Alle gerarchie trentine
di Benito Mussolini
Sono molto lieto di ricevervi.
Nella memorabile giornata del 30 agosto 1935, ho sentito, dico sentito, vibrare col mio il cuore dei trentini. In quella superba adunata, l'adesione al fascismo da parte del vostro popolo è apparsa entusiastica e totalitaria. Tale adesione non si è affievolita negli anni e si mantiene in questo particolare momento della storia d'Italia e del mondo integra e fedele. Perciò il saluto che voi mi recate a nome di esso mi è caro, ed io so di poter contare in ogni congiuntura sulla fedeltà e sullo spirito di sacrificio delle genti trentine.
In questo particolare momento, noi che abbiamo sempre predicato da questo balcone la necessità di preparare una gioventù guerriera, esaltando la « selva di baionette », non possiamo rimanere dietro le persiane. Né potrebbe essere diversamente, giacché il nostro movimento rivoluzionario è sorto sotto il nome di Fasci Italiani di Combattimento; Fasci che avrebbero potuto chiamarsi di « riorganizzazione » o di «ricostruzione » o di « rinascita nazionale », ma che, invece, scelsero quale strumento delle auspicate conquiste proprio il combattimento, senza venir meno, finora, a tale ineluttabile legge di vita.
Ed io so che le grandi masse del popolo italiano sono con noi. Tuttavia non mancano ai margini elementi che preferirebbero non battersi e che possono essere così individuati:
1. - Quelli che non si battono per una ragione, dirò così, fisica, e con essi non c'è nulla da fare. La paura è più forte di loro.
2. - Quelli che non vorrebbero battersi perché conservano ancora delle « filie »; ora noi fascisti non abbiamo che una « filia » : quella per l'Italia.
3. - Quelli che si lasciano trascinare dal sentimento. Ma in politica il sentimento non deve esistere. La politica è guidata solo dall'interesse ed i nostri interessi cozzano contro quelli delle demoplutocrazie.
Vi sono poi quelli che pregano e fanno pregare per la pace. Potete essere certi che costoro, il giorno in cui rinunciassimo al raggiungimento delle nostre rivendicazioni, sarebbero i primi a rinfacciarcelo, facendone un'arma per chissà quali fini, giacché noi sappiamo quali riserve alberghino nella controcassa dell'anticamera del loro cervello.
Ma tutti questi elementi verranno inesorabilmente travolti, quando il momento scoccherà sul quadrante della storia. Se è vero, come è vero, che oggi si sta rifacendo la carta geografica dell'Europa, è altrettanto vero che l'Italia non può rimanere fuori dal conflitto, e in questo caso la pace sarebbe fatta senza di essa e contro di essa e la nostra patria scadrebbe dal ruolo di grande potenza mondiale a nazione di secondo ordine, sarebbe declassata é questo io non lo permetterò mai. La nostra penisola non si trova relegata ai margini dell'Europa, lontana dai grandi cozzi dei popoli e fuori delle linee della grande storia, come la Spagna. Al contrario, posta come è al centra tra la Germania e la Francia, non può rimanere assente dalla lotta. Finché la guerra era in Polonia e anche in Norvegia, poteva sussistere per noi lo stato di non belligeranza; ma ora che la guerra è giunta a Lione e Tolone, e par di sentire il rumore delle esplosioni proprio in vista di quel Mediterraneo dove l'Italia è prigioniera, noi non possiamo rimanere in questa posizione.
Ora l'Italia deve rompere finalmente questo cerchio di ferro. Inoltre deve far fronte ai suoi impegni d’onore. Se questo non avvenisse, se il popolo italiano non facesse onore alla sua firma, il giudizio del mondo su di noi sarebbe inesorabile. E’ fatale che la famiglia di cinque figli affamati salti al collo di una famiglia di un solo figlio ben pasciuto; e questo è precisamente il caso della Germania e dell'Italia.
Tuttavia quanto oggi avviene poteva essere evitato. È dal 1919 che noi sosteniamo il nostro punto di vista revisionistico e il Patto a quattro del 1934 poteva essere il mezzo più efficace per iniziare ed attuare una politica, dirò così, evolutiva. Ma la politica del Patto a quattro fu chiamata la politica « dei salumai » perché voleva tagliare a fette l'Europa. Il Patto cadde. Se la Francia e l'Inghilterra non si fossero allora chiuse nel loro sordo egoismo e nel loro cieco rancore, le sorti d'Europa sarebbero ora diverse, come, secondo dicono alcuni storici, sarebbero state diverse le sorti del mondo solo che Cleopatra avesse avuta il naso un centimetro più lungo.
Ma la politica, o camerati trentini, non si fa con i « se » o con i « ma » e noi stimiamo i popoli che si battona. Per tutto quanto vi ho detto è dunque inevitabile, dico inevitabile, che l'Italia intervenga e interverrà.
Quando? Non è qui il luogo e il momento di fissare delle date. Quando l'ora verrà, noi marceremo. Con questo non voglio dire che la nostra azione debba essere imminente, per quanto la storia proceda con il ritmo veloce delle divisioni corazzate e motorizzate. Sarebbe follia non guardare in faccia la realtà. Realtà che, ad un certo momento, noi dovremo affrontare con quella spirito eroico che non ci è mai venuto meno durante questi venti anni di martellante lotta e di vittoria.
Quanto ai risultati, non vi possono essere dubbi. Non è mai avvenuto che la conservazione trionfi sulla rivoluzione e non avverrà neppure questa volta. Un vecchio generale austriaco che si faceva portare in combattimento sulla barella rimproverava a Napoleone, giovane che stava venti ore a cavallo, di capovolgere tutti i concetti tradizionali della strategia; ma il fatto è che Napoleone lo batteva.
Anche noi abbiamo spezzato vittoriosamente certe tradizioni e il nostro Gambara nella battaglia della Catalogna non si è preoccupato dei fianchi, ma è penetrato profondamente nel vivo del territorio nemico, tutto travolgendo nella sua marcia veloce e irruente, occupandosi solo in un secondo tempo delle brigate rosse attardatesi ai lati.
Ora voi, tornando alla vostra sede, sapete che cosa dovete dire e fare nei fasci, nei gruppi rionali, nei circoli, negli uffici, in famiglia, nei caffè, anche nei caffè, voi dovete sostenere che il nostro destino è ormai maturo e inevitabile. Quando gli eventi ci chiameranno al cimento, la vita civile dovrà continuare e continuerà. Non la vita mondana, comoda e inutile, bensì quella di un lavoro serio e costruttivo che edifica per il presente e per il futuro.