Sunday 4 March 2012

Discorso di Milano, 1 novembre 1936


di Benito Mussolini

Camicie Nere di Milano!

Col discorso che io sto per pronunciare dinanzi a voi e per il quale vi chiedo, e voi mi darete, alcune diecine di minuti della vostra attenzione, io intendo di fissare la posizione dell'Italia fascista per quanto riguarda le sue relazioni con gli altri popoli d'Europa in questo momento così torbido ed inquietante.

L'alto livello della vostra educazione politica mi permette di esporre a voi quei problemi che altrove sono dibattuti nei cosiddetti parlamenti e alla fine dei banchetti cosiddetti democratici.

Sarò estremamente sintetico, ma aggiungo che ognuna delle mie parole è meditata. Se si vuole chiarificare l'atmosfera europea, bisogna in primo luogo fare tabula rasa di tutte le illusioni, di tutti i luoghi comuni, di tutte le menzogne convenzionali che costituiscono ancora i relitti del grande naufragio delle ideologie wilsoniane.

Una di queste illusioni è a terra: è l'illusione del disarmo. Nessuno vuole disarmare per primo, e disarmare tutti insieme è impossibile ed assurdo.

Eppure, quando si riunì a Ginevra la Conferenza del disarmo, la regìa funzionò in pieno. Questa regìa consiste nel gonfiare le vesciche sino a farne diventare delle montagne. Su queste montagne si concentra per alcuni giorni tutto il fuoco dei proiettori della pubblicità mondiale, poi, ad un certo momento, da queste montagne esce un minuscolo topo che va a finire nei labirinti di una procedura che, in fatto di trovate fertili, non ha precedenti nella storia.

Per noi fascisti, abituati ad esaminare con occhio freddo la realtà della vita e della storia, altra illusione, che noi respingiamo, è quella che passa sotto il nome di « sicurezza collettiva ».

La. sicurezza collettiva non è mai esistita, non esiste, non esisterà mai. Un popolo virile realizza nei suoi confini la sua sicurezza collettiva e rifiuta di affidare il suo destino alle mani incerte dei terzi.

Altro luogo comune che bisogna respingere è la pace indivisibile. La pace indivisibile non potrebbe avere che questo significato: la guerra indivisibile, ma i popoli si rifiutano, e giustamente, di battersi per interessi che non li riguardano.

La stessa Società delle Nazioni si basa sopra un assurdo che consiste nel criterio dell'assoluta parità giuridica fra tutti gli Stati, mentre gli Stati si differenziano almeno dal punto di vista della loro storica responsabilità.
Per la Società delle Nazioni il dilemma si pone in termini chiarissimi: o rinnovarsi, o perire.

Poiché è estremamente difficile che essa possa rinnovarsi, per nostro conto può anche tranquillamente perire. Comunque, noi non abbiamo dimenticato e non dimenticheremo che la Società delle Nazioni ha organizzato con metodi di una diligenza diabolica l'iniquo assedio contro il Popolo Italiano, ha tentato di affamare questo Popolo nella sua concreta vivente realtà degli uomini, delle donne, dei fanciulli, ha cercato di spezzare il nostro sforzo militare, l'opera di civiltà che si compiva a circa quattromila chilometri di distanza dalla Madre Patria.

Non c'è riuscita: non c'è riuscita non già perché non lo volesse: ma perché ha trovato di fronte (la folla urla: « il Duce! ») l'unità compatta del Popolo Italiano, capace di tutti i sacrifici e anche di battersi contro cinquantadue Stati coalizzati.

Del resto per fare una politica di pace non è necessario di passare per gli ambulacri della Società delle Nazioni.

Qui, o camerati, io faccio quello che nella navigazione si chiama il punto. Dopo diciassette anni di polemiche, di attriti, di malintesi, di problemi rimasti in sospeso, nel gennaio 1935 si realizzavano degli accordi con la Francia. Questi accordi potevano e dovevano aprire una nuova epoca di relazioni veramente amichevoli tra i due Paesi.

