono lieto di esser venuto per questa cerimonia. Ma non attendetevi un discorso biografico di Guglielmo Oberdan. Voi conoscete il martire, la sua vita vi è nota in tutti i suoi particolari. Quello che io posso fare è di illustrare il simbolo che egli rappresenta e che ha avuto con la vittoria il suo compimento.

A rappresentare al congresso di Berlino l'Italia che voleva vivere, era andato in quei tempi un idiota qualunque. Guglielmo Oberdan viene a Roma all'iindomani di tal congresso e sente tutta l'umiliazione dell'Italia. (Applausi).

Non vi dirò la mia commozione andando a Trieste italiana a visitare il luogo ove Oberdan lasciò la vita sulla forca, istituzione profondamente austriaca.

È penoso pensare che vi è chi contrasta l'italianità di Trieste mettendoci di fronte un popolo rozzo che non ha quasi storia.

Ove ci venisse contestata, al congresso della pace, balzerebbero in Italia non solo i vivi, ma anche i morti.

Io ripenso al Carso, al nostro Carso, che cingeremo di cipressi e che non rimarrà mai deserto, perché popolato da tutti i martiri della civiltà italiana. (Applausi vivissimi).

Non dobbiamo permettere - riprende l'oratore - nessuna adulterazione, nessuna sofisticazione della nostra vittoria conseguita con tanto sangue, con tanto strazio.

V'è chi vorrebbe cancellare per calcoli individuali la gloriosa pagina dell'interventismo. Io mi vanto insieme coi miei amici di aver preso questa Italia impoltronita per le chiome e di averle detto: « Cammina, perché se non camminerai, sosterai per lunghi secoli fra la morte e la vergogna ». (Applausi vivissimi).

Chi ha avuto il privilegio e l'orgoglio di aver vissuto la guerra, come l'ho vissuta io, non può parlare della guerra se non in modo religioso.

Oggi troviamo che eravamo profondamente nel vero quando facevamo la campagna per l'intervento volontario in Italia.

Non si è trovato nella storia l'esempio di un popolo che abbia scelto la propria strada così volontariamente come il nostro. Ci siamo rialzati dopo un rovescio grandissimo. Oggi quale panorama ci offrono la storia e questa vecchia e tormentata Europa! I nostri fini nazionali sono stati pienamente raggiunti. È tempo di puntare il nostro revolver contro la politica dell'imperialismo italiano; ma quando chiediamo Trento, Trieste, l'Alto Adige, Zara non chiediamo che quel che ci spetta.

Dovrebbe vedere chi ci nega questo diritto le distruzioni operate dal nemico nel Veneto. Invasioni mai più, e per questo bisogna portare il nostro confine alla porta naturale per impedire di tendere alle pingui pianure italiane. Queste tribù sentono il bisogno del nostro cielo e del nostro mare, ma appunto per questo noi abbiamo il dovere di sbarrare le porte di casa nostra, e dopo, se sarà il caso, stringeremo patti di fratellanza con loro.

A Milano ho spiegato chiaramente che cosa s'intendeva per Società delle Nazioni, e dissi che non poteva essere il surrogato della vittoria. Io non escludo che il mondo di domani si comporrà di una libera associazione di genti affratellate. Ma gli uomini che hanno vita limitata, devono persuadersi che è inutile di voler costruire sull'eternità, e tenendo pure nel nostro bagaglio dottrinale l'ideale della Società delle nazioni, dobbiamo garantirci contro i pericoli dell'avvenire e di questi popoli slavi di cui noi abbiamo infrante le catene. (Applausi).

Anche se fosse possibile mettersi d'accordo, non sappiamo che cosa essi vorranno. Forse essi vorrebbero anche Venezia, perché c'è una riva degli Schiavoni (ilarità), o Milano perché c'è stato un re slavo.

A Trieste abbiamo lasciato continuare a pubblicare un giornale sloveno. Questa è la prova del nostro pensiero liberale; ora è tempo di guardare la libertà come si presenta.

Su 50.000 abitanti italiani di Fiume, 45.000 si sono già pronunziati; è il caso tipico di un popolo, che, secondo i criteri di Wilson, può decidere del proprio destino.

Siamo partiti in guerra contro il militarismo prussiano, che oggi è una rovina. Su quello che possa essere la repubblica germanica, bisogna andare molto cauti; non è detto che una repubblica possa essere pacifica. Il bolscevismo è un fenomeno puramente slavo; il clima storico delle nostre civiltà occidentali è assolutamente negato alle mene bolsceviche.

Chi ha provocato il crollo della Germania sono state le armate di Foch, è stato l'esercito italiano che minacciando la Baviera ha determinato il crollo.

