Saturday, 3 March 2012

Discorso alla Camera, 7 giugno 1924

Sull'indirizzo di risposta al discorso della Corona

di Benito Mussolini

Onorevoli Colleghi! Signori!

Sono stato molto incerto se prendere la parola durante questa discussione che è stata seguita con qualche segno di fastidio da parte del Paese. Mi sono, cioè, domandato se era necessario aggiungere un mio discorso a tutti quelli che sono stati provocati dal discorso della Corona e dal controdiscorso redatto dall'on. Salandra.

Poi mi sono detto che evidentemente si aspettavano mie dichiarazioni di ordine squisitamente politico. Io vengo vivamente incontro al vostro desiderio, ma essendo il mio un discorso politico, sarà quindi polemico, e, può darsi, anche un poco irritante.

La discussione che si è svolta in questa settimana non ha posto dei problemi di ordine legislativo, perché non poteva porne, ma io credo che non abbia posto neppure problemi di ordine politico; ha posto soltanto, a mio avviso, problemi di ordine psicologico, problemi che chiamerei di convivenza.

Si tratta di sapere, cioè, se le nostre reciproche suscettibilità, che sono accesissime - ma questo dimostra che c'è stata una rivoluzione, e la rivoluzione continua, perché appunto sono accese le passioni che determinano i fatti rivoluzionari - permetteranno che il Parlamento possa funzionare. Io spero di sì, se ognuno di noi si renderà conto della propria personale e politica responsabilità.

In fondo la discussione era scontata fin dal principio, perché si sapeva che uno avrebbe detto bene, che l'altro avrebbe detto male, uno avrebbe detto brutto, l'altro avrebbe detto bello, uno avrebbe detto che l'Italia è un giardino fiorito, dove tutte le cose vanno splendidamente, l'altro avrebbe detto che l'Italia è un inferno dove il popolo schiavo geme sotto le pesanti catene del sottoscritto tiranno.

Ora una discussione come quella che si è svolta in quest'aula sarebbe utile se determinasse una chiarificazione di carattere politico o se determinasse uno spostamento di ordine politico nelle rispettive posizioni. Tutto ciò è avvenuto.

Si sapeva benissimo che l'oratore comunista ci avrebbe recitato ancora una volta il suo rosario a base di dittatura proletaria, di dittatura degli operai e dei contadini, o, per meglio dire, di coloro che rappresentano gli operai ed i contadini, ed è giusto che sia così, e non potrebbe essere diversamente; che l'oratore massimalista avrebbe cercato di salvarsi dalla duplice pressione degli unitari e dei comunisti; che gli unitari avrebbero cercato di rinverniciare il loro sedicente patriottismo, perché è loro necessario in quest'ora; che l'oratore dei repubblicani, di cui non abbiamo mai disconosciuto lo spirito di sacrificio e di dedizione alla Patria, avrebbe cercato di mantenersi in oscillazione tra questi sentimenti, che sono patrimonio di quel partito e gli ultimi avvenimenti che hanno spinto il partito repubblicano nell'Alleanza del Lavoro e accanto ai negatori della Nazione.

Sapevo benissimo che l'oratore dei popolari avrebbe tenuto un discorso acido nel quale fermentano tutti i rancori non ancora espulsi dall'organismo di un partito, che ha sempre fatto ottimi affari al Governo, e che da dodici mesi non ne fa più.

E mi aspettavo anche il discorso del rappresentante della democrazia sociale. Sapevo benissimo che era spuntato all'onorevole Di Cesarò il dente del teatro, ma non sapevo, onorevole duca, che vi fosse spuntato il dente viperino della maldicenza meschina! Sapete a che cosa alludo!

(Colonna di Cesarò: « Non saprei! »).

Da venti mesi a questa parte non c'è nulla di nuovo nella politica italiana da parte dell'opposizione. Se ritorno col mio pensiero a tutto quello che è avvenuto, vedo che tutte le opposizioni si sono fissate nei loro soliti atteggiamenti.

Non ho visto che un atteggiamento più riservato da parte della Confederazione generale del lavoro, e mi è parso un certo momento che l'on. Modigliani, con l'acutezza che è un suo requisito direi quasi congenito, in una serie di polemiche, che potrebbero chiamarsi crepuscolari, perché non sono venute a risultati concreti, ha cercato di disimbrogliare, di disincagliare quella parte ancora possibile di socialismo da posizioni aprioristiche e quindi negative.

(Modigliani: « Non nel senso che crede lei »).

Ne riparleremo. Ciò non ha importanza. Ci siamo sentiti ancora ripetere con desolante monotonia, che potrebbe anche rivelare una sterilità di spirito, tutti i motivi dell'opposizione che vengono invocati da venti mesi a questa parte.

Solo due motivi nuovi appaiono in questa discussione: i risultati delle elezioni in alcuni paesi del mondo ed i risultati in Italia.

È proprio vero, onorevole Labriola, che il risultato delle elezioni in Germania è a sinistra?

C'è stato un momento in cui la Germania era uno di quei paesi che ritornavano sempre nelle discussioni dei socialisti. Ora non potete certamente affermare che la Germania sia andata a sinistra!

(Labriola: « È un paese strangolato »).

Faccio delle constatazioni. Bisogna essere prudenti, bisogna parlare prudentemente quando si tratta di politica interna degli altri paesi.

Siamo oggi in grado di dire una parola definitiva sui risultati delle elezioni francesi? In fondo, il cartello delle sinistre ha 276 deputati; la destra ne ha 264; quindi vi è la differenza di 12 voti. Ci sono 29 comunisti; ma i 29 comunisti sono destinati, per la loro tipica funzione storica, a dare molti fastidi al cartello delle sinistre e non certamente al blocco delle destre.

