Saturday 3 March 2012

Discorso di Roma, 22 luglio 1924


di Benito Mussolini

Le dramatis personae degli avvenimenti di queste ultime settimane sono da individuare come segue. Cominciamo, per cavalleria, dalle opposizioni. Fu già detto che in Italia c'erano troppe opposizioni per esserci una opposizione degna di questo nome. L'opposizione ha troppe facce e troppe anime. Si avvertono già delle insofferenze a cagione dell'eccessiva promiscuità. L'opposizione parlamentare, che si è ritirata sull'Aventino dove nessun Menenio Agrippa fascista andrà a recitare il famoso apologo, è assai diversa da quella dei comitati locali. Già sorgono delle accuse e spuntano in folla accusatori con l'indice teso.

Gli « aventinisti medagliettati » corrono il rischio di essere bollati come « pompieri » dai provinciali. La verità è che i parlamentari non possono fare altro che passivamente attendere, ed i non parlamentari non possono che votare degli ordini del giorno coi quali ingannano a loro volta l'attesa. Né gli uni né gli altri sono in grado nemmeno di pensare di rovesciare il Governo fascista. Voto parlamentare ed insurrezione antifascista sono entrambi impossibili.

Eventuali ulteriori secessioni non sposterebbero i termini della situazione. Più l'opposizione si gonfia, più diventa idropica ed impotente, più si acutizzano le nausee della promiscuità prolungata.

Che il mucchio dell'opposizione possa apparire vastissimo non vi è dubbio. Ben dieci sono in Italia i Partiti e sei o sette i gruppi antifascisti. Elenchiamoli in fila indiana. Forse qualcuno comincerà a vergognarsi di trovarsi in tanto numerosa compagnia... Anarchici, comunisti, massimalisti, unitari, repubblicani, popolari, democratici sociali, democratici costituzionali, contadini, partito sardo e lucano d'azione.

Trascuriamo le varie unioni spirituali meridionali locali: i gruppi Italia libera, Patria e Libertà, Rivoluzione liberale, nonché i dissidenti più o meno fascisti. A tutti questi partiti e gruppi bisogna aggiungere la Massoneria giustinianea, che ha dichiarato ufficialmente la guerra al regime fascista.

Ebbene, io penso che sia il massimo titolo di orgoglio pel Fascismo italiano l'aver schierate innanzi a sé così numerose falangi di nemici. Il Fascismo deve rappresentare l'elemento di assoluta originalità nella vita italiana, se viene fatto oggetto di così imponenti ostilità. Non credo che a questa grande, e in fondo grottesca, armata antifascista si aggregherebbero quei liberali che sono entrati nel listone. Che i fascisti siano dei compagni di viaggio spesse volte esuberanti, io lo ammetto senza difficoltà. Che i fascisti stentino un poco a raccapezzarsi fra le diverse specie di liberalismo contrastanti, può anche darsi; ma io mi guardo bene dal dimenticare che i liberali di destra hanno tenuto un contegno di perfetta, amichevole lealtà verso i fascisti, tanto da meritare l'appellativo di fascisti onorari; ed hanno quindi diritto da parte dei fascisti alla più cordiale reciprocità di trattamento.

I voti recentemente emessi a favore del Governo da importanti sodalizi liberali, a Venezia, a Milano, a Roma stessa, dimostrano che una frazione imponente del liberalismo non scende a far comunella con quelle opposizioni che vanno da Torrigiani a Don Sturzo attraverso Modigliani, e che sono in ritardo di due anni poiché vorrebbero riportare l'Italia semplicemente alla situazione dell'estate del 1922.

Gli oppositori, qual più qual meno, chiedono la normalizzazione. Ecco una parola di moda, una parola che diventa sempre più sospetta con l'uso e l'abuso che se ne fa. Parola elastica che ognuno degli oppositori interpreta a suo piacimento. Di che si tratta in concreto? Normalizzazione vuol dire forse ordine pubblico? Esso è perfetto e garantito. Non è stato turbato nei giorni della maggiore emozione. Vuol dire continuità delle attività nazionali, pubbliche e private? Ognuno vede che tale continuità esiste e dà i suoi frutti.

Non si crei l'arbitraria ridicola distinzione fra ordine esteriore e ordine interiore; comunque l'ordine mantenuto all'interno come mero effetto di influenze spirituali, non esiste in nessun paese del mondo, poiché in tutti i paesi del mondo esistono fautori del disordine che tutti i Governi, anche i più liberali, controllano e puniscono.

