Fascismo e sindacalismo
di Benito Mussolini
Cari amici!
Assolvo con vivo entusiasmo l'incarico che mi è stato affidato dalla Direzione del Partito, dal Fascio Milanese e dal Gruppo parlamentare fascista, di portare il saluto cordiale e fraterno di tutto il fascismo italiano alla prima adunata nazionale delle Corporazioni sindacali. Dico con vivo entusiasmo non per fare della retorica. La frase risponde veramente, intimamente, al mio pensiero e al mio sentimento. Ho l'immodestia di ricordare che io sono stato uno dei primi in Italia, nell'immediata dopoguerra, che ha tentato ed è riuscito a mettere in circolazione i concetti del sindacalismo nazionale o fascista. Il seme non fu gettato invano se oggi, a così breve distanza di tempo, ci è concesso di assistere a questa imponentissima adunata di forze autentiche dell'autentico popolo lavoratore italiano. Non si tratta ormai di indagare se si debba o non si debba fare del sindacalismo perché il quesito è già stato risolto, prima ancora che dalle teorie, dalle pratiche necessità della vita.
Signori!
Bisogna, quando si vuole vincere, sabotare e distruggere il nemico in tutti i suoi ripari, in tutte le sue trincee. Finché il fascismo si occupava prevalentemente di problemi di politica estera, il socialismo si manteneva in un atteggiamento di ostilità perché ci dipingeva come degli imperialisti e dei guerrafondai ansiosi di nuove avventure, ma in realtà sentiva che le sue accuse erano false.
Quando noi siamo entrati direttamente nei loro vigneti, quando abbiamo cercato di raccogliere delle masse lavoratrici, quando abbiamo costituito dei sindacati e delle cooperative, allora il Pus è diventato furibondo perché ha sentito che noi portavamo la lama acuminata del nostro ferro nel suo punto più sensibile e vitale.
E poi c'è una ragione molto più semplice e molto più profonda, o amici, ed è questa: nella nazione ci sono anche e soprattutto i lavoratori.
Lavoratori dello spirito, lavoratori del braccio. Il nostro sindacalismo li comprende tutti e stabilisce fra di essi le necessarie gerarchie. È evidente, e lo ha riconosciuto anche Lenin in Russia, che l'ingegnere deve essere pagato più del manovale.
Ci sono, vi dicevo, questi sedici o diciotto o venti milioni di lavoratori dello spirito e del braccio. Possiamo noi trascurarli? Dobbiamo noi considerarli come materia vile ed intrattabile? Dobbiamo lasciare che questa materia, che non è vile e che non è intrattabile, continui ad essere il monopolio sfruttato dai demagoghi rossi? No, non è possibile! Non si può prescindere dalle classi che lavorano, se si vuole veramente la grandezza della nazione. Le classi lavoratrici, tranquille, ordinate, coscienti sono una garanzia: non un impedimento alla grandezza della Patria. Bisogna dunque fare del sindacalismo. Ma quale sindacalismo? Ed è su questo punto che io mi permetto di richiamare la vostra attenzione. Gli uomini che sono alla testa delle Corporazioni nazionali sindacali, mi danno pienissimo affidamento che il sindacalismo fascista non sarà mai in nessun caso la copia del sindacalismo socialista od estremista. Il nostro sindacalismo deve essere qualitativo, non quantitativo. Non possiamo respingere le masse, ma non dobbiamo nemmeno cercarle troppo e lusingarle e promettere loro cose che poi non è possibile mantenere. Come il fascismo politico rappresenta nella società nazionale italiana una aristocrazia: del coraggio, della volontà e della fede, così il sindacalismo fascista deve raccogliere le aristocrazie del proletariato, perché chi possiede la qualità finirà, se lo vuole e lo desidera, per trascinare la quantità. A questi criteri certamente si ispira il mio amico Rossoni, la cui attività io seguo da ormai dieci anni. Egli è stato uno dei primi, in America, a proclamare sul suo giornale che la Patria non si nega, perché è soprattutto ridicolo negarla, ma si conquista. Egli, avendo vissuto per lungo tempo all'estero, si è convinto che certamente le classi, non due ma duecento; sono una realtà, ma che altrettanto realtà è quella costituita dal fatto insopprimibile, storico, fisiologico, morale: la nazione.
Bisogna dunque conciliare nel sindacalismo fascista questi tre elementi: la nazione, la produzione, gli interessi delle categorie che lavorano.
Bisogna dunque ché il sindacalismo fascista sia la risultante, la fusione armonica ed armoniosa del passato, che grandi cose ci insegna e ci ha tramandato, e dell'avvenire, verso il quale tendiamo con tutte le nostre forze; del diritto e del dovere; della esperienza acquisita e della esperienza che è necessario tentare. Questo deve essere, questo sarà il sindacalismo fascista italiano. Ed accanto al fascismo politico, che è, certissimamente, dopo il fenomeno bolscevica, il fenomeno più interessante e più ricco di destino che sia sorto nell'Europa del dopoguerra, deve sorgere il sindacalismo fascista, il quale liquiderà tutti i postumi dei dogmi socialistici crollati sotto l'urto della guerra. Il sindacalismo fascista deve costituire la giovinezza impetuosa e travolgente del proletariato italiano che ha ritrovato la Patria, che vuole renderla prosperosa, grande e libera. Largo, dunque, a queste prime avanguardie di lavoratori fascisti, che a Rovigo, a Ferrara, a Bologna hanno dimostrato quanta capacità di sacrificio sia nelle loro anime! Largo a tutta l'aristocrazia del lavoro, perché essa deve preparare i nuovi e più grandi destini della Patria.