Quanto all'Inghilterra voi conoscete le cifre. Ebbene, le cifre sono qui e dimostrano che le posizioni, dal punto di vista della massa elettorale, sono rimaste presso a poco immutate. Di fatto, malgrado l'orribile piattaforma scelta dal ministro Baldwin, piattaforma antidemagogica, antipopolare, soprattutto per il popolo minuto che teme il caro-viveri, e ha perfettamente ragione di temerlo, nelle elezioni del 15 novembre 1922 i conservatori hanno avuto 5.376.465 voti; nelle elezioni recenti i conservatori ne hanno avuto 5.395.690. Voi vedete che non c'è stato spostamento nella massa elettorale inglese; senza considerare - e voi mi insegnate la storia del movimento operaio inglese e di altri in genere - che il laburismo non ha niente a che vedere con certi partiti socialisti dell'occidente.

Il laburismo s'è formato attraverso un secolo di lotta, attraverso un lungo travaglio, con una lenta selezione di individui. Del resto lo stesso Mac Donald ha i suoi imbarazzi da parte dei rappresentanti dei minatori scozzesi. Tutti gli altri paesi, Danimarca, Svezia, Giappone, possono essere tenuti in un conto secondario, dal punto di vista elettorale.

D'altra parte, perché loro dovrebbero avere ragione e noi torto? Questo è veramente un pessimo costume dell'Italia di credere che gli altri abbiano sempre ragione e noi torto. Che gli altri debbano essere i rimorchiatori e noi i rimorchiati, che tutte le novità, tutta la luce, tutta la forza, tutta la vita debbano avere origine negli altri paesi, e non mai, per avventura, nel nostro!

Veniamo alle elezioni italiane. Qui si è fatto il processo alle elezioni del 6 aprile. Ebbene, guardate, io voglio ragionare per assurdo e mettermi sul vostro stesso terreno polemico. La lista nazionale ha riportato 5 milioni di voti, cioè 4 milioni e 800 mila. Ebbene, io sono disposto a regalarvi un milione e 800 mila voti; ma voi dovete sempre ammettere che tre milioni di cittadini coscienti e che, sommati, raggiungono i vostri voti messi insieme, hanno votato con piena coscienza per il Partito nazionale fascista. Non vorrete sofisticare, io spero, ad esempio, sui 250 mila voti di preferenza da me riportati in Lombardia.

Voi dite che non avete potuto tenere dei comizi. Voi credete che essi portino dei vantaggi? Credo che il partito, che non tiene affatto comizi elettorali, abbia un vantaggio sugli altri.

I comizi elettorali sono quella tal cosa in cui tutti intervengono, fuorché gli elettori. Nel 1919 io ero acclamato nei comizi che chiamerò travolgenti di Piazza Dante e di Piazza Belgioioso. In realtà non vi fu di travolgente che la mia disfatta elettorale.

Non vorrete meravigliarvi per le mie dichiarazioni circa la forza. Sono stato sincero. Una rivoluzione può essere convalidata dal responso del suffragio elettorale, ma può farne anche senza. In ciò è il carattere tipico di una rivoluzione.

Voi dite che sono state commesse orribili violenze. Non è vero. In fondo l'onorevole Matteotti ha citato due casi, che sono discutibili, quelli di Melfi e di Iglesias, che non credo vogliate far passare nella storia mondiale. Vengo a voi, onorevole Amendola. Nel 1919 voi siete stato accusato di tutte le più orribili cose che un polemista disfrenato possa immaginare. Un Ecce homo.

(Amendola: « Sciocchezze, che il Popolo d'Italia ha avuto il torto di accogliere »).

Non ci credo.

(Amendola: « E allora perché le ha pubblicate? »).

Vedrà le conclusioni alle quali arriverò tra poco e le documenterò per dimostrare come uguale sia l'atteggiamento dei partiti in ogni elezione, e cioè il partito vinto si scaglia sul partito vincitore e tenta di infirmare il responso delle elezioni. Ciò è avvenuto prima della guerra, ciò è avvenuto dopo la guerra. Sentite se non pare di leggere un discorso dell'onorevole Matteotti! Il Lavoratore, diretto da un signore che io non voglio nominare per non fargli della réclame, ma che l'onorevole Amendola conosce, scriveva:
« Hanno votato i morti, gli emigrati, le donne, i fanciulli e le stesse persone si sono recate a votare non si sa quante volte. I rappresentanti delle liste avversarie a quella governativa furono allontanati dai seggi e minacciati. In ogni sezione si votava alla presenza del pubblico e non in cabina. Ogni voce di protesta era tosto soppressa ».
E faccio grazia di tutto il resto. Io non ci credo a questo imbottimento di crani. Credo che si siano moltiplicati per mille, come negli specchi dei cinematografi, dei piccoli episodi inevitabili in ogni elezione. Ma voi potete fare la distinzione tra queste elezioni del dopoguerra e quelle di prima della guerra. Prima della guerra si faceva di peggio.

Prima della guerra un professore di storia moderna - sarebbe meglio dire di storie moderne - ha fatto una campagna a proposito delle elezioni a Molfetta, nelle quali era in giuoco contro il repubblicano Pansini. L'egregio professore diffuse tra l'altro un volume ove il presidente del Consiglio del tempo (vi domando perdono, onorevole Giolitti, di questa citazione che vi deve lasciare tranquillo, perché voi siete arrivato ad un'età in cui le cose si possono vedere dall'alto con coscienza perfettamente calma), veniva chiamato ministro della malavita.

Non era assolutamente successo nulla o ben poco. Qualche piccola legnata dei famosi mazzieri; ma io credo soprattutto che si trattasse di qualche mescita di vino accettata e donata ai lavoratori pugliesi, i quali si vendicavano poi col votare contro coloro che avevano pagato. Voi avete ricordato un vostro morto: l'onorevole o non ancora onorevole Piccinini. Io mi voglio associare sinceramente al vostro compianto e al vostro ricordo e vi debbo ricordare anche che se i colpevoli di quel delitto barbaro furono arrestati e sono dentro, lo si deve all'atteggiamento e alle ricerche degli stessi fascisti di Reggio . Emilia. Ma io mi associo con animo, ripeto, schietto e sincero alla vostra deplorazione e al vostro rimpianto.