La normalizzazione significa una maggiore costituzionalità della Milizia? È ormai un fatto compiuto, come dirò fra poco. Significa repressione dell'illegalismo? Le cronache giudiziarie di questi ultimi tempi grondano, se non di sangue, di anni di galera distribuiti ai fascisti con una prodigalità che io mi guardo bene dal discutere, e che accetto anzi senza discussione.

L'illegalismo fascista dunque è impedito o è represso, mentre riprende l'illegalismo politico morale dei Partiti antinazionali.

La normalizzazione significa forse il processo al regime? Allora noi rispondiamo che il regime non si fa processare se non dalla storia.

In realtà, fuori dai torbidi equivoci e dalle oblique restrizioni mentali, si sa ormai che cosa intendono per normalizzazione gli oppositori. Intendono un'azione antifascista. Essi stabiliscono l'equazione « normalità : antifascismo ». È chiaro allora che, posto in questi termini, non esiste più un problema di normalizzazione, ma un problema di forza tra Fascismo e antifascismo. Se l'antifascismo è normalizzatore, il Fascismo non può non essere, per ovvie ragioni di vita, che antinormalizzatore.

La normalizzazione, in ciò che essa concretamente significa, può ormai dirsi un fatto compiuto. È dunque evidente che antinormalizzatori sono precisamente gli antifascisti. E questo comincia chiaramente ad intendere il popolo italiano. Insomma, per certi signori, la normalizzazione dovrebbe consistere in una volontaria abdicazione del Fascismo agli attributi della sua virilità. Del resto, Partito e Governo procedono sulla via dell'unica normalizzazione possibile: quella fascista.

Argomento di viva discussione è la Milizia. Giova notare che sino al giugno non parve esistere un problema della Milizia se non per il Fascismo. Voi ricordate che il Sovrano la costituzionalizzò nel suo messaggio della Corona al Parlamento.

È solo dopo l'assassinio di Matteotti che il problema della Milizia balza al primo piano. Può sembrare strano agli allocchi, ma è semplicissimo. Le opposizioni dell'estrema sinistra hanno chiesto lo scioglimento immediato della Milizia, come se fosse la Guardia regia. Le altre chiedono che essa perda il suo carattere di partito. Conviene precisare una volta per tutte.

Il problema della Milizia è semplice, quando nell'esaminarlo esiste la buona fede e non si dimentica il passato. Chi sia tentato o di sapere come è nata o come si è sviluppata e trasformata la Milizia, può andare a rileggere le decisioni del Gran Consiglio nelle sessioni del 1923. La Milizia poteva dirsi di parte, per quanto concerne il reclutamento; e ciò è inevitabile, poiché ogni reclutamento volontario avviene, e non potrebbe essere altrimenti, soltanto o di preferenza in una determinata zona di cittadini che hanno determinate idee e sentimenti; ma la Milizia non fu mai di parte nei suoi cómpiti e nei suoi scopi. Il titolo stesso l'indicava: non Milizia fascista o Milizia per la Sicurezza Nazionale, ma Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

È significativo che, mentre il Gran Consiglio tiene la sua sessione, si concentrano a Siracusa due legioni di Camicie Nere, che si dirigono in Libia a sostituirvi le truppe metropolitane. Non si dirà, speriamo, che ci vanno per scopi di partito!

Ora, sulla Milizia sono sorti parecchi equivoci. Si è parlato di fusione coll'Esercito. Tale fusione non fu mai nemmeno discussa o semplicemente ventilata, tanto il suo assurdo è evidente. L'Esercito è tutt'altra cosa della Milizia. I due elementi non sono fondibili né confondibili. La coscrizione è la base necessaria dell'Esercito; il volontariato è la base necessaria della Milizia.

Ma anche sull'inquadramento c'è stata la confusione delle lingue. Non si tratta di fare della Milizia un supplemento dell'Esercito, o peggio un doppione dell'Esercito; si tratta di assegnare alla Milizia cómpiti che l'Esercito, per la sua stessa natura, non può più esercitare; cómpiti limitati, specifici, nettamente definiti, in modo da evitare contrasti e frizioni. Cómpiti premilitari, che la Milizia assolve già nella divisione di Pola, ad esempio, e altrove.

Veniamo alla costituzionalizzazione. Anche qui bisogna chiarire. Esiste già una costituzionalizzazione della Milizia per la buona ragione che la Milizia è sorta in seguito ad un regolare voto unanime del Consiglio dei Ministri, tradottosi in apposito decreto-legge, firmato regolarmente dal Sovrano. Si tratta, caso mai, di un perfezionamento, che già da tempo formulai, come programma; perfezionamento, che è già stato concretato e concordato in un progetto di legge da presentarsi al prossimo Consiglio dei Ministri. Per tutto il resto la Milizia rimane qual'è.