Ma vennero le sanzioni. Naturalmente l'amicizia subì un primo congelamento. Eravamo alle soglie dell'inverno. Passò l'inverno e giunse la primavera e con la primavera le nostre trionfali Vittorie. Le sanzioni continuavano ad essere applicate con un rigore veramente meticoloso. Da almeno due mesi eravamo ad Addis Abeba e ancora duravano le sanzioni. Caso classico della lettera che uccide lo spirito, del formalismo che strangola la vivente concreta realtà della vita.

La Francia ancora oggi tiene il dito puntato sugli ingialliti registri di Ginevra e dice: l'Impero del morto ex Leone di Giuda è ancora vivo. Ma al di là dei mastri ginevrini, che cosa dice la realtà della nostra Vittoria? Che l'Impero del Negus è stramorto.

È di tutta evidenza che sino a quando il Governo francese terrà, nei nostri confronti, un atteggiamento di attesa riservata, noi non potremo fare che altrettanto.

Uno dei Paesi confinanti con l'Italia e con il quale le nostre relazioni furono, sono e saranno sempre estremamente amichevoli, è la Svizzera. Paese piccolo, ma di una importanza grandissima e per la composizione sua etnica e per la posizione geografica che occupa nel quadrivio d'Europa.

Con gli accordi dell'11 luglio un'epoca nuova si è aperta nella storia dell'Austria moderna. Gli accordi dell'11 luglio, ne prendano nota tutti i commentatori frettolosi e male informati, erano da me conosciuti ed approvati sin dal 5 giugno, ed è mia convinzione che tali accordi hanno irrobustito la compagine statale di questo Stato e ne hanno anche maggiormente garantita l'indipendenza.

Sinché non sarà resa giustizia all'Ungheria non vi potrà essere sistemazione definitiva degli interessi nel bacino danubiano. L'Ungheria è veramente la grande mutilata: quattro milioni di magiari vivono oltre i suoi confini attuali. Per volere seguire i dettami di una giustizia troppo astratta, si è caduti in un'altra ingiustizia forse maggiore.

I sentimenti del Popolo Italiano verso il Popolo magiaro sono improntati ad uno schietto riconoscimento, che del resto è reciproco, delle site qualità militari, del suo coraggio, del suo spirito di sacrificio. Ci sarà forse prossimamente una occasione solenne nella quale questi sentimenti del Popolo Italiano troveranno pubblica e clamorosa manifestazione.

Quarto Paese confinante con l'Italia: la Jugoslavia. In questi ultimi tempi l'atmosfera tra i due Paesi è grandemente migliorata.

Voi ricorderete che due anni or sono, in questa stessa piazza, io feci un chiaro accenno alla possibilità di stabilire rapporti di cordiale amicizia fra i due Paesi. Riprendo oggi questo motivo e dichiaro che oggi ormai esistono le condizioni necessarie e sufficienti di ordine morale, politico ed economico per mettere su nuove basi di una concreta amicizia i rapporti fra questi due Paesi.

Oltre a questi che sono i quattro Paesi confinanti con l'Italia, un grande Paese ha in questi ultimi tempi raccolto vaste simpatie nelle masse del Popolo Italiano: parlo della Germania.

Gli incontri di Berlino hanno avuto come risultato una intesa fra i due Paesi su determinati problemi, alcuni dei quali particolarmente scottanti in questi giorni. Ma queste intese, che sono state consacrate in appositi verbali debitamente firmati, questa verticale Berlino-Roma, non è un diaframma, è piuttosto un asse attorno al quale possono collaborare tutti gli Stati europei animati da volontà di collaborazione e di pace.

La Germania, quantunque circuita e sollecitata, non ha aderito alle sanzioni. Con l'accordo dell'11 luglio è scomparso un elemento di dissensione fra Berlino e Roma e vi ricordo che, ancora prima dell'incontro di Berlino, la Germania aveva praticamente riconosciuto l'Impero di Roma.