Ma voi mi permetterete altresì di leggervi un piccolo elenco, un modesto elenco di morti fascisti durante la campagna elettorale. Sono 18 i morti e 147 i feriti.

Il 15 febbraio a Pola il fascista Egidio Piemonte viene ucciso dai sovversivi, mentre disimpegnava il servizio notturno come milite della Milizia.

Il 18 febbraio a Villanova di Forlì il fascista Zaccarelli Gagliano è assassinato a coltellate da sovversivi mentre era fermo avanti ad una vetrina.

Il 17 marzo ad Adegliacco (Udine) il milite Giuseppe Gentile, che aveva indossato per la prima volta la camicia nera, viene assassinato da tre sovversivi, che avevano premeditato il delitto.

Il 25 marzo a Quartuccio di Cagliari un gruppo di sovversivi aggrediva un gruppo di fascisti: nel conflitto seguito rimase ucciso il capo manipolo della Milizia Cesare Serra e ferito gravissimamente il fascista Antonio Nieddu.

Il 26 marzo muore assassinato a Parigi Nicola Bonservizi.

Il 29 marzo a Parma è massacrato il milite Robusehi Amedeo e ferito gravemente il fascista Walter Ungherini, che è morto pochi giorni dopo all'ospedale.

Il 29 marzo a San Vito presso Cagliari è stato trovato con la gola recisa il fascista Vito Atzeli.

II 30 marzo a Bari durante un comizio elettorale viene ferito mortalmente il fascista Francesco Casamassima, che muore due giorni dopo.

Il 6 aprile a Porto Ceresio, durante una discussione per questioni di lavoro, il fascista Giuseppe Santoste fano cadeva sotto i colpi omicidi dei sovversivi fratelli Visconti.

II 6 aprile a Cureggio (Novara) in un conflitto con comunisti viene ucciso il fascista Tizzoni Modesto ed altri fascisti sono feriti.

Il 7 aprile a Montevardo (Aquila) il fascista Leonardo Brescia è stato ucciso con una revolverata sparatagli dal sovversivo Arduino Capobianco.

Il 10 aprile a Londa di Mugello (Firenze) viene ucciso a colpi di piccone il sindaco del paese Annibale Fontani, di anni 40, fervente fascista; l'assassino è il comunista Innocenti, arrestato poco dopo.

Il 12 alla stazione di Homecourt (Francia) tre sovversivi aggrediscono i fascisti Fortunato Calabrese ed Eugenio Casora. Il primo è ferito da una coltellata al fianco e muore poco dopo all'ospedale di Briei, ed il secondo vi è ricoverato in grave stato. La polizia francese ha arrestato gli omicidi nelle persone dei tre sovversivi Castagnoli Giuseppe, Chili Alberto e Sabatino Fiocchi.

Il 14 aprile a Villalbese (Como) lo studente Manlio Sonvico, da tempo fatto segno a minacce per la sua azione fascista, alle ore 21, mentre si trovava sulle scale del Circolo Familiare, veniva aggredito da sovversivi che gli recidevano quasi la testa. II Sonvico è spirato poco dopo. Sono stati arrestati, con gli abiti lordi di sangue e col denaro della vittima addosso, i comunisti Pontiggia e Battista Visconti.

Il 22 aprile a Nicastro (Catanzaro) il fascista Valbella Giovanni viene aggredito a coltellate dal sovversivo Goffredo Rubino e muore poco dopo.

E potrei continuare in questo elenco, ma credo di dispensarvi da questa rievocazione tristissima, fatta per dimostrare come qualmente siate in errore, in un errore che, se continuato, diviene colpa imperdonabile, quando fate ricadere tutti gli atti di violenza sul Fascismo. Quali sono le manifestazioni di questa opposizione? Siamo ancora alla disputa sul consenso e sulla forza. Ho già dimostrato che questa è una discussione perfettamente capziosa. Io nego ancora una volta che nella storia, così come ci è stata tramandata, si siano mai avuti dei regimi esclusivamente consensuali.

Accanto al consenso c'è sempre stata la forza, necessariamente, e non poteva essere che così. Voi negate questo consenso. Ebbene, questo consenso è pur tuttavia documentalo, Documentato dalle manifestazioni del popolo. Esistono, queste manifestazioni; qualcuno di voi le ha viste certamente. Documentato dalla esistenza di settemila Fasci con settecentomila iscritti. Non si è mai visto da che l'Italia è Italia un movimento politico che avesse una così immensa diffusione in tutto il paese. Poi è soprattutto dimostrato dalla esistenza della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

Quando nel novembre 1922 io mi trovavo di fronte al mio squadrismo, che aveva fatto la marcia su Roma, che aveva lasciato parecchi morti durante la marcia, dieci a Cremona, sei a Bologna, quattordici nei dintorni di Roma, e altri ancora, mi trovai sulle braccia ben sette squadrismi, ognuno di essi congegnato in formazioni strettamente militari e molte di esse armate di tutto punto. Allora tutti trovarono che la mia ferma, fermissima decisione di abolire tutti gli squadrismi, di convertire lo squadrismo fascista in una Milizia agli ordini del Governo e al servizio della Nazione, era una di quelle che si chiamano soluzioni geniali.

Poi si credette evidentemente che questa Milizia non sarebbe mai diventata una cosa seria, che il fermento dell'indisciplina, dell'illegalismo, dello squadrismo avrebbe continuato ancora a torturarla e quindi a renderla insufficiente.

Ciò non è avvenuto. Non lo dico io, lo dice un collaboratore della Giustizia che deve intendersene, certamente uno scrittore di cose militari. assai addentro alle segrete cose. Ebbene, questo signore dice: « La Milizia esiste ed è regolarmente costituita da un inquadramento che, sia pure con molte imperfezioni e deficienze, si estende a tutto il paese fino nei più piccoli borghi delle nostre montagne e campagne ». Ed è la pura, precisa verità. Una siffatta organizzazione rassomiglia molto a quella che è necessario di avere per attuare una riforma militare sostanziale e ispirata ai più inequivocabili insegnamenti dell'ultima guerra.