Per l'impiego resta naturalmente agli ordini del Capo del Governo, come del resto tutte le altre forze armate dello Stato. Rimane la gloriosa camicia nera. Per l'orga nizzazione e formazione, quella romana. La Milizia non può né deve perdere le sue caratteristiche, cioè le sue istituzioni, il suo spirito, il suo stile.

È ovvio che il reclutamento allargato deve essere molto maggiormente cautelato. È chiaro che, oltre i fascisti, solo elementi di sicura e provata fede nazionale potranno entrarvi. Spetta quindi ai fascisti il cómpito preciso di fornire incessantemente dei legionari alla Milizia, la quale, come si legge in una memorabile mozione del Gran Consiglio del settembre 1923, « rappresenta il fiore del partito, la guardia fedele e vigile e invincibile della Rivoluzione fascista, la riserva inesauribile d'entusiasmo e di fede nei destini della Patria, simboleggiata nell'augusta persona del Re ».

Investito improvvisamente dalla bufera, il Partito nazionale fascista ha magnificamente resistito. Vi sono state qua e là delle defezioni singole; piccoli vuoti che sono stati colmati con elementi migliori. L'utilità della grande crisi è anche data dalla liberazione dalla zavorra. Tale opera di necessaria selezione dovrà essere metodicamente continuata.

Il Governo ha modificato la sua composizione, ma senza alterare la sua fisonomia. Vi sono state anche a questo proposito delle complicazioni di cui il tempo galantuomo sta facendo giustizia. Il carattere di un Governo è segnato dalla sua origine e dal suo programma; più ancora che dai suoi uomini; ed in ogni caso si può osservare che la maggioranza dei ministri è regolarmente fascista.

Il Governo resterebbe fascista anche se per avventura 'fossero chiamate a parteciparvi altre forze più lontane, così come il Governo fu fascista nei primi mesi della sua esistenza, quando aveva nella sua composizione ben sei ministri di diversi colori, e cioè due liberali, due popolari, due democratici sociali, oltre ai due ministri militari, che non hanno partito.

Non bisogna nascondersi che il delitto Matteotti ha prodotto una profonda oscillazione morale nella massa del popolo italiano. Le ragioni di ciò sono evidenti. Anzitutto la soppressione di una vita umana; poi il modo assolutamente barbaro e bestiale; poi il tempo, poiché nessuno aspettava un delitto del genere all'indomani di un discorso pacificatore che aveva raggiunto lo scopo o poteva raggiungerlo. Infine i protagonisti o presunti tali. Il mistero delle causali per cui l'opinione pubblica ha oscillato fra questi due punti interrogativi: terrorismo o affarismo? quali i moventi?

Mettete insieme tutti questi elementi e vi spiegherete, anche senza l'inevitabile campagna giornalistica - dovuta al desiderio di sfruttare a scopo di tiratura il delitto clamoroso - l'emozione del popolo. C'è stata anche una speculazione e questa ci ha giovato. Certe esagerazioni, certe notizie fantastiche, le conseguenti smentite, il piano assurdo di allargamento all'infinito delle responsabilità morali, tutto ciò ha, dopo alcune settimane, prodotto una nuova oscillazione, in favore del Fascismo, che intanto, colle sue adunate regionali, dimostrava d'essere ancora potente ed invincibile.

Le adunate sono state grandiose, e si sono svolte nella massima disciplina. Il Direttorio provvisorio le ha sospese e ha bene operato. Non bisogna stancheggiare le nostre schiere con troppe parate. Allo stato degli atti non c'è bisogno di tenere mobilitate le nostre forze, come se pericoli reali e gravi minacciassero il Governo fascista.

In fondo, che cosa fanno le opposizioni? Fanno degli scioperi generali o parziali? delle manifestazioni di piazza? o' tentativi di rivolta armata? Niente di tutto ciò. Le opposizioni svolgono un'attività puramente di polemica giornalistica. Non possono fare altro. Per evitare che anche la semplice polemica possa turbare gli animi con ripercussioni sull'opinione pubblica non c'è bisogno di ondate sproporzionate allo scopo. Bastano i decreti sulla stampa. Non si mobilita un esercito per sfondar pochi fogli di carta. I quali poi, quando esagerano, ci giovano assai. Poiché il pubblico italiano, o sarà saturato dai giornali oppositori, e per variare riprenderà i nostri, o sarà mitridatizzato.