Il socialismo in Germania ha segnato il passo dell'oca dietro al Kaiser. (Vivissimi applausi).

Richiamo la vostra attenzione sui fini interni della guerra. Tutti coloro che rappresentano il popolo, più o meno autorevolmente lanciano una parola d'ordine: « rinnovare! ».

Il programma del Partito più numeroso, ma più impotente, ha lanciato questo programma: « Dittatura del proletariato! ». Questa dittatura verrebbe esercitata da pochi che non sono stati mai proletari. E voi pensate che noi che abbiamo combattuto tutte le dittature vorremo soggiacere a questa? Siamo per la libertà contro tutte le dittature, a maggior ragione ci porremo contro quella di coloro che non sono che i parassiti della classe operaia! (Vivissimi applausi). E' il tempo di vedere queste verità, e di vedere che cosa hanno di vivo e di vitale certi dottrinarismi e constateremo che ci troviamo di fronte a una triplice o quadruplice menzogna uguale a tutte le menzogne! (Vivi applausi).

Hanno diviso il mondo in due compartimenti: da una parte i borghesi, dall'altra il proletariato. La realtà non è così: il mondo non si può fare a spicchi, come un'arancia; vi è un intreccio, una sfumatura di responsabilità che sfugge ad una suddivisione così netta.

Io sono un lavorista, voglio che il lavoro sia redento da due attributi che l'hanno perseguitato: la fatica e la miseria.

Non faccio che una questione di umanità: tutti gli uomini hanno diritto di vivere liberi, di vivere bene, e per questo io dico agli operai: « Diffidate di coloro che vi sbandierano questi programmi massimi, perché essi non sono che gli sconfitti della storia ».

Io sto compiendo un lavoro improbo: la lettura di diciotto opuscoli contenenti i discorsi di deputati socialisti. È una lettura noiosissima, specialmente quella dei discorsi dell'on. Modigliani. (Ilarità ed applausi).

Le verità che erano bandite come assolute e rivelate, sono oggi fallite. Noi che abbiamo macerato la nostra vita nelle trincee, e abbiamo visto i nostri fratelli morire, vi diciamo: « indietro, sciacalli! Se la guerra fu nostra, nostra deve essere anche la pace ». (Applausi vivissimi). Noi che volemmo la guerra, riprenderemo la lotta. La vita è tutta una lotta, solamente nei cimiteri è la pace! Dovremo compiere una vasta opera di rinnovazione. Ma bisogna vedere da dove si parte e come; finché la pace non è firmata bisogna che l'Italia sia tranquilla, concorde! Che cosa è questo assalto alle casse dello Stato? Che cosa è lo Stato? Lo Stato non è né il signor Fera né altri ministri. Lo Stato siamo noi. Quando lo Stato sarà prospero e tranquillo, vi sarà denaro e soddisfazione per tutti. Resta la questione del come. Finché non saranno tornati tutti i nostri fratelli non si può procedere a grandi rinnovazioni. Se allora le classi dirigenti chiudessero le porte in faccia ai combattenti, noi non faremmo altro che convogliare queste masse, far loro eseguire un dietro front all'interno, e allora vi garantisco che tutto quello che resta della vecchia Italia in poco tempo sarà sparito per sempre. Noi abbiamo sanguinato, abbiamo sofferto, mentre alcuni ridevano e s'imboscavano. Per fortuna il popolo italiano non è con loro, è più grande, più nobile, più giusto.

Ho sentito un contadino in una trincea che diceva: « Tutto quello che fo è necessario. Io sono l'artiere di una grande opera! » Questo era il pensiero e l'azione del popolo, mentre vi era qui una turba rimasta a fare cose non sempre pulite e degne!

Noi diremo: « Combattenti che ritornate, l'Italia è vostra, è della nuova aristocrazia delle trincee! Coloro che non sono andati a combattere non erano che dei vigliacchi e non sono degni di governarla! Noi affideremo l'Italia al popolo italiano che in un anno ha avuto la più grande sconfitta e la più grande vittoria ».

Chi è dunque che vuol negare la marcia di questo popolo? Dove sono coloro che vogliono fermare il passo ai battaglioni che vengono dalle trincee?

Quando l'Italia sarà libera e ferverà di lavoro, allora noi avremo adempiuto al nostro voto, allora potremo commemorare i nostri martiri, i nostri morti, andare incontro alle Madri dolorose, dicendo: Tutto ciò non è stato vano, come dicevano gli sciacalli, come dicevano i preti. C'è un po' più di giustizia nelle masse, c'è un po' più di libertà per il mondo.

(Una grande ovazione saluta il fecondo oratore, che ha parlato con sincerità, con fede, con vero amore per la Patria e per il popolo che l'ha fatta grande.)