Comunque tutte le accuse che si volgevano alla milizia sono a poco a poco cadute. Io dichiaro che questa Milizia è una cosa assolutamente superba e mirabile. È il partito che dice: « Io prendo una quota-parte dei miei aderenti, e, invece di sottoporli soltanto alla disciplina facile della tessera, li sottopongo ad una disciplina rigidissima, quale quella militare ».

È pertanto anche una manifestazione singolare di quel ritorno alla disciplina del nostro popolo. È, o signori, una Milizia volontaria, dico volontaria. Ha delle caserme, ma non sta in caserma. Le caserme sono vuote, perché i militi sono volontari, sono cittadini, sono impiegati negli uffici, sono nei campi, anche nelle officine, si ritrovano la domenica per degli esercizi militari e pure venendo dal Partito, che ha l'obbligo di dare questo di più di sacrificio alla Nazione, pur venendo dal Partito vanno, quando è necessario, in Libia, ci ritornano ancora e qualche volta difendono le istituzioni avversarie. Niente di più significativo e di più drammatico che vedere dei fascisti che difendono istituzioni avversarie contro altri fascisti. Voi - si è detto - voi non giurate fede al Re. Si è capito che questa era una accusa balzana, inesistente, stravagante perché non c'è bisogno di dimostrare il nostro assoluto perfetto inequivocabile lealismo.

Poi si è fatta questione di dissenso con l'esercito. Orbene, il Governo che ho l'onore di rappresentare è devotissimo all'esercito: farà tutto quello che è possibile per l'esercito, vuole che l'esercito sia sempre in piena efficienza, materiale e morale, ma l'esercito ha un cómpito preciso, solenne e terribile: quello di prepararsi alla guerra, e di preparare la nazione alla guerra. Come l'esercito non ha antipatie e suscettibilità contro altri reparti come i carabinieri, la guardia di finanza, la marina, non ne ha, salvo casi singoli dovuti piuttosto a temperamenti personali difficili, contro la Milizia.

Anche perché i tre quarti dei quadri della Milizia vengono dall'esercito. Quasi tutti i comandanti della Milizia sono degli autentici generali dell'esercito, con tanto di greca. Se io vi portassi qui l'elenco di tutti i decorati, di tutti i feriti, di tutti i mutilati che fanno parte della Milizia, voi converreste con me almeno in un senso di rispetto e di meditazione, davanti a questo fenomeno che è impressionante, e che è una prova ammirevole di vitalità e di forza del Paese!

Cosa ne faremo della Milizia? Non la scioglieremo: questo mettetevelo bene in testa!

La potremo trasformare, la potremo costituzionalizzare ancora di più, potremo ingranarla con l'esercito per funzioni speciali che non hanno nulla a che fare con la preparazione della guerra, che è tipico cómpito dell'esercito. Tutto ciò sarà studiato, avendo sempre di fronte e nella coscienza gli interessi, non del Partito, ma della Nazione.

Si dice che in Italia non c'è libertà. Lasciamo stare adesso le discussioni sulla libertà. Non si è ancora definito il concetto di libertà, e forse non si definirà mai. Voi stessi, quando si tratta di libertà, non vi trovate d'accordo, perché evidentemente la libertà dei comunisti non ha, nulla a che fare con quella dei democratici: anzi, i comunisti tengono a dichiarare (e fanno benissimo, e ci giova e ci giovano) che queste sono teorie dell'89 e che la rivoluzione dell'89 è andata benissimo per quel tempo, ma non è detto che debba costituire il vangelo eterno per la vita di tutti i popoli.

Ma io vi dimostro come qualmente la libertà in Italia sia sconfinata.

In Italia, dopo 20 mesi di Governo fascista, è permesso di stampare un giornale a Roma, in data 11 maggio, che dice:
« L'epoca delle barricate si profila imminente all'orizzonte politico, e noi dobbiamo lavorare a renderla più prossima possibile ».
Sono dei pietosi desideri, ma è evidente come questo si possa stampare a Roma, dove si stampa pure regolarmente un giornale anarchico.

Un altro giornale sindacalista comunista, nel numero speciale del 15 maggio, dice:
« Convinti che l'abbattimento della dittatura fascista sarà in Italia conseguenza di un periodo di aperta guerra civile, dobbiamo curare nel Partito e nella parte migliore delle masse l'allenamento necessario a guardare con freddezza a questa necessità e ad affrontarla con forze e mezzi adeguati».
Un altro giornale, sempre di Roma, L'Italia libera, n. 4, dice:
« In realtà noi ci opponiamo, noi combattiamo contro una truffa organizzata ai danni del popolo italiano ».
Mi si accusa, fra l'altro, di aver fucilato nientemeno che sessantatremila operai italiani!

Contro questa campagna diffamatoria e velenosa, che purtroppo ha prodotto all'estero anche le sue vittime, il Governo è stato costretto a premunirsi per impedire che il contagio dilagasse fra le nostre popolazioni, prescrivendo il sequestro di numerosi giornali all'atto dell'entrata nel Regno, giusta la facoltà contenuta nelle disposizioni sul servizio della corrispondenza.

Ma cònsona a quella all'estero è l'attività calunniosa e colpevole che l'opposizione svolge nel nostro Paese e della quale abbiamo dato qualche esempio nella prosa dianzi citata.

Essa, per sviare le tracce dell'autorità, si camuffa, ricorre ai pseudonimi, si serve di cifrari per lo scambio di notizie, di appositi segnali per le riunioni, raccoglie e nasconde armi in luoghi insospettati, riorganizza le file delle scompaginate associazioni di classe, servendosi della costituzione delle così dette « cellule di officina » e « cellule d'azienda » per la campagna, le quali costituiscono la base ed il perno della riorganizzazione politica dei partiti sovversivi; si serve, insomma, di tutti gli espedienti e stratagemmi per tenere vivo lo spirito di avversione e di ribellione nelle masse e preparare la riscossa.