Cosi stando le cose, il Fascismo può restare tranquillissimo, colle armi al piede. La situazione migliorerà tanto più rapidamente quanto maggiore sarà la disciplina assolutamente legalitaria del Partito fascista. Ogni illegalità del pari rapidamente scomparirà. Il Partito fascista è il più forte e può quindi attendere con minori preoccupazioni, minori impazienze dei suoi avversari. « Mani in tasca » potrebbe essere la parola d'ordine del momento attuale.

Dichiaro che io non ho ben capito ancora dove i revisionisti vogliono andare a parare. Bisognerebbe che questi nostri amici specificassero. Si tratta di una ricaduta nello Stato democratico-liberale, con tutti gli annessi e connessi? Si vuole invece rivedere i quadri o i gregari? O si vuole - come sembrerebbe logico - rivedere le posizioni mentali e politiche del Fascismo, per adeguarle alla nuova realtà, cioè al possesso del potere politico?

In questo ultimo caso il revisionismo avrebbe una reale utilità. È evidente che, assunto il potere, bisogna diventare legalitari e non continuare ad essere dei « ri bellisti ». L'insurrezione non è un fine, è un mezzo. Oppure il revisionismo vuol ridurci ad un riesame delle nostre posizioni programmatiche? Il revisionismo, insomma, è una porta sul futuro o è un ritorno al passato? Ho allineato degl'interrogativi, che pongono il problema.

Quanto all'estremismo fascista, esso non esiste, se non come stato d'animo. Si tratta di uno stato vicino alla gelosia. C'è sempre qualcuno che teme, che sospetta, che trepida, che sta continuamente sul « chi vive ». In fondo anche questo stato d'animo insonne è necessario, come elemento compensativo delle altre tendenze al quieto vivere e al compromesso.

Il dissidentismo è un fenomeno che accompagna il Fascismo fino dalla sua origine, così come certe vegetazioni si aggrappano alla quercia. Non è mai riuscito ad uscire dal localismo e dal personalismo nemmeno quando si raccolse intorno a uomini di chiaro ingegno e di indiscussa probità politica e morale. Non preoccupa minimamente come fenomeno, sia che resti parallelo al Fascismo, sia che faccia numero colle opposizioni. Sarà questa l'ultima delle disgrazie che dovrà capitare al « cartello ».

I dissidenti vanno divisi in alcune categorie: quelli che avevano in tutto o in parte ragione, e varrebbe la pena di riammetterli nel Partito; quelli che non avevano ragione, ma si sono tenuti in atteggiamento risers ato, e costoro possono a loro volta tornare fra; noi. Gruppi di dissidenti in buona fede sono rientrati spontaneamente nel Partito. Tutti gli altri vanno lasciati fuori.

Prima di chiudere questa rassegna voglio denunziare una manovra tentata. ed abortita pietosamente: la manovra che consisteva nel riesumare il Nazionalismo per metterlo contro il Fascismo. Si può dire che il Fascismo, salvo le nuove reclute, è tutto di ex. Non ci sono che fascisti. Dalla fusione in poi gli ex-nazionalisti sono stati dei fascisti puramente e semplicemente. I posti da essi occupati sono inferiori a quelli cui potevano aspirare data la loro preparazione dottrinaria. Il Fascismo, preso sempre dalla necessità dell'azione, non ha mai avuto tempo di piegarsi in se stesso, per meditare sui problemi essenziali.

In un periodo di alta tensione politica, il riserbo sul cómpito di domani s'impone, in ispecie nel mio caso. Si tratta di stabilire degli orientamenti, necessariamente generali, e di approntare gli strumenti per tutte le congiunture, anche per quelle che appaiono impossibili.

Il prossimo Consiglio Nazionale ha il cómpito di dare finalmente un governo al Partito. Tale governo deve uscire liberamente dalla discussione e dal voto. Tale governo deve essere posto in grado di governare il Partito. Se mai fosse concesso di anticipare, io credo che il nuovo governo dovrà agire sul Partito inflessibilmente, per migliorarlo e renderlo idoneo alle nuove necessità. Non solo bisogna liberarsi dai fannulloni, dai profittatori, dai violenti senza scopo; ma bisogna che tutto il Partito si raccolga in una disciplina più severa, meno formale, più alacre, più attiva, meno facile a quelle esteriorità che, ripetendosi, stancano e diventano convenzionali.

Anche la necessaria intransigenza deve essere intelligente. La fascistizzazione dell'Italia deve avvenire, ma non può essere forzata. Sarebbe illusorio.

Vorrei che si creasse, pur conservando la Corte di disciplina per i dissidi personali, anche un organo superiore, insospettabile per il controllo sull'attività po litica e privata dei dirigenti del Partito. Non mi dispiacerebbe che il capo di questo organo fosse un estraneo al Partito.

