Saturday, 3 March 2012

Discorso di Milano, 31 marzo 1923

Il problema dell'emigrazione

di Benito Mussolini

Ella, signor direttore, mi ha compromesso: perché ha annunziato un mio discorso: ora quasi tutti gli italiani e le italiane sanno che io non amo i discorsi; ma io accetto con lieto animo stamane e mi rassegno a questa eccezione. Ella mi ha pure commosso perché ha rievocato con voce calda di passione la storia di questa Scuola, storia superba che tutta Milano conosce ed ammira. Anche in questo campo, che si potrebbe definire attinente al problema dell'emigrazione, la Scuola « Carlo Tenca » lascia impregiudicato il problema se la emigrazione sia un beneo sia un male; ella ha fatto benissimo. Poiché quando si discute in tesi di massima si può discutere all'infinito ad una conclusione.

Bene o male che è una necessità fisiologica del popolo senza venire mai sia, l'emigrazione italiano. Siamo quaranta milioni serrati in questa nostra angusta e adorabile penisola che ha troppe montagne ed un territorio che non può nutrire tutti quanti. Ci sono attorno all'Italia paesi che hanno una popolazione inferiore alla nostra ed un territorio doppio del nostro. Ed allora si comprende come il problema dell'espansione italiana nel mondo si aun problema di vita o di morte per la razza italiana. Dico espansione: espansione in ogni senso: morale, politico, economico, demografico. Dichiaro qui che il governo intende tutelare l'emigrazione italiana: esso non può disinteressarsi di coloro che varcano i monti e vanno al di là dell'oceano; non può disinteressarsi perché sono uomini, lavoratori, e soprattutto italiani. E dovunque è un italiano là è il tricolore, là è la Patria, là è la difesa del Governo per questi italiani.

Io sento tutto il fermento potentissimo di vita che agita la nuova generazione della stirpe italiana. Voi certamente avrete meditato qualche volta su questo che si potrebbe chiamare un prodigio nella storia del genere umano: non si fa della retorica, se si dice che il popolo italiano è il popolo immortale che trova sempre una primavera per le sue speranze, per la sua passione, per la sua grandezza. Pensiamo che appena due mila anni or sono Roma era il centro di un Impero che non aveva confini se non nei limiti estremi del deserto: che Roma aveva dato la civiltà, la sua grande civiltà giuridica, solida come i suoi monumenti, a tutto il mondo, che aveva realizzato un prodigio immenso che ancora ci commuove fin nelle più intime fibre.Poi questo Impero decade e si sgretola. Ma non è vero che tutti i secoli che si sono susseguiti allo sfacelo del mondo romano siano di oscurità e di barbarie. Ad ogni modo ecco che dopo pochi secoli lo spirito italiano che aveva sofferto di questa eclissi e che probabilmente, durante questo periodo di sosta, si era armato potentemente per le nuove conquiste, ecco lo spirito italiano che sboccia attraverso la creazione imperitura di Dante Alighieri.

Noi eravamo grandi nel 1300 quando gli altri popoli erano mal vivi o non erano ancora nati alla storia. Seguono i secoli superbi; il Rinascimento. L'Italia dice ancora una volta la parola della civiltà a tutte le razze, a tutti i popoli. Un'altra eclissi politica di divisione e di discordie: ma è appena un secolo e il popolo italiano si riprende, riacquista la coscienza della sua unità storica. Roma ritorna ancora a suonare la sua fanfara di gloria per tutti gli italiani, si riprende l'uso delle armi che sono necessarie quando si tratta di salvare la propria libertà, la propria grandezza e il proprio futuro. Piccole guerre; un unico Stato, cospirazioni, rivoluzione di un popolo, martiri, supplizi, galere, esilii. E appena dopo un secolo con l'ultima guerra noi realizziamo la nostra unità politica. Accanto a questa unità politica e geografica mancava la unità morale; la coscienza di se stessi e dei propri destini, sebbene con la guerra vittoriosa anche questa formazione di coscienza è in atto. Sotto i nostri sguardi a poco a poco l'Italia si fa nella sua unità indistruttibile.

Il mio Governo abolisce i campanili perché gli italiani non vedano che l'immagine augusta della Patria. Questa è l'opera alla quale il mio Governo intende con tutta la sua passione e con un senso religioso di fede. Io sono ottimista, o signori, sui destini d'Italia! Sono ottimista per un semplice atto di volontà, perché la volontà è una forza grande nella vita degli individui e nella vita dei popoli.

Bisogna volere, fortemente volere! Solo con questa potenza di volontà potremo superare ogni ostacolo. Dobbiamo essere pronti a tutti i sacrifici.

Raccogliamoci adunque in un momento di meditazione dopo questa rapida corsa nel passato. Noi amiamo proiettare la nostra volontà orgogliosa del nostro tempo verso l'avvenire. Questa gioventù italiana aspra, intrepida, irrequieta, ma fortissima, è per me la certissima garanzia che l'Italia marcia verso un avvenire di libertà, di prosperità e di grandezza. Raccogliamoci in questa visione: tendiamo tutti i nostri nervi e tutta la nostra passione verso questo futuro che ci attende e gridiamo con religioso fervore.

Viva l'Italia!