E, quel che è notevole, i partiti sovversivi in Italia dimostrano di possedere larghi mezzi di misteriosa provenienza, come rilevasi dal lusso di stampa che si permettono con la pubblicazione e diffusione di numerosi giornali ed opuscoli.

È risaputo che in occasione dell'arresto di Bordiga - avvenuto nel febbraio 1923 - fu scoperto a Genova la sede clandestina dell'Esecutivo comunista ed in tale circostanza si addivenne al sequestro di un importante e voluminoso materiale, in base al quale emerse:

1°) che i fondi del movimento comunista provenivano dal « Rote Hilfe » di Mosca pel tramite della Sezione di Berlino. Nella corrispondenza sequestrata si ha traccia di 25.000 sterline, di cui però buona parte, nel 1922, non raggiunse la destinazione;

2°) che il territorio italiano era stato diviso in zone;

3°) che erano stati sottratti vari fascicoli dall'ufficio riservato della Questura di Milano;

4°) che erano stati sottratti alcuni documenti, di natura riservata, al Comando della divisione militare di Ravenna;

5°) che erano state diramate istruzioni ai « fiduciari » per lo spionaggio e la propaganda nell'esercito e nella marina;

6°) che moltissime armi e munizioni furono distribuite e parecchie somme furono inviate ai fiduciari per acquistarne.

E i partiti sovversivi continuano ancora a dire che sono vittime, che in Italia non c'è libertà, che il popolo geme sotto questa pesante catena.

Ci si accusa di una imprecisazione di programma. Ma questa è una cosa stolida.

Nessun partito ha dei programmi precisi, i programmi li dà la vita.

Ognuno è capace di mettersi ad un tavolo e risolvere tutti i problemi dello scibile umano, tutti i problemi dell'universo: si tratta di vedere quali di questi problemi, quali di queste soluzioni possono avere un risultato pratico o soltanto il principio di una attuazione concreta. Del resto noi abbiamo già attuato un programma. Noi avevamo un programma; esso è basato sopra un principio unitario, sopra una concezione classica dello Stato, e in tutte le occasioni questo programma si ritrova. In tutte le occasioni questo principio si ritrova affermato. Dice l'onorevole Gronchi: « Definitemi lo Stato ». Ebbene: noi prima di definirlo lo abbiamo conquistato. Del resto lo Stato fu definito in mille modi, da Platone in poi. Io le posso mandare un « Larousse » qualsiasi, e vi troverà centinaia di definizioni. Io stesso, per esempio, impiegato di Stato (e me ne vanto, tanto che un giorno o l'altro voglio venire alla Camera con un paio di fiammanti manopole), io ho cercato di definire lo Stato come un sistema di gerarchia. E l'altro giorno ho detto che la politica, la quale è pur tipica funzione dello Stato, è il sistema di rompere gli equilibri e di ricomporli. Tutti hanno dato una definizione dello Stato. Ieri sera, rileggendo Carlo Cattaneo, ho trovato una definizione dello Stato che è singolarissima, e che si riattacca a quanto ho detto l'altro giorno quando ho parlato dinanzi all'assemblea dei Sindacati fascisti.

E la definizione dice:
« Lo Stato sarebbe una immensa transazione, dove la possidenza e il commercio, la porzione legittima e la disponibile, il lusso e il risparmio, l'utile e il bello, conquistano e difendono ogni giorno, con imperiose e universali esigenze, quella quota di spazio che loro consente la concorrenza degli altri sistemi. E la formula suprema del buon governo e della civiltà è quella in cui nessuna delle dimande né l'esito suo soverchia le altre e nessuna del tutto è negata ».
Potremmo afferrarci a questa definizione che ci piace.

Si parla ancora di illegalismo. Ma è finito da tempo: e quando mi hanno detto che a Pisa erano avvenute cose gravi, non solo io ho destituito il Prefetto, ma ho dato l'ordine di mettere in carcere tutti i colpevoli.

Lo stesso è avvenuto in altre località, e voi lo sapete; quindi io non faccio che ripetere.

L'illegalismo è in evidente diminuzione. Gli stessi socialisti, che una volta occupavano le pagine dei loro giornali per raccontare come in quasi ciascuno degli ottomila villaggi d'Italia erano avvenuti scioperi e violenze, oggi tacciono! Ed è bene che sia così! Ne sono contentissimo!

Quanto poi alla normalizzazione, bruttissima parola venuta dal gergo dell'industria dove significa standardizzazione, che cosa significa?

Parliamoci chiaro! Significa tornare come prima? Significa vedere una Camera che esautora il potere esecutivo, significa vedere iena Camera irrequieta, insofferente, che dà l'assalto alle famose diligenze di cui si parla nelle cronache vecchie del tempo?

Significa riprendere il ritmo di una vita che la rivoluzione ha evidentemente spezzato?

Se tutto ciò significa, dichiaro che sono contro questa normalizzazione, che non ha nulla a che vedere con i problemi cosiddetti interfascisti della revisione e dell'antirevisione.

Ci si è detto: « Non avete spodestato le vecchie classi! È un errore! ».

Mi dispiace di dover portare dei casi personali, ma proprio in questi giorni ho dato il passaporto all'onorevole Nitti che è un rappresentante delle vecchie classi spodestate.

D'altra parte, onorevole Facchinetti, non bisogna credere che la rivoluzione sia una cosa per cui tutti si collocano, applicando il detto: « Lèvati di lì che mi ci metto io! ». Sarebbe grave errore. Niente affatto.

Vi sono autentici valori nei regimi vecchi, uomini probi, valorosi, che possiedono il meccanismo interno dell'amministrazione. Se noi li avessimo defenestrati, ci saremmo trovati in gravissimi imbarazzi! È quello che avviene in Russia.

Si è proceduto, lassù, nei primi mesi del 1918, ad una razionale sistematica demolizione e defenestrazione di tutti i vecchi uomini. A un certo momento, poi, li hanno dovuti richiamare, perché non erano tutti sostituibili.