Il Partito può battere l'opposizione anche semplicemente ignorandola. Ma per ignorare le opposizioni, non. bisogna ignorare il popolo italiano cioè i famosi 39 milioni d'italiani che non hanno la tessera particolare. Qui l'azione deve essere combinata e coordinata tra i quattro strumenti dell'azione fascista, e cioè: Governo, comuni, partito, corporazioni.

Deve agire in primo luogo il Governo. Ho detto ad esempio ai neo Ministro dei LL. PP. che egli dovrebbe quasi trascurare l'Italia da Roma in su. Dovrebbe avere occhi, orecchi e fondi soltanto per l'Italia meridionale e le isole, dove talune condizioni di vita sociale sono forse in arretrato di mezzo secolo.

Il partito deve agire nei suoi cinquemila comuni, facendo della buona, della saggia, dell'onesta amministrazione.

Finalmente io assegno un grande cómpito al sindacalismo fascista. Esso deve:

1°) elaborare quegli istituti mediante i quali la corporazione dovrà essere riconosciuta giuridicamente e innalzata come una forza dello Stato;

2°) elevare le condizioni morali della gente che lavora in modo da renderla sempre più aderente alla vita della Nazione;

3°) effettuare la collaborazione in un senso attivo, cioè nel senso che una quota parte del profitto vada a beneficio di coloro che hanno contribuito a realizzarlo. Le classi industriali devono rendersi conto di questo loro dovere, che, praticato in tempo, si identifica colla saggia tutela del loro interesse.

Andare al popolo, insomma, specie verso quello che fu troppo a lungo dimenticato, con animo puro, senza demagogia, con cuore fraterno, per farne un elemento essenziale di solidità della Patria. E soprattutto, assoluto disinteresse, fino alla rinunzia totale. Se noi daremo questo esempio alle nuove generazioni, non v'è dubbio che il Fascismo rappresenterà un periodo importante nella storia della civiltà italiana.

Volgendo alla fine, io devo dichiarare ad amici ed avversari, ai fascisti e agli antifascisti, non esclusi certi ambigui filofascisti che la fanno da petulanti mosche cocchiere, che « indietro non si torna ».

Se c'è qualcuno che abbia la nostalgia del tempo in cui si parlava dell'Italia come di « piccolo popolo disorientato », quel qualcuno si convinca che indietro non si torna. L'appellativo ingiurioso era giusto, poiché il disordine era dovunque: nel Governo che non, governava, nelle Amministrazioni che non funzionavano, nel Parlamento che offriva triste spettacolo di sé alla Nazione, nei servizi pubblici paralizzati, nelle officine occupate, nei campi. invasi, nelle città teatro di sanguinosi conflitti collettivi e di attentati che inorridivano il mondo, nelle università dove si scioperava, nelle caserme che conobbero la sedizione di Valona, nel popolo tutto inasprito, sbandato, demoralizzato.

Il quadro del « piccolo popolo disorientato » che provocava le ironie ingiuriose dei diplomatici durante le trattative di Versailles, potrebbe caricarsi di altri colori ma non ne vale la pena, perché, se molti, non tutti gli italiani lo hanno dimenticato.

Indietro non si torna! Quei tempi sono conclusi! È inutile fantasticare di combinazioni o trapassi ministeriali. Il Fascismo non è arrivato al potere per le vie normali. Vi arrivò marciando su Roma armata manu, con atto squisitamente insurrezionale. Se nessuno osò resistere, gli è perché si comprese che era inutile resistere al destino. Se nelle giornate insurrezionali dell'ottobre scorso non fu versato sangue - quantunque ci siano staíe decine di gloriosi morti - molto sangue - purissimo - venne versato nel triennio precedente.

La marcia su Roma fu l'epilogo di un lungo sacrificio. Ma fu nel tempo stesso il cominciamento di un nuovo periodo.

La volontà ci guidi, io ho detto, ed ho precisato anche verso quali mète siano diretti i nostri sforzi. Ma gli eventi sono condizionati anche da coloro che ci osteggiano. Una battaglia politica non è un monologo. Le possibilità di dare i cinque anni di pace e di lavoro al popolo italiano esistono ancora, ma ciò non dipende soltanto da noi. Quale possa essere il corso degli avvenimenti, i fascisti d'Italia sappiano che il Capo e i capi hanno chiaro e religioso il senso della loro responsabilità e che sono pronti a qualsiasi cimento, quando siano in gioco la Patria e il Fascismo.