Nessuna meraviglia se noi oggi innalziamo la bandiera dell'anti-bolscevismo. Ma questa è la nostra vecchia bandiera! Ma noi siamo nati sotto questo segno, ma noi abbiamo combattuto contro questo nemico, lo abbiamo vinto, attraverso i nostri sacrifici ed il nostro sangue. Poiché quello che si chiama bolscevismo o comunismo non è oggi, ascoltatemi bene, non è oggi che un supercapitalismo di Stato portato alla sua più feroce espressione: non è quindi una negazione del sistema, ma una prosecuzione ed una sublimazione di questo sistema.

E sarebbe ora di finirla con il mettere in antitesi il Fascismo e la democrazia. Veramente si può dire che questa nostra grande Italia è anche la grande sconosciuta. Se molti di questi ministri, deputati e generi affini che parlano per "sentito dire" si decidessero una buona volta a varcare la frontiera d'Italia, si convincerebbero che se c'è un Paese dove la vera democrazia è stata realizzata, questo Paese è l'Italia fascista. Poiché noi - o reazionari di tutti i Paesi, veri ed autentici reazionari di tutti i Paesi - noi non siamo gli imbalsamatori di un passato, siamo gli anticipatori di un avvenire.

Noi non portiamo alle estreme conseguenze la civiltà capitalista sopra tutto nel suo aspetto meccanico e quasi antiumano; noi creiamo una nuova sintesi e, attraverso il Fascismo, apriamo il varco alla umana vera civiltà del lavoro.

Mi sono occupato sin qui del continente. Bisogna che gli Italiani a poco a poco si facciano una mentalità insulare, perché è l'unico modo per porre al giusto piano i problemi della difesa navale della Nazione.

L'Italia è un'isola che si immerge nel Mediterraneo. Questo mare (io qui mi rivolgo anche agli Inglesi che forse in questo momento sono alla radio), questo mare per la Gran Bretagna è una strada, una delle tante strade, piuttosto una scorciatoia con la quale l'Impero britannico raggiunge più rapidamente i suoi territori periferici.

Sia detto tra parentesi che quando un italiano, il Negrelli, progettò il taglio dell'istmo di Suez, soprattutto in Inghilterra fu considerato un mentecatto.

Se per gli altri il Mediterraneo è una strada, per noi Italiani è la vita. Noi abbiamo detto mille volte, e ripeto dinanzi a questa magnifica moltitudine, che noi non intendiamo di minacciare questa strada. Non ci proponiamo di interromperla, ma esigiamo d'altra parte che anche i nostri diritti ed interessi vitali siano rispettati.

Non ci sono alternative: bisogna che i cervelli ragionanti dell'Impero britannico realizzino che il fatto è compiuto ed irrevocabile. Più presto sarà e tanto meglio sarà.

Non è pensabile un urto bilaterale e meno ancora è pensabile un urto che da bilaterale diventerebbe immediatamente europeo. Non c'è quindi che una soluzione: l'intesa schietta, rapida, completa sulla base del riconoscimento dei reciproci interessi.

Ma se così non fosse, se veramente, cosa che io escludo sin da oggi, si meditasse, veramente, di soffocare la vita del Popolo Italiano in quel mare che fu il mare di Roma, ebbene si sappia che il Popolo Italiano balzerebbe come un solo uomo in piedi (la folla urla: « Sì! sì!») pronto al combattimento con una decisione che avrebbe rari precedenti nella storia.

Camerati milanesi, veniamo a noi.

Le direttrici di marcia per l'anno XV sono le seguenti: pace con tutti, con i vicini e con i lontani, pace armata. Quindi il nostro programma di armamenti del cielo, del mare e della terra sarà regolarmente sviluppato. Acceleramento di tutte le energie produttrici della Nazione, nel campo agricolo e nel campo industriale. Avviamento del sistema corporativo alla sua definitiva realizzazione.