Voi vedete che molte di queste accuse sono veramente povere. Non hanno un significato, non sono cose concrete. L'opposizione ci deve essere! Se non fosse a sinistra sarebbe tra noi; quindi è preferibile che sia su quei banchi piuttosto che dividere le nostre file. L'opposizione è necessaria; non solo, ma vado più in là e dico: può essere educativa e formativa.

Ma allora ci si domanda: « Perché siete così irrequieti, così insofferenti? ».

Non è l'opposizione che ci irrita. È il modo della opposizione.

Qualche volta l'opposizione è opposizione piena di rancori, che si mette in un angolo: ha perduto il treno e sta allo spigolo della stazione ad aspettare il successivo!

Fu per me una rivelazione, una singolarissima rivelazione, quando, nel 1914, alla vigilia della guerra seppi che a Napoli c'era un clan di borbonici che pubblicavano perfino un giornale e aspettavano il ritorno della defunta dinastia.

Della stessa razza e dello stesso calibro sono coloro che, dopo due anni, non perdonano ancora il fatto che ci sia stata una crisi che non ha avuto la soluzione attraverso i binari parlamentari mentre ha già trovato la sanatoria, non solo attraverso la parola del Sovrano, ma attraverso a tutto quello che si è fatto.

Poi, accade talvolta che l'opposizione si dà delle arie cattedratiche che ci indispongono: pare che là ci siano dei pozzi di sapienza, delle arche di dottrina, uomini che recano lo scibile ambulante!
Niente affatto!

Qui, nella maggioranza, ci sono almeno 100 uomini di primissimo ordine. Sì, che vengono dall'Università, dal giornalismo, dalla vita vissuta, dalla trincea, e mio cómpito è, mio cómpito sarà - spero di poterlo assolvere - di selezionarli, di metterli al vaglio, di vedere quelli che debbono formare domani le classi dirigenti e quelli che hanno il cómpito più modesto, ma non meno utile, del numero o della comparsa.

E del resto, o Signori, noi abbiamo nelle file dell'opposizione un uomo di teatro che ha dato del teatro al mondo e anche all'Italia: e ho sempre creduto fosse un grande teatro prima che un collaboratore del Mondo mi venisse a mettere delle pulci nell'orecchio... (Amendola: « Non gli dia retta! »).

Non gli dò retta! Non gli dò retta per la filosofia, ma gli dò retta nella critica teatrale. Ebbene, le comparse sono necessarie. Non si può essere tutti tenori di cartello, non si può essere tutti soprani; ci vuole anche il baritono, che ha una figura ambigua e f a certe parti antipatiche; ci sono le comparse che riempiono la scena e dànno il colore e il calore necessario all'opera.

Non c'è nulla di offensivo per nessuno in queste mie constatazioni. E poi non ho fatto dei nomi!

Altro vizio dell'opposizione: quello di spilluzzare attraverso le beghe, spesso cretinissime, che avvengono in qualcuno dei ben settemiladuecentoquarantanove Fasci d'Italia. Si è sempre in attesa dello sfascio.

Ciò da cinque anni. Ma mettete nell'esame dei fatti sociali anche l'elemento durata, l'elemento tempo. Sono cinque anni che voi dite che questo fenomeno è transitorio, che è un fenomeno passeggero e ve lo trovate di fronte dopo venti mesi assai sano, assai forte, più forte ancora, perché il popolo italiano gli ha dato, in fondo, ragione.

Che cosa può fare l'opposizione. Un giorno venne da me l'onorevole Facchinetti. Vi sembrerà strano che io gli abbia insegnato il modo di fare l'opposizione, gli abbia quasi consegnato il manuale del perfetto oppositore. Per quanto io sia un uomo selvatico, anzi selvatico, come si dice in questi momenti, sono capace di queste finezze. Gli dissi:
« Voi dovete fare l'opposizione e la potete fare in due modi: in un modo concreto, in un modo di dettaglio. Vuol dire: voi vedete le leggi, i provvedimenti che presenta il Governo fascista. Se sono buone, le approvate; se sono cattive, le respingete o le modificate. Ma potete fare un'altra opposizione: una opposizione di principio; una opposizione di lunga portata, anche verso l'avvenire. Noi abbiamo vissuto due grandi esperienze storiche, noi abbiamo avuto la fortuna di vivere due grandi esperienze: l'esperienza russa e l'esperienza italiana, che hanno dei punti di contatto in ciò: che, più o meno voracemente, ognuna di queste esperienze ha mangiato 1'89, cioè quella parte di immortali principi che non si è ritenuta più adatta all'attuale clima storico. Ebbene, cercate di studiare, voi che fate l'opposizione, se non sia il caso di trarre una sintesi, di non fermarsi eternamente in due posizioni antagonistiche, di vedere se questa esperienza può essere feconda, vitale, dare una nuova sintesi di vita politica. Questo il cómpito per una opposizione brillante, che non si abbandoni ad un meschino pettegolezzo politico, ma che assurga qualche volta alla comprensione e alla trattazione dei grandi problemi della storia ».
(Facchinetti: « Su questo punto ho detto che aveva ragione »).

Ma non avete seguito il mio consiglio) Prima di passare a vedere che cosa si può fare per il futuro, credo che valga la pena di esaminare se c'è possibilità di trarre da queste circostanze che hanno una certa solennità, e ad ogni modo rappresentano un inizio di vita nuova, un cominciamento, come si dice in certo gergo filosofico, di trarre una sintesi dal.travaglio storico che abbiamo vissuto dal 1919 ad oggi.

È un tentativo che faccio: non so se vi riuscirò.

Lo Stato liberale, quel complesso di dottrina e di pratica corrente che si assomma in questo termine di Stato liberale, esce dalla guerra malconcio. Esce dalla guerra con i muscoli esauriti, con una circolazione del sangue assai stracca. Ciò è facilmente comprensibile: la guerra è stata uno sforzo enorme, imponente, estenuante.

Tutti gli Stati, tutti i regimi ne hanno sofferto e non poteva non soffrire il regime che era il più impreparato, mentre aveva soltanto la preparazione di un esercito, il che è cosa profondamente diversa. E lo abbiamo visto! Contro questo Stato liberale, che era diventato una espressione priva di qualsiasi contenuto materiale, si scatenarono due offensive. La prima offensiva è quella sovversiva che culminò con l'occupazione delle fabbriche. Non bisogna credere tuttavia che, dopo questo, gli elementi antifascisti non abbiano dato altra prova di attività, perché tali attività antifasciste vanno sino all'agosto 1922, cioè a due mesi prima della marcia su Roma, al famoso sciopero legalitario proclamato, e fu nostra fortuna, dalla Alleanza del lavoro.

Ritengo però che l'occupazione delle fabbriche rappresenti il massimo sforzo compiuto dai partiti sociali sti nel dopoguerra. Ma l'occupazione delle fabbriche non poteva essere fine a sé stessa. L'occupazione delle fabbriche in tanto avveniva in quanto si fosse in un dato momento usciti dalle fabbriche per impadronirsi dello Stato.

I socialisti non osarono, i socialisti ebbero paura. E non dico paura nel senso fisico, banale, offensivo della parola.

1 socialisti responsabili, di fronte alla realtà dei fatti, dissero: « E poi? ».

Eravamo nel 1920. Vi era una situazione interna difficile; avevamo 15 o 20 miliardi di deficit; tutta l'Europa era percorsa da quella che fu chiamata la vague de paresse, l'ondata della pigrizia, del non lavoro. lo chiamo questa la tragedia della paura. Non osaste: il poi vi spaventò!

Voi sapevate che ad un dato momento non avreste saputo frenare queste masse, molti elementi delle quali credevano che la rivoluzione socialista consistesse nel prendere, nell'assidersi più comodamente al banchetto della vita, mentre la rivoluzione socialista non poteva essere che una nuova organizzazione economico-sociale di un dato aggregato nazionale.

Ma se voi avete avuto la tragedia della paura, noi ne abbiamo avuta un'altra: la nostra è la tragedia dell'ardimento.

Questo primo colpo aveva danneggiato lo Stato liberale; ma dopo ne abbiamo degli altri. Alla occupazione delle fabbriche corrisponde nel triennio successivo l'occupazione delle città. Noi occupiamo le città. Da questo momento lo Stato non esiste più. È allora che io dico: così non può andare: di due fare uno; non si può essere Costantinopoli ed Angora, non si può essere Roma e Milano.

Bisogna uscire da questa situazione paradossale. Siamo alla Marcia su Roma. Questa è la tragedia del nostro ardimento. È infatti ardimento straordinario quello di un partito che non aveva nemmeno cinque anni di vita, che aveva soltanto tre anni di efficienza, che non aveva ancora potuto procedere ad una selezione dei suoi elementi e nel quale, in vista del successo, confluivano molti individui qualche volta non rispettabili, e che pure assumeva il potere! All'indomani stesso della sua vittoria cominciava ad avere qualche preoccupazione. Ciò era chiaro al mio spirito, perché se ho fatto un colpo di Stato, non ho fatto un colpo di testa.

Il Partito sente più o meno oscuramente tutto il travaglio di questa sua formidabile anticipazione. Chiamo con me al potere, pure essendo vittorioso su tutta la linea, pure avendo 52.000 uomini armati in Roma che avrebbero fatto tutto quello che io volevo si facesse, chiamo uomini di tutti i Partiti, e dico: « Venite con me a collaborare, perché noi siamo giovani, inesperti, e perché il cómpito che ci attende è immenso, e fa tremare le vene e i polsi ». In questa Camera vi sono degli ex ministri: c'è un ministro liberale, l'onorevole De Capitani, un ministro popolare, l'onorevole Cavazzoni, un ministro democratico-sociale, l'onorevole Di Cesarò. Io li chiamo a testimoni se nei mesi in cui hanno lavorato con me c'è stato mai uno screzio qualsiasi, se la collaborazione non è stata fraterna, ispirata a cameratismo, ad obbiettività concrete, nonostante le nostre diverse idealità e dottrine.

Ora siamo di fronte al domani; ma prima è necessario vedere con occhio che vorrei chiamare clinico quale è la situazione dell'Italia odierna. Nessuno può negare, a parte coloro che sono come gli emigrati di Coblenza, che vedono sempre nero per necessità di cose e per mo tivi di polemica, che non ci sia un ritmo aumentato di vita. Nessuno può negare che tutti i gangli del sistema nervoso della Nazione siano restaurati. Certamente non voglio dipingere un quadro roseo. Nutro sfiducia (si ride); ci sono punti nerissimi e penombre: questa è la vita. Ma se calcolate quello che era l'Italia nei primi mesi dell'agosto 1922, quando i fascisti si accampavano a Bologna, quando scendevano a Trento e patteggiavano col governatore della città, dovete ammettere che un gran cammino è stato percorso e che il merito di ciò va dato al Partito fascista.

Sono così obbiettivo e sincero, che vi dico che la pressione c'è stata e c'è ancora; ma che è mio proposito di alleviarla. Abbiamo già cominciato, del resto: abbiamo diminuito la tassa di ricchezza mobile ai ferro-tranvieri, abbiamo ridotto l'imposta sul vino, abbiamo attuate altre agevolazioni. Tuttavia il caro-viveri, i cambi, mi preoccupano. Se un finanziere eccelso mi dicesse come qualmente si possono togliere queste penombre dal quadro, gli sarei grato della sua collaborazione.

La situazione interna è molto migliorata e vigilo a che questo miglioramento continui.

Non credo necessario soffermarmi sulla politica estera che non è stata oggetto di grandi critiche. Anche non ne voglio sopravalutare il successo, poiché non è conveniente, non è elegante; c'erano tante piccole e grandi questioni che avevano diviso gli italiani, che avevano prodotto uno squilibrio morale profondissimo e sono state risolte in maniera che ritengo soddisfacente per gli interessi italiani.