Ma vi è una consegna che io affido a voi, o milanesi di questa ardentissima e fascistissima Milano che ha rivelato in questi giorni la sua grande anima, che affido a voi, o milanesi, di questa Milano generosa, operosa, infaticabile. Questa consegna io sono sicuro che diventa per voi, nell'ora stessa in cui la pronuncio, un imperioso dovere: dovete mettervi, come vi metterete, all'avanguardia per la valorizzazione dell'Impero, onde farne, nel più breve termine di tempo possibile, un elemento di benessere, di potenza, di gloria per la Patria.

Quasi ogni periodo del Discorso è punteggiato dalle risposte del Popolo, che esprime il suo consenso con grida, con affermazioni, con promesse ardenti. Come sempre, nei Discorsi a carattere storico definitivo, la parola del Duce è un colloquio vivacissimo con la folla. E questa volta il colloquio ha il valore d'un'affermazione di potenza e d'un impegno altissimo. Le ultime parole sono seguite da una manifestazione travolgente che non sembra voler mai finire - e che lascia la sua vibrazione anche nei giorni seguenti. Tutti sentono che, nel Discorso di Milano e nell'entusiasmo che lo accompagna, è l'apoteosi dell'Impero, è l'affermazione della sua forza propulsiva nel mondo, ora e sempre, nel presente e nell'avvenire.

Il giorno 3 novembre il Duce lascia Milano per recarsi a Pavia e al Campo d'Aviazione di Lonate Pozzolo. È un breve giro trionfale. Lungo la strada, ad Abbiategrasso, a Robecco, a Magenta, a Inveruno, a Castano Primo, le popolazioni rurali e operaie aspettano il Duce e gli tributano spontanee ardentissime manifestazioni d'entusiasmo. A Pavia il Capo parla al Popolo dal Loggiato del Broletto; a Lonate Pozzolo parla, con brevità soldatesca, agli Avieri.

Intanto Milano prepara il saluto al Duce con una grande adunata nel Piazzale della Stazione Centrale. L'adunata è indetta per le 17 del 3 novembre. Alle 18 il Piazzale, mirabilmente illuminato, in un balenare fantastico di luci e di fiamme, è letteralmente gremito. Alle-19.30' il Duce appare sul podio, predisposto nel Piazzale, e, di fronte alle insistenze del Popolo, pronuncia le seguenti parole:

Camerati milanesi!

Le accoglienze che mi avete tributato mi hanno profondamente commosso.
Abbiamo trascorso insieme queste memorabili giornate di alta tensione fascista, che rimarranno per sempre scolpite nei nostri cuori.

Ora debbo partire, ma quando avrò qualche cosa da dirvi ritornerò.

Queste parole sono seguite da un'ovazione interminabile. Il Duce sosta a lungo sul podio per rispondere al saluto del Popolo di Milano. Quindi si ritrae ed entra nella Stazione ove, sotto la tettoia, seguito da S. E. Dino Alfieri, Ministro per la Stampa e la Propaganda, e dai Gerarchi milanesi. Qui, passato in rivista lo schieramento di una Batteria del III Reggimento Artiglieria, di un plotone della XXIV Legione Carroccio, di due centurie di Giovani Fascisti e Guf e del plotone federale lancieri con il Labaro della Federazione - riceve altri omaggi dai rappresentanti delle attività milanesi. Poi si avvicina al treno e prima di partire comunica al Federale di Milano, Rino Parenti, il suo vivo compiacimento e il suo alto elogio.

Intanto, sul Piazzale, la dimostrazione della folla continua - e per tutta la serata, e per tutto il giorno seguente, IV Novembre, la Città del Lavoro appare animata da un movimento, da un fervore, da un senso festante - in cui si sente il nobile orgoglio suscitato dalle parole del Duce, e la ferma volontà di essere all'altezza della consegna affidata al Popolo di Milano.