Non v'è dubbio che vi siano ancora grandi questioni da risolvere; massima quella delle riparazioni, agevolata ora dal fatto che Stresemann ha dichiarato di accettare il piano Dawes; ma credo che la situazione dell'Italia sia grandemente migliorata di fronte a quella degli altri Stati. Bisogna vigilare, perché vi sono Trattati che furono fatti con uno spirito che non può essere il nostro; perché i Trattati si fanno con la spada in pugno o secondo giustizia, e non si è fatta né l'una cosa né l'altra. Perciò il territorio europeo è pieno,"qua e là, di punti di dolore, di punti di protesta, di squilibri potenziali, che domani possono provocare, non dirò la catastrofe, perché io non ci credo, ma la crisi; non dico la catastrofe, perché i popoli hanno ancora le ossa ammaccate per quella che si chiuse nel 1918.

Ma bisogna vigilare. Ecco perché accanto alla politica estera di pace - perché la sola pace ci può permettere di ritornare in piedi - bisogna tenere pronte ed efficienti tutte le nostre forze di terra, di mare e di cielo. Si è detto: « Che cosa pensate della Società delle Nazioni? ». E ciò perché nel discorso della Corona non si è fatto un accenno all'Istituto Ginevrino. Rispondo: nella Società delle Nazioni bisogna restarci.

Bisogna restarci non fosse altro perché ci sono gli altri, i quali, se ce ne andassimo, sarebbero contentissimi; farebbero i loro affari, tutelerebbero i loro interessi senza di noi, e magari contro noi.

Che cosa possa diventare la Società delle Nazioni, se essa sia una cosa seria o un tentativo puramente embrionale destinato a fallire, se la Società delle Nazioni possa diventare un super-Stato - ciò che io escludo - che annulli l'autorità degli altri Stati, ed abbia un super-esercito, il che è impossibile, tutto ciò può essere oggetto di discussione in separata sede. Ma nella Società delle Nazioni si trattano problemi e si prendono decisioni che ci interessano e l'Italia non può rimanere assente.

Ritornando alla politica interna, io mi propongo di far funzionare il Parlamento. Ciò non deve stupire. Il Fascismo è stato sempre elezionista, anche troppo: ora sarebbe ridicolo che, essendo elezionisti, non accettassimo anche le conseguenze di questo elezionismo, cioè il Parlamento, cioè l'attività legislativa.

Vi ho già detto che di decreti-legge non se ne faranno. Bisogna discutere i bilanci; abituare la gente a leggere nelle cifre: quello è il vero controllo.

Il Governo presenterà i progetti di legge alla Camera, che li discuterà, li migliorerà, li approverà. Così intendo l'attività legislativa del Parlamento di domani. Infine, rinvigorire tutte le forze dello Stato e cercare di inserire nella vita della Nazione tutte le forze che alla Nazione vogliono venire.

Oggi, a 20 mesi di distanza, io, che non mi sento infallibile affatto, che sono uomo come voi, con tutti i difetti e le qualità che la natura umana comporta, io stesso dico, oggi, come venti mesi fa, che io non cerco nessuno, ma non respingo nessuno, perché l'opera di ricostruzione della Patria è ancora difficile, è ancora lunga, e tutte le competenze, e tutti i valori, e tutte le buone volontà devono essere utilizzate.

Infine, poniamo il problema nei suoi termini concreti: che cosa pensate di fare? Come pensate di uscire (non parlo dei comunisti che sono fuori di questione) come pensate di uscire da questa vostra pregiudiziale che vi immobilizza? Con un tentativo insurrezionale? Ma non c'è da pensarci nemmeno; voi non ci pensate nemmeno, non vi passa nemmeno per la controcassa dell'anticamera del cervello, perché voi sapete che in 24 ore, anzi 24 minuti, tutto sarebbe finito.

(Tupini: « La respingiamo per principio, noi! »).

Voi siete fuori di questione.

Se voi escludeie dalle vostre possibilità di domani il conato insurrezionale, e non avete avuto mai l'animo di blanquisti - ve ne ho dato io un po' di blanquismo nel. 1912 e nel 1913 - voi dovete certamente fare l'esame di coscienza e dire: « Che cosa succede di noi? ». Perché non si può essere assenti, non si può rimanere sempre estranei; qualche cosa, bene o male, bisogna dire o fare, una collaborazione positiva o negativa deve esserci, nel vostro stesso interesse; perché il giorno in cui restate assenti, indifferenti, come gli stiliti che stanno sulle colonne ad aspettare il miracolo, voi vi sarete condannati all'esilio perpetuo dalla storia.

È un quesito che pongo alla vostra coscienza; voi lo risolverete; non tocca a me risolverlo.

Mi accadeva giorni fa di leggere nella Histoire de la Science Politique di Janet tutto un lungo studio che questo autore dedica al modo assai prudente con cui le Assemblee di America e di Francia procedettero alla dichiarazione degli immortali principi. I vostri predecessori erano assai timorosi, dubbiosi, e dicevano:
« Badate che è verissimo che il Governo senza la legge può condurre al dispotismo, ma il popolo senza la legge va all'anarchia, va al caos, va alla disintegrazione nazionale ».
E Turgot, uno degli ottantanovardi più intelligenti e più fini e meticolosi, poneva un limite netto al diritto e alla libertà. Se tutti gli uomini che sono vissuti fin qui fossero stati sepolti in un avello, tutta quanta la superficie della terra oggi sarebbe ricoperta di pietre, e non avremmo noi forse il diritto di demolire questi monumenti sterili e di disperdere queste fredde ceneri per nutrire i vivi?

Io dico: sì. Ebbene, noi che ci sentiamo di rappre sentare il popolo italiano, dichiariamo che abbiamo il diritto e il dovere di combattere ancora, di demolire i monumenti sterili delle vostre ideologie, abbiamo il diritto e il dovere di disperdere le ceneri dei vostri e anche dei nostri rancori, per nutrire colla linfa potente, nel corso degli anni e dei secoli, il corpo augusto e intangibile